Monthly Archives: Gennaio 2010

Forse solo chi vuole s’infinita

Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.

(da E. Montale, Casa sul mare)

[Dev’esser andata più o meno così:

РQuindi, ̬ tutto qui?
– Che?
– Massì, dai, il salir d’acqua che rimbomba, star seduti su questo masso a guardare il mare, le isolette perse nella nebbia e la vita persa chissà dove. Tutto qui. Tutto ‘sto casino di esistenza per che cosa? Un susseguirsi di minuti eguali e fissi, e l’anima che non sa più dare un grido.
– Eh. Vorrei dirti che no.
– Però?
– Però sì. Cioè boh. Oddio, magari chi vuole s’infinita.
– Si che?!
– Massì, intendo, sovverte il disegno stabilito, infrange l’aria di vetro e sgama il segreto, esce dalla routine, trova un senso, rompe il destino, dà un ceffone al capoufficio, si ritira sull’Himalaya.
– Sembra figo.
– Già. Ma per i più non è salvezza. Tu forse potrai, chissà. Non io.
– Fai sempre la vittima impotente.
– Mannò, è che fare il vate è fuori moda, sai, devo mantenere un profilo basso.
– Capisco.
РE poi mica ̬ facile, sul serio, passare il varco. E ritrovarsi ad essere davvero quel che si voleva.]

Nell’angolo dell’occhio

lì in fondo a sinistra, un millimetro prima di uscire
dal perimetro imbarazzante
(per tornare a volteggiare nervosa, come tutti, sugli zigomi, il naso, la fronte)
un millimetro prima, dicevo,
sono rimasta invischiata un secondo di troppo
– giuro non è che l’ho fatto apposta,
è che forse l’umido, tra le palpebre
mi ha impiastricciato e si sa, mica una mosca c’ha colpa
se qualcuno la incolla e non riesce a volare.

E c’era tutto un programma futuro

[Non posto mai canzoni, mi sembra di aver già io abbastanza da dire. Ma è tempo di un’eccezione.]

Ivano Fossati – C’è tempo

(Questa mi commuove sempre, e specialmente adesso che c’è un tempo speciale, perché)

Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C’è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.

(mi fa pensare agli anni passati guardando da fuori l’inarrivabile tempo degli altri,
– non che ora sia chissà quanto arrivato, ma pare all’improvviso così semplice -)

C’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato
.

(a quelli in cui rimpiangerò il programma mai avverato,)

C’è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle

(e ai momenti in cui me ne scorderò del tutto, godendomi la ribellione)

è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

(che mi coglierà alla sprovvista, trovandomi un po’ buffa e imbranata)

Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c’era un tempo sognato
che bisognava sognare.

(perché ho sognato troppo a lungo.
E no, mi spiace, lo confermo: non bisognava sognare. Non così.)

[E poi, questa era la lapide del mio ultimo sogno]

Le uniche attività

che attirano veramente sono quelle proibite. Quelle che si fanno nei ritagli di tempo, rubando quel tempo alle attività ufficiali, al dovere.

Ci pensavo mentre, profondamente tediata da Arte Medievale, mi sono messa a leggere con gusto Ossi di seppia.
Cioè, capiamoci, bellissimo, ma è Montale. Cioè non proprio una lettura da ombrellone. Sono sicura che, se avessi dovuto studiarlo per un esame, avrei bestemmiato contro ogni parola.
Invece, siccome è una morbida edizione commentata che mi sono regalata per spendere un buono di Feltrinelli, ci godo a fermare e rifermare l’occhio sulla parola che non capisco, finché non si scopre il (un) senso. E ce lo fermerei ancora di più, pur di non riportarlo a memorizzare duemila immagini di dipinti medievali.

…Che magari amerei moltissimo, se solo mio padre non li studiasse, se non avesse cercato di propinarmeli da quando avevo tre anni, se, insomma, quei maledetti spennellatori non galleggiassero nel grande calderone del Dovere, insieme ai Genitori e all’Università.

[Dev’essere per questo che noi non abbiamo voglia di studiare. Mia madre poteva aver voglia di studiare, perché suo padre pascolava capre e voleva insegnare a leggere solo al figlio maschio: studiare era una ribellione. Ma noi? Noi siamo condannati a non dover lottare]

Svolte

[Settima parte. Vedi parti precedenti]

