Monthly Archives: Ottobre 2006

Quant’è buffa e stronza la vita…

…"E adesso? E adesso che si fa?"

Probabilmente

la vita non ha senso, e se dovessi trovarlo continuerei a chiedermi il senso del senso, del fine, di Dio, e così via all’infinito.
Ma dato che ormai siamo in ballo, rendere un po’ migliore la vita insensata di qualcun altro m’è parso un buono scopo. Magari è solo gratificante per il mio ego.
Beh, se anche fosse, continua a sembrarmi un buono scopo.

Timidamente freddo

Ero a pagina 259 di un libro contorto, e un pensiero parallelo mi scorreva in testa distraendosi dalla trama; si annodava dietro le righe che non seguivo, si nascondeva, risaltava fuori, finché s’è fatto chiaro: non c’era affetto. A pagina 259 stavo pensando ad altro, a uno che mi ha chiamato oggi e che vedrò domani, e ho capito una cosa: in quindici anni non mi ha mai voluto bene in quel certo modo affettuoso che caratterizza un certo tipo di rapporti stabili. Almeno, non me l’ha mai dimostrato. O io non l’ho percepito.
Ecco cos’era. Freddo. Timidamente freddo. Freddo per paura, freddo come sembravo io.

[Dovrei continuare a leggere libri contorti che non seguo. Quando il mio neurone lavora da solo, senza controllo, se ne esce con ’ste cose…]

Bologna speaker’s corner

– Un cattolico è un fallito!

Avevo visto diverse persone guardare un unico punto, e mi sono avvicinata. Lui spuntava in alto, oltre le teste di un capannello di curiosi in piazza Verdi, e stava proclamando il suo buffo comizio in piedi su un pilastrino. Un cattolico è un fallito.
Ogni tanto qualcun altro s’alternava a parlare, ma l’abile conduttore del giochino retorico era sempre un arzillo e occhialuto vecchietto. Con qualche giro di parole scivolava abilmente da Dio al proletariato passando per Andreotti, la borghesia, la scuola, l’apatia del cittadino e il suo passato di comunista deluso; ascoltava le obiezioni per poi rivoltarle a suo favore in una battuta, con una domanda scomoda. Intanto la gente s’affollava attorno, partecipando al dibattito improvvisato da una parte all’altra della strada, interrotto al passaggio di ogni autobus.

– I cattolici sono succubi dell’autorità!
Eh no, caro, hai sbagliato persona. Puoi dirmi tutto, ma non che sono succube dell’autorità; e io certe cose non me le lascio dire senza rispondere. Così, gli ho risposto; devo aver detto qualcosa sulla libera scelta del credente.
– Posso farle una domanda? Lei è cattolica?
C’ho pensato un attimo, ché son domande da farsi in una vita intera, non in tre battute ai bordi di una strada. Per l’occasione, tuttavia, la risposta più adeguata mi pareva "sì".
– Bene. Se Dio le ordinasse di uccidere suo figlio, come fece con Abramo, lo farebbe?
– …Apparteilfatto che Dio poi glielo ha impedito…
– Risponda! Lo farebbe?
Sapevo che un "no" gli avrebbe consentito di interrompermi per chiudere trionfalmente il cerchio del suo ragionamento, denigrando in qualche modo superficiale la mia fede non coerente. Chiamati a raccolta i neuroni in riunione d’emergenza, ho cercato la risposta migliore elaborabile in due secondi e mezzo. Ne avessi avuti tre o quattro, me la sarei cavata meglio.
– Sono libera di decidere cosa fare. Così com’era libero quel figliol prodigo! Che ha fatto il padre – che non è un padrone – quando lui gli ha chiesto di andarsene? Non solo lo ha lasciato partire, ma gli ha pure dato i soldi che aveva chiesto… riaccogliendolo quand’è tornato, come niente fosse.
Ok, potevo di certo pensare a un ragionamento più stringente, ma si sa che le risposte giuste arrivano sempre a domanda già scaduta. Qualcosa però devo aver ottenuto, considerando che ha bofonchiato di non ricordarsi granché del catechismo, per poi fuggire rapido in una dissertazione sulla società borghese, seguendo insondabili analogie.
Per gli stessi originali percorsi è tornato sull’argomento, più tardi, regalandoci la seguente pillola di saggezza: "chi ha una fede rinuncia a farsi delle domande". Ahahahahahahaha. Vecchio mio, sei riuscito a dire in venti minuti le due cazzate più grosse che potevi inventare su di me.

Certo. Tutti quelli che mi conoscono sanno che io sono succube dell’autorità e non mi faccio mai domande.
Si vede che quel tipo non legge il mio blog.

