Monthly Archives: Ottobre 2007

Vetera

“Ho fatto il liceo a Ferrara
e avevo delle amiche
poi si sa com’è la vita
e non le vedo più 
Loro sono antiquae

Con altre invece per esempio
ci sentiamo ancora
Allora si usa vetus
per il vecchio che rimane.”

So io cos’è passato
in quell’interruzione bianca
desolata fra due strofe di lezione.

O tempora

[Scazzo moralista]

Msn, e chi per lui, può anche smetterla di mandare email automatiche intitolate “Tizio desidera diventare tuo amico”. Questa mania di trasformare la parola “amico” in un termine tecnico per indicare un link a qualcuno mi sta estremamente sul cazzo.

“Amico” è una parola troppo seria.

[Per accettare il link, basta cliccare sul pulsante “diventa amico”.
Minchia, un pulsante così lo voglio anche nella vita.
]

(Comunque Pascoli era un po’ frustrato, via)

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento…

[Ultima quartina censurata per scaramanzia.]

Dimenticavo

Dimenticavo un giovedì
(nessuna nostalgia!) 

Son giorni che cerco di ricordarlo.
(Appaiono un letto infossato
nella conca sudata pungente di briciole 
e pruriti ingrattabili
– il cuscino, più su…)

Mi sembrava buffo che anche quello accadesse di giovedì.
(Già annusavo cornetti al formaggio,
la penombra più fresca, il crollo
festoso della serranda a lasciare soltanto
una fetta di luce…)

Così per completezza dovrei raccontarlo. 
(Aveva enormi capelli casuali
neri arruffati sulle spalle sottili
Portava lei la videocassetta,
per le due ore più brevi…)

Ma se dimenticavo quei giovedì
(Una volta portò Misery, ma come si fa?
Proprio a me, proprio allora
un letto spezzato che grida?
E’ l’unico che ricordo.)

forse c’era un motivo

di quelli che c’entrano col terrore
sepolto, il dolore scavato
e altre cose infantili
dimenticate
per l’ostinazione di vivere.

Giovedì

Due giovedì fa
(fuggendo una nostalgia)
dietro ognuno distendevo
telescopica una storia
Scommettevo su chiunque
e indagavo argomentando

Giovedì scorso
(inseguendo una nostalgia)
dentro a uno disegnavo
ingannevole un affetto
Scommettevo su qualcuno
e giocavo argomentando

Stasera
(annoiata dalla nostalgia)
davanti a tutti sto a guardare
con la suspense di un dejavu
Scommetto solo se non perdo
e di argomentare
non ho più voglia.

[Forse ho fatto tardi presto:
è già venerdì?]

Moralismo

– Dimmi se non è bello… “può essere scrittore solamente colui che sente la responsabilità…
– Giusto, potrebbe riflettere sulla sua responsabilità nel farci perdere tempo
– “E’ una responsabilità per la vita che si sta distruggendo, e non bisogna vergognarsi di dire che questa responsabilità è nutrita dalla pietà
– Buffa questa chiesa, sembrava tanto un’aula universitaria. Chi è l’autore, un prete?
– Non credo, pare un ebreo. E’ un discorso del ’39.
– Dimentichi il “millenovecento” davanti. Sai, è giusto quello che mi stride, nell’ora di letteratura latina.
– Beh… è un collegamento al moderno… poi ci si lamenta di studiar cose vecchie e astratte
– Ah! Trovami la concretezza di questo moralismo, avanti.
– Non ti pare concreto? Senti qua: “Nessuno sia respinto nel nulla, neanche chi ci starebbe volentieri. Si indaghi sul nulla con l’unico intento di trovare la strada per uscirne, e questa strada la si mostri ad ognuno.”
– Ti dò ragione, non c’è niente di più concreto dei danni che provocano i santi crocerossini, decisi a indicare al prossimo la via della salvezza.
– Smettila! Non vedi come cerca di… di proporre un’alternativa, una speranza? In un’epoca in cui di lì a pochi mesi avrebbero sterminato anche le ultime? E poi non è cieco al male: lui lo vede, e ti ci lancia dentro! Però ti dice: scavalo, indagalo p e r  u s c i r n e !  Come dire: ehi, sarai nel nulla, ma non dimenticarti di cercare l’uscita…
– Giusto, dov’è pure la porta dell’aula?
- …
– No perché sai, io potrei studiare qualcosa di utile invece di star qui. Non ho bisogno di un professore universitario per una lezione di ottimismo spicciolo.
– …Scusa se qualcuno cerca di infilare un po’ di umanità in una lezione
– Ah! Ecco perché ha sempre quell’aria da puffo depresso appeso al microfono come a una forca! Ha infilato tanta di quella umanità ottimista nelle lezioni che poi non glien’è rimasta…  
– Uffa non sto dicendo che lo eleggerò a maestro di vita, osservavo solo che ha citato una bella frase
– Peccato che non mi chiederà quella all’esame
– Eh cazzo, che vivi solo per l’esame?
– Se ti dessero trenta e lode per la tua capacità di fingere buoni sentimenti, il tuo libretto non sarebbe piano di ventinove.
– Ma chi se ne frega del libretto… per me è più interessante ricordare che “Si perseveri nel lutto e nella disperazione per imparare la maniera di farne uscire gli altri, ma non per disprezzo della felicità, che compete alle umane creature, benché esse la deturpino e se la strappino a vicenda.” Possibile che non ti lasci affascinare mai?
– Uh, il fascino. Il fascino va sezionato nei suoi componenti ingannevoli.
– Cosa?
– Tutto ciò che ti attira in maniera indefinita contiene un componente ingannevole. Un tono, una parola che s’infiltra senza permesso nel tuo pianoforte inconscio, e pizzica una corda. Poi tu credi di averla suonata volontariamente.
– …
– Forse non è così? Sapresti spiegare perché queste frasi ti affascinano?
РBeh, perch̩ penso che siano giuste.
– Sbagliato. Se davvero pensassi, ti apparirebbero evidenti numerosi errori nel ragionamento: innanzitutto, l’idea di fondo della responsabilità dello scrittore è affermata a priori, senza alcuna dimostrazione. Dev’essere per questo che l’avevo scambiata per un retaggio cristianeggiante… ma ora che ci penso potrebbe esserlo ugualmente, considerando quanto anche i non credenti siano impregnati del loro moralismo. In secondo luogo, il tentativo di trarre fuori dal nulla anche chi ci starebbe volentieri rappresenta un’evidente violazione della libertà individuale - cosa che dovrebbe risultare deprecabile anche a una persona di buoni sentimenti come te. Infine, sarebbe comunque un tentativo del tutto presuntuoso e aleatorio, oltre che insopportabilmente violento: qualunque psicologo d’accatto sa bene che stare nel nulla non è il capriccio di un indolente, ma la condanna di un disgraziato.
– Finiscila con i sofismi! Non sto capendo più nulla…
– Allora ti mostrerò solo l’incongruenza più semplice ed evidente.
– Forse non la voglio sapere
– Non mi risulta che Elias Canetti abbia impedito la guerra col potere delle parole.
– …
РAnzi, ̬ accuratamente emigrato prima che le cose si mettessero troppo male per lui. Che si fa, lo riteniamo responsabile del suo fallimento?
– …
– Vedi. Non stavi pensando. Eri solo insensatamente affascinata.
– Non ti sopporto. Non venire mai più a lezione con me.
– Ma come, io devo tirarti fuori dal tuo nulla sentimentale. Lo volevi tu, no?
– Io devo tirarti fuori dal mio corpo.
– Per ora mi hai tirato fuori dal Ritratto di Dorian Gray.
– Quella è stata solo un’ispirazione. Devo allenarmi ancora un po’ per renderti odiosa come Lord Henry.
– Avrai tempo per studiarmi. Sarò con te tutta la vita.
– Incoraggiante.

