Monthly Archives: Marzo 2010

Reazioni:

– Poverina
– Mi dispiace
– Ti salverò
– Ma come fai ad andare in giro?
– E se ti attaccassimo a duemila palloncini all’elio?
– Sarai triste
– Sarai forte
– Sarai saggia

ma, tipo:

Conosciamoci

no, eh.

[E’ come somigliare a qualcuno. Suscitare sempre nell’altro un ricordo – confusamente impresso quel giorno di bambino, forse quando indicavi a dito teso Mamma, guarda! – e dover lottare a vita per guadagnare al mio viso il primo piano]

Il passato alla Coop

saluta imprevisto da dietro un carrello,
– quasi nulla mi sembrò cambiato in lei –
poi scorre zelante la lista gualcita
– Il tuo amico? E quel viaggio? Non salvi più il mondo?
– Perduto, tornata, sconfitta:
Contenta – rispondo.

Mc Donald – 2

Ora ho un personaggio anch’io. Mi chiedo se qualcuno noterà che leggo mangiando. A me hanno sempre incuriosito quelli che mangiano con un libro, verrebbe da sollevare un po’ la copertina col pollice e chiedere “scusa, cosa leggi?”.
(E perché lo leggi? Perché proprio questo? Perché ti piace? Chi è il protagonista? Cosa c’entra con te? E chi sei tu?)

Forse il signore davanti a me non è un barbone. In effetti ha solo una sciarpona troppo grossa e i capelli grigi spettinati. Lo zaino sotto al tavolo sembra presentabile. E’ sovrappensiero. La notizia felice l’ha già detta, ora forse il tizio immaginario dietro le mie spalle gli ha risposto qualcosa che lo ha incupito.

Mi accorgo che anche io, in fondo, sto parlando con qualcuno. Da quando sono al tavolino mi faccio compagnia raccontandomi la mia telecronaca del mondo esterno.

E s t e r n o.
Decisamente fuori di me. Guardo e descrivo, non agisco. Non c’è contatto.
Penso al mio coinquilino che ogni giorno, tornando a casa, racconta di una persona conosciuta a caso su un autobus, per strada, a una conferenza, e di cui sa già mezza vita e numero di telefono. Chissà come fa.

– Buon appetito!
Mi dice d’improvviso la voce rosa. Mi sorride, intercettando una pausa tra una pagina e una patatina. Accidenti, qualcuno mi trascina d e n t r o. Contatto.
Dico “Grazie” troppo in fretta e a voce troppo forte, a teatro avrei sbagliato, a teatro abbiamo studiato i diversi volumi di voce a seconda della distanza tra le persone, bene, era una distanza al massimo da livello due, io invece ho inspirato in fretta gonfiato la pancia impostato la voce e proclamato “grazie”.

Ha detto “grazie” il mio personaggio, quello che aveva tirato fuori un libro perché qualcuno si chiedesse chi era. Ha controllato se poteva dire “altrettanto”, ma ragazza immagine e ragazzo sopracciglia hanno già finito di mangiare; così non ha trovato altre battute sul copione, ha rilassato la pancia, abbassato gli occhi sulla pagina, addentato senza guardare un’altra patatina.

Mc Donald – 1

Ho scelto un tavolino in cui l’altra metà era occupata da una coppietta. Più giovani di me, si direbbe. Lui mi guarda – come tutti, come sempre, non mi stupisce. Penso che il mio modo di guardare lui, invece, è diverso.
Apro la scatola delle crocchette di pollo e alzo lo sguardo. Nel tavolo di fronte c’è un barbone dalla pelle leggermente scura, sembra più per tutta l’aria presa che per la razza. Anche lui mi guarda, e sorride. Sorride completamente, dalle sopracciglia ai piedi, emana dal corpo un’incomprensibile soddisfazione. Scarto il ketchup. Forse da un momento all’altro il barbone si alzerà per gridare a tutto il McDonald una notizia meravigliosa.

– Sai che mi hanno presa come ragazza immagine al MotorShow!
La ragazzina della coppietta ha una voce chiara e morbida. Dà la sua notizia al ragazzo con entusiasmo, e gli racconta che lei, lei l’hanno presa subito, mica come le altre al provino che appena sono entrate le han mandate via. Giro lo sguardo per controllare se è bella. Mi pare normalmente bella. Ha gli occhi troppo truccati di rosa.