[Comunque: l’idea della pubblica discussione è interessante. Le modalità sono affrettate, approssimative, con alto rischio di affascinare la folla manzoniana un po’ beota, avvantaggiando gli abili oratori rispetto ai buoni pensatori. Immagino che i romani avrebbero qualcosa da dire sull’argomento.
In ogni caso, tra i luoghi comuni spuntava a volte anche un’idea buona; ed è bello, in fondo, trascorrere un’ora buca all’università non solo mangiando una pizza, ma anche incontrando per strada qualche raffazzonato pensiero
]

Poi mi pagate l’affitto del MIO cielo

Gru dalla mia finestra

Che ci fa se cade per terra?

C – Biffi una volta mentre distribuiva la comunione ha fatto cadere le ostie… c’è stato un momento di gelo… erano già consacrate
I – Embè? Che succede se erano consacrate?
A – Beh… è Gesù!
I – Appunto… l’hanno inchiodato… che ci farà mai se cade per terra?

Buffo, tra certi miei amici risulto quella cattolica, per altri sono quella un po’ eretica. E’ divertente stare in questa specie di limbo, libera di sospendermi tra speranza e quotidianità, aspirazioni eterne e spicciola concretezza; senza dovermi per forza incastrare in mezzo a rituali arrugginiti e regolette umane, troppo umane.
Per carità, i riti servono: traducono in segni tangibili le cose incomunicabili, quelle che altrimenti rimarrebbero cristallizzate nelle arie di vetro, aspettando un’occhiata fuggevole dagli uomini che non si voltano. Si potrebbe soltanto passeggiare in un tramonto, e aspettare un riflesso diverso, un’intuizione; oppure infangarsi le mani frugando in qualche groviglio umano, e trovarci in mezzo frammenti di Dio. Ma queste cose accadono raramente, oscillano sull’onda di una consapevolezza passeggera e personale; così, si cerca di riprodurle fra i calici e le stole, in un linguaggio a volte suggestivo, a volte ridicolo, incrostato com’è di tradizioni codificate, contesti culturali e significati sovrapposti.

A me non dispiace; è un mezzo come un altro per dire cose indicibili – ovvero, per dire una buona percentuale di sciocchezze – e può servire ad avvicinarsi un po’, ad abbozzare su un bloc notes lo schizzo ingenuo di un dipinto enorme; senza presumere di aver già colto ogni dettaglio, altrimenti si rischia di aggiungere al disegno i propri fronzoli preferiti, spacciandoli per Verità.
Così, contestando non abbandono, e resto anch’io dentro ai segni della croce, le convenzioni e i paramenti sacri; solo, ogni tanto mi permetto di sorriderne, come – mi piace immaginarlo – deve sorriderne anche Qualcun altro, acquattato su una nuvoletta a prenderci un po’ in giro.

5 ottobre

Arrivare in strada a braccia larghe, la Lolli dietro brandendo un girasole, vederti sorpresa sbucare dalla folla, fuori giurisprudenza; abbracciarti, aspettare gli altri e accamparsi davanti alla Johns Hopkins con la torta e lo spumante, esplodere il tappo fino all’altra parte della strada, ridere, immaginare il garage della Pasi (ricordarsi, allora, la Mag coi suoi progetti irrealizzati, la Mag con cui non potrò sedermi in nessun bar disegnando piantine impossibili su fogli a quadretti), e poi spiegare che m’era bastata una frase – tanto per dire che la classe è finita, ma io e qualche altro, credo, ci siamo ancora.

Mah, potrei andare a lezione da lui

Il tempo o forse
il suo battito dentro
il cuore, le vene
vedranno arrugginito
l’apriscatole sul tavolo
brivido aureo che t’imperla
e con te l’ironia dell’ora
in penombra, le feritoie
i tonfi del condominio intorno – fatica
o poco meno a cena, i ruoli
le valvole di sfogo…
Così l’assoluto pallore del volto
la raucedine e sul muro
solo un’astratta resistenza di rami
e persiane a metà, niente più che il fuoco
pallido di un poster, Matisse
a Zurigo, la sua stanza rossa
la neve sulle viole…

(Alberto Bertoni)

[E’ buffo intuire, attraverso le sue poesie, i tradimenti, le scommesse ai cavalli, i viaggi e le nostalgie di uno che – se voglio – m’insegnerà letteratura contemporanea]

Primo giorno

Quello delle elementari non l’ho mai memorizzato, quello delle medie l’ho scordato, quello del liceo l’ho in mente appena a tratti. Quello dell’uni, dunque, lo scrivo per non perderlo.

