Monthly Archives: Novembre 2008

Accorgersi

Ascoltavo Due Tramonti, l’altro giorno. E quand’è finito l’ho fatto ripartire e poi di nuovo, in macchina, perché è la mia madaleine proustiana – tra le poche ancora rimaste. Durerà finché non l’avrò riascoltato troppe volte e il cervello scambierà le sinapsi dei sedici anni con quelle dei ventuno, confondendo il cielo terso del 15 gennaio 2004 con un altro qualunque.

Il 15 gennaio 2004 non è una data particolare. Era solo un giorno freddo e limpido in cui avevo tempo da perdere e sogni da disperdere, così pensai di perderlo e disperderli fischiettando alla finestra un motivetto banale di Einaudi, beandomi del sole e della casa del contadino che c’era ancora. Va’, niente di speciale.
Ma era speciale che mi venisse in mente di scriverlo. Oggi lo ricordo solo perché ho ritrovato quel paragrafino di descrizioni bucoliche datate 2004, che si concludeva con: “C’era un uomo con un cane sotto casa, è rimasto lì tutto il tempo a fissare il marciapiede, la siepe, il muro. Non si è accorto di nulla.”

Ecco. Io, invece, mi accorgevo.

Ho fatto parecchie cose in ritardo, nella vita. Perciò sono state speciali per più tempo: prima perché le ho immaginate più a lungo, poi perché le ho scoperte abbastanza recentemente da ricordarlo. In genere si perdono nell’infanzia obliata; io sono stata partorita fuori da casa mia appena cinque anni fa. Ma forse ormai ho finito di gattonare a caso e mettere in bocca le cose per sapere il sapore del mondo.
Questo rende tutto più noioso e incolore, bisogna dirlo. La felicità di ricevere un ti voglio bene a sedici anni non sarà paragonabile neanche alla dichiarazione d’amore dell’uomo della mia vita. Quel tipo di felicità incredula e totale è irrimediabilmente perduta.

C’è chi continua a inseguirla per tutta la vita. Senza capire che è come tentare di ritornare alti settanta centimetri, è fisiologicamente impossibile, l’ormone adolescente è andato, partito, morto; i sentimenti hanno un’altra chimica, e la felicità diventa costruire.


(Niccolò Fabi – Costruire) […A Tartufone :P]

E, vi dirò: a saperla vedere, dà molta più soddisfazione.

Intanto, domani compio ventun anni, e mi chiedo se saprò accorgermene.

Persecuzioni

Quando trovi un sacchetto in camera lasciato da mamma – saranno le calze nuove che le avevi detto più volte di non comprare
o quando tuo padre entra a dirti che ha cercato il tuo nome su internet, sa cosa fai al lavoro, ha già qualcosa da insegnarti e vuole scrivere alla tua direzione; quando poi aggiunge che ha scoperto anche che fai la rappresentante, ti chiede – retoricamente – di che colore è la lista, e se dici incolore, lui ride (allora pensi no, spiegarlo anche in casa NO)

progetti di cambiare nome e trasferirti nel deserto australiano.

Ma forse un canguro ti porterebbe un telegramma di tua madre che ti esorta a mettere la sciarpa.

Trampolino

Distacco
dall’inessenziale, routinario, freddo, vuoto, effimero e senza scopo
[ridotto il range dell’emotività]
dalle scommesse pre-fallite, dai tentativi mi gioco tutto
[ridotta la scorta di vita da poter perdere]

Tuffo
nell’esistenza al livello-base, la relazione tragica,
[alzata parecchio la soglia “problemi”]
lo scopo pratico, i fogli gli orari i dossier
[studiare per qualcosa-qualcuno è più motivante]

Annaspano
attese voci mani addosso messaggi nostalgie sconfitte pagine volti cimeli sfioramenti
[e quando un ricordo si fa così lontano (in spazi-tempi di possibilità) da sembrare immaginato?]

[Appena troverò le parole mi spiegherò in modo comprensibile…]

Devo andare a letto

perché domani devo alzarmi e partire, ma prima sarà meglio raccontare.

Finora non ho scritto per mancanza di tempo e – soprattutto – di parole. Non riesco a descrivere organicamente quello che sto vivendo, mi si presenta a flash, a pugni in faccia, non a chiare sintesi.

I pugni in faccia abitano su una collina che si sale piano piano, se c’è il sole, per gustarsi un po’ di pace prima del lavoro. Hanno tutti un nome – ne ho crocettati tanti, nell’elenco in rosso – ma ne ricordo pochi, giusto il vecchio che aveva un nome strano o il signore scarnificato che si lamentava più degli altri – e quando ho visto ch’era sceso dal letto fino al bar dell’ospedale, non so come, mi ha attaccato il suo mezzo sorriso.

I vecchi si lamentano, gli adulti si raccontano e spesso rivendicano; i giovani ridono con più leggerezza e se gioca il Napoli non li puoi disturbare.
Poi c’è una manciata di occhi più tristi, rivolti ostinati all’indietro, verso nostalgie irrisolvibili quanto un midollo spinale spezzato.

[Così, io dovrei essere l’avanti da guardare con fiducia. Mi sento così poco credibile, io che di nostalgie ho giusto qualche amicizia perduta.]

[Sto attraversando, in quelle corsie, altre corsie – mie, dimenticate – ma di questo dirò poi, forse, è tardi – c’è così tanto da vivere, così poco da scrivere – devo andare a letto…]

Most peculiar men

[Per non parlare sempre di politica]

He was a most peculiar man.
He lived all alone within a house,

Within a room, within himself,
A most peculiar man.

He had no friends, he seldom spoke
And no one in turn ever spoke to him,
cause he wasn’t friendly and he didn’t care
And he wasn’t like them.

Oh, no! he was a most peculiar man.


(Simon & Garfunkel)

Ho conosciuto parecchi peculiar men, specialmente nell’ultimo paio d’anni. Non tutti corrispondono a questa decrizione, ciascuno è peculiar a modo suo; però il tratto comune, forse, è che sono profondamente within themselves, dentro se stessi – ma dentro come prigionieri.

Spersi e incapaci di farsi capire, come un curdo analfabeta spiaggiato a Lampedusa. O magari hanno imparato tre parole e le ripetono ossessivamente, aspettandosi che l’altro ci legga dietro una lingua intera. O qualcuno per scherzo gli ha insegnato che “ciao” si dice “vaffanculo”, e questi continuano a mandare a fanculo chiunque. Oppure dentro la loro cella hanno già scritto dieci volumi di poesie, ma non trovano una feritoia da cui lanciarle fuori. O forse sanno dov’è, ma ci han guardato dentro una volta, ci han visto qualche mostro e ora hanno paura.

Magari è vero che un po’ me li vado a cercare. O sarà che impiego più tempo degli altri a capire che è meglio lasciarli perdere.
Ché poi, non ne sono sempre tanto convinta, di lasciarli perdere.

[Meglio non mettere il finale della canzone, và]