Addento una patatina e noto che il barbone mi sta guardando ancora. D’altra parte è proprio davanti a me, a distanza di un tavolo. A osservarlo meglio, però, vibra gli occhi leggermente di qua e di là, come immaginando; e ogni tanto scuote la testa, ammicca o annuisce impercettibilmente. Sta parlando. Non sta guardando me, sta parlando con qualcuno che lui vede, che lui soltanto vede, poco oltre le mie spalle. E’ felice.

– Uffaaa… il mio amore non mi risponde!
Allora non stanno insieme. La ragazza dagli occhi rosa tormenta un grosso cellulare. Il ragazzo si tormenta a sua volta le dita e tiene le spalle un po’ chiuse, ritraendosi sulla sedia. Ci guardiamo di nuovo. Ecco cos’ha di particolare: le sopracciglia. Ha grosse sopracciglia nere che rimangono sempre leggermente sollevate, in una specie di perenne, zelante stupore, e gli occhi un po’ troppo aperti. Come chi voglia comunicare attento ascolto, quasi preoccupazione.

Inizio divertirmi immaginando storie di sconosciuti, mi sento spettatrice di un film. Decido di rompere la quarta parete tirando fuori un libro.

[…continua…]

Parentesi

Sotto al piumino, quando hai messo su Guccini e mi hai regalato una conchiglia gialla, ho pensato che era perfetto.

Che mi trovavo dentro una parentesi autosufficiente, non importava se in mezzo a una frase sgrammaticata, né quante parole mancassero al punto.

Quella temporanea armonia sfrecciava difilato nello scaffale dei ricordi belli, e, anche solo per questo, valeva la pena.

[Dopo aver fatto a brandelli i quadretti ideali, cerco bellezza come aria sott’acqua]

Sbagliare meglio

Pensavo all’accelerazione che ha preso la mia vita ultimamente. E’ un’accelerazione partita in sordina anni fa, impercettibili mutamenti che si sono accalcati uno dopo l’altro sempre più in fretta, fino a infilarmi a tradimento in questa buffa centrifuga. Non si vede bene fuori, il giro mi rincoglionisce e l’acqua ogni tanto sale alla gola, ma sotto sotto rotolo con soddisfazione.
Ripenso a ogni scatto in avanti, in sé fallimentare, e lo riconosco indispensabile. Non poteva andare diversamente, allora; ma, lo vedo adesso, ad ogni errore ne è seguito uno migliore.

Ho aspettato improvvise epifanie e salvezze su cavallo bianco, vittorie da proclamare e magari un bel giorno da cerchiare col pennarello sul calendario, a eterna memoria. C’è chi ci è riuscito. Non credo mi sia sembrato solo perché si sa, l’erba del vicino…; davvero, ho visto qualcuno riuscirci.

Ma, si vede, non era per me. Io realizzo sogni a percentuale.
Dal magnifico castellone in aria si stacca e crolla a terra prima un merlo, un capitello, poi una torretta, un pezzo di mura. Da giù raccatto i pezzi e costruisco – finalmente nella realtà – quel che posso, con quel che c’è. Magari una stanzetta senza il tetto, o con le pareti piene di buchi. Intanto si prova: la prossima volta, di certo, avrò qualche mattone in più.

E potrò sbagliare meglio.

[Rinunciare alla perfezione]

“Se lo pensi, vuol dire che stai già cambiando”

Sì, lo penso.
Che abito con persone che non conosco, e che forse

– lo dicono le lettere che ho letto di nascosto; lo dicono le storie – chissà quanto romanzate? – che ancora qualche ricordo in chiaroscuro mi racconta (con una voce sempre dall’alto, oltre il petto che mi tiene in braccio, oltre il mento visto da sotto) –

ci sono mondi profondissimi di là dalla parete. Ma

– lo dice l’impossibilità di guardarsi negli occhi, la disperata ostinazione con cui l’alma mater mi inventa ridicoli bisogni, pur di sentirsi ancora utile a risolverli; lo dice la quotidiana fuga di un quasivecchio (tra internet e dipinti, anziché all’osteria, ché qui abbiamo alienazioni laureate, che credete), finito ormai così lontano da non saper più tornare –

se ne andranno prima che possiamo conoscerci.

Peccato.