Storia medievale

Ovvero: quei corsi che solo a guardare il titolo sbatteresti la testa contro il muro e andresti a fare Scienze della Comunicazione.
Sono entrata dopo un quarto d’ora di fila calda e pigiata – ma dicono che entro due settimane i frequentanti si dimezzino – sistemandomi obbligatoriamente in prima fila. Non perché me la tiro, giusto perché l’aula è a gradoni; posizione comunque abbastanza laterale per non avere la prof in bocca.
Accanto a me c’era una tipa dall’aria cortesemente aggressiva, faccia pulita e decisa. Mi sono presentata per prima e ho lanciato un paio di gag per rompere il ghiaccio; non raccogliendo grandi risposte, ho proseguito limitandomi a contare in silenzio i suoi piercing. Labbro, naso, collo, e qualcos’altro che mi sarò persa.
Ho sbirciato il nome dal foglio presenze e l’ho appuntato sul quaderno – so che lo scorderò: Chiara.
Nel frattempo, ho trovato un vantaggio delle aule ad anfiteatro: se ti annoi, puoi passare ore ad osservare le buffe fisionomie ed espressioni dei colleghi di fronte.

La prof sembra grassotta, ansiosa, precisa e vagamente paraculo – senza dare al termine una connotazione del tutto negativa. Semplicemente, ha passato due ore elencando gli argomenti in programma, perché, ha specificato, "quando vi daranno i questionari per la valutazione dei professori, non potrete scrivere che io non vi ho fornito tutte le informazioni preliminari!"

Lingua e linguistica italiana

L’aula è in un’altra strada, e devo ancora capire come farò con la pioggia. Intanto, sono sfrecciata in fretta, senza sapere che i quarti d’ora accademici sono molto più comodi ed elastici delle campanelle.
Ho beccato la Sofi che andava a Storia del Cristianesimo e l’ho invidiata un po’; quindi ho cercato la mia sfigata stanzetta con sì e no una quarantina di persone, e mi sono piazzata accanto a una sedia a caso.
I – Scusa è questa lingua e linguistica…
C – Sì sì. Cioè, come?
Su quaranta persone, ho beccato quella straniera. Cristina viene dalla Moldavia ed è in Italia da un mese – non chiedetemi perché faccia linguistica italiana. Mi ha chiesto se sapevo gli orari dell’autobus, poi ha iniziato a prendere appunti con una calligrafia precisissima che neanche Word.

Il prof – un omino minuscolo dagli occhi azzurri – ha subito ceduto la parola alla sua assistente, o portaborse, o puttana, o non so. Alta trenta centimetri più di lui, spalle larghe e labbroni, confondibile con un trans, ci ha allietato con una serie di osservazioni abbastanza inutili su diatopia, diastratìa, diafasìa e qualcos’altro che ho rimosso. In sintesi: ni atri nun parrammo comme a chiddi d’u continente.
Si sentiva un microfono parlare da un’altra aula e cercavo di capire, il mito è un racconto, diceva.
Dopo la prima ora ci hanno dato dieci minuti di pausa, e io sono scappata.
(Mi spiace giusto per la moldava, potevo darle una mano).

Letteratura italiana contemporanea

Mi sono appollaiata fuori dalla porta, dato che la gente ormai strabordava da ogni pertugio per sentire; dev’essere di quelle lezioni in cui s’arriva mezz’ora prima per trovar posto – io l’avevo raggiunta alla seconda ora, figuriamoci. Sedute per terra, accanto a me, c’erano tre tipe che parevano più grandi e più sorridenti; dentro l’aula ho intravisto qualche conoscente.

Il prof era relativamente giovane, un buon oratore, tono sveglio e convinto; blaterava di Pavese, Jung, il mito e qualcos’altro. Ha letto qualche brano, l’ha letto fermandosi sul perché delle parole, ho intuito che la cosa si faceva interessante; poi da un’altra aula è uscita una folla rumorosa, e noi ch’eravam fuori non abbiamo più sentito nulla. Ho cercato di copiare gli appunti dell’ora precedente, sbirciando dall’alto sugli ignari quaderni di una ragazza seduta ai miei piedi.
Domani ci torno.

Istituzioni di filosofia morale

Che c’entra, direte voi? Niente. C’entra che avevo finito il mio orario, che là doveva andare una mia amica, e che io galleggio in rimorsi esistenziali per non aver scelto filosofia.
Il fatto che l’abbia ritenuta la lezione più interessante della giornata un po’ mi preoccupa; spero di ricredermi nel tempo. E’ che ‘sto prof sembra alla mano, parla in modo quasi coinvolgente, ha invitato chi c’è solo col corpo a stare a casa, ché se perdi una lezione non fa niente, basta che, quando ci vai, almeno vai convinto e partecipe.
Il suo programma tratta di uguaglianza; tra i testi si possono scegliere lettere di S. Paolo e saggi di Marx. 
Se non sarò troppo stanca, domani torno anche lì.

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Buoni propositi per il secondo giorno: sedersi accanto a persone più socievoli.