– E quindi.
– Già.
Non mi chiedi più se sono contenta?
РForse perch̩ non credo sapresti rispondere.
– Come?
– O avresti paura della risposta vera.
– Che sarebbe?
РAh, non lo so. Credo qualcosa di troppo banale perch̩ tu lo ammetta a te stessa.
– …
– Specialmente dialogando con un amico immaginario su un blog Importante e Sconsolato.
– Tu sei contento?
– Io. Che c’entro, io.
– Così. Ti sento spento.
– Sarà la disoccupazione incombente.
– Ma smettila.
– Pensa se tutti facessero come te. Niente più richieste al mio sportello.
– Non credo
– Ma certo. Nessuno a lasciarmi poetiche descrizioni di uomini o donne inesistenti, pregandomi di trovarli, nessuna telefonata di sollecito da ventennali zitelle frustrate,
– Ti mancano eh!
– …e soprattutto niente più chiamate in servizio nel cuore della notte. Erano le più belle. Il sistema rileva all’improvviso una corrispondenza e tac, giù dal letto a portare la notizia al fortunato, prima che sia troppo tardi, prima che un sogno diverso lo porti lontano.
– Cos’è questo romanticismo?
– Sarà per compensare il tuo cinismo. Ogni tanto si scambiano i ruoli.
– Non sono cinica.
– Ti sei rassegnata.
– Non c’entra.
– “Abbastanza relativista. Amante delle diversità, socievole”.
– Senti, sono cose diver
– “Non materialista. Con una sua spiritualità autogestita, ecco”.
– Senti, ho capito che ricordi la mia richiesta punto punto e hai un’ottima memor
– “Con capacità critica. Consapev
– Hai finito? Hai intenzione di farmi pesare la differenza tra i sogni e la realtà ancora per molto?
– Allora visto che ti pesa?
– No, è un’altra cosa. Ascoltami.
– …
– Secondo me avrai anche più lavoro di prima.
– Impossibile.
– Invece sì. Più uno si accontenta della realtà, più vorrebbe poterla evitare. E sogna. E manda Curricula Sentimentali al tuo sportello. E aspetta. E’ solo che intanto vive.
– …
– Semplicemente, ho deciso di tenere i sogni… su una linea parallela.
– Sì come no, non sai spegnerli nemmeno mentre t
– Finiscila! Quella è una debolezza. E’ il vestito che si mette la paura per sembrare più giusta, per riuscire a entrare dove non deve.
– Se lo dici tu.
– Oh… accidenti, credimi una buona volta.
РPerch̩, tu ti credi?
– …
– Ah, mi pareva.
– Io credo ci siano tante voci dentro, e non sempre bisogna fidarsi di ciascuna.
– Schizofrenica?
– Umana?
– Confusa.
– Ok, facciamo confusa.
– Ma felice?
– Ah, alla fine me l’hai chiesto se sono contenta.
– E naturalmente non sai rispondere.
РFelice non ̬ un aggettivo abbastanza banale. Avevi ragione tu, la risposta ̬ probabilmente molto banale.
РE cio̬?
– …Sto come prima. In sostanza, non è stato niente di strarilevante.
– Mi sembrava che qualche tempo fa considerassi parecchio rilevante la Vita Quadretto che hai appena triturato, tesoro.
– Quella da raccontare ai nipotini?
– Esatto.
– Ecco. E’ lì il punto.
– …?
– Ho capito che, se non avessi cominciato sfasciandola, forse non avrei mai avuto proprio niente da raccontare.

Candore

neve in scioglimento
in scioglimento.

Futuro professionale

I – Sai che io ne ho un po’ piene le scatole di studiare -.-
Giulia – Si si, ho una vaga idea
I – Ma dobbiamo veramente fare la magistrale? E se ci troviamo un lavoro? Non so, le venditrici di poesia spicciola, le creatrici di atmosfere patetiche… non venderebbero?
Giulia – Parla per te. A me spettano i cessi di treni,di cinema,di autogrill… ma sempre cessi
I – Ecco! Il tuo mestiere sarà cancellare le volgarità dai muri dei cessi, e sostituirle con poesie! Pensa.. uno, mentre caga… sempre caro mi fu…

Irrilevanze

Ho visto dalla finestra una donna, alta più o meno tre millimetri. Sì, la distanza era più o meno quella per cui, se misuri l’immagine con pollice e indice vicino agli occhi, risultano tre millimetri.

In effetti stava incappucciata per il freddo e non si capiva se fosse una donna – l’ho deciso soltanto dall’energica grazia dei gesti.
Tra me e lei c’erano un tavolo, un vetro, metri di parco desolato, una rete, altri metri di parco desolato. Al di là, i tre millimetri, e un cane. Sopra di lei, un cielo marrone sbiadito di rami intrecciati. Accanto a lei, sulla stessa panchina, un vecchio – si capiva per il qualcosa di bianco che gli incorniciava la testa. Poteva essere un marito o un nonno, indifferentemente.

Ho finito di guarnirmi una fetta di pane pensando alla totale irrilevanza della scena.
Eppure ho continuato a guardarmela, crogiolandomi in un’intimità immaginaria – in fondo c’eravamo solo noi tre: noi tre per tutto quello spazio invernale di tavolo-vetro-parco-rete-parco; di qua dal vetro una che fa merenda per non studiare, di là una che

e per un attimo avrei voluto saper riempire questo spazio bianco.

[Parlavamo dei momenti di bellezza?]