[Ma avete idea di com’è convivere con due così che litigano continuamente dentro di me?]

Abbastanza lontano

– Un biglietto
– Destinazione?
– Un posto abbastanza lontano
– …AbbastanzaLontano. Ritorno?
– Non lo so
– Quindi?
– Mai
– Solo andata. Bagagli?
– Nessuno
РNessuno? Ma ̬ AbbastanzaLontano.
– Appunto.
– Almeno qualche ricordo.
– I ricordi sono arroganti. Pensano sempre di essere migliori.
РNon ̬ vero, a volte si sentono inadeguati.
– Peggio: così te ne vergogni. I ricordi giudicano.
– Mica solo loro.
РEh, perch̩ crede che voglia quel biglietto.
– In effetti.
– …
– …
– Quasi quasi parto anch’io.
– Per un altro posto però.
РPerch̩?
– Altrimenti saremmo da capo.
РMa vuol restare sola? Guardi che ̬ triste.
– Troverò qualcuno lì.
РBeh e perch̩ io non andrei bene?
– Lei mi ha già visto.
– Eh?
– Non si può cambiare finché qualcuno si ricorda com’eri prima.
РPerch̩?
- Verrebbero a chiedere il perché si è cambiati. Lei poi mi sembra avvezzo alla domanda.
– …
– Mi dia questo biglietto
РPerch̩?
– …
– Dai, scherzavo. Comunque non dovrebbe scappare.
– Per questo lo faccio. Ci sono troppi dovrebbe da queste parti.
– Quelli ci sono sempre.
– Anche in un posto abbastanza lontano?
– Anche molto molto lontano.
– No, lì si sposano perfino gli orchi verdi.
– Ecco dove dovrei andare.
РDai, lei non ̬ un orco verde.
- Lei che ne sa. Magari mi trasformo la notte.
– …Ma lei fa conversazione con tutti i clienti?
– No, solo con quelli interessanti.
– E’ un’avance? Guardi che sto partendo.
– Ma va là, non ci voglio provare. Non ci proverei mai con una come lei, via.
- …
- Ma le sembra? Con una cozza disadattata come lei? Impari un minimo a vestirsi, su.
– …
– Ehi, scherzavo.
– Il biglietto.
– Era per sottolineare che effettivamente da queste parti ti giudicano tutti, anche i bigliettai.
– Simpatico. Il biglietto.
– E va bene… a che nome?
– Ah quello che le pare. Adriana Meis?
– Banale. Tutti quelli che partono di qui hanno letto Pirandello.
– Per quanto pensa di portare avanti questa conversazione?
РFinch̩ non facciamo un biglietto per due?
РPerch̩ tutti i miei dialoghi filosofici finiscono con un appuntamento?
– Secondo me lei c’ha il chiodo fisso.
– Secondo me i miei personaggi sono indisciplinati.
– Eh lo diceva Bertoni che la letteratura, una volta scritta, fa un po’ quel cazzo che vuole.
– Sì, anche i lettori, una volta annoiati, fanno quel cazzo che vogliono. La finiamo?
– Meglio, così se ne vanno e ci lasciano soli.
– …
– Scherzavo. Ecco il biglietto.
– Grazie.
– A presto.
– …Perché sono segnati due posti?
- L’altro è per me.
– Ma non c’è scritto il suo nome.
– Sarà perché non esisto.
– Ah… no?
– No.
– Peccato.  

Come mi andava

C’è stato un tempo in cui non mi vedevo.

Poi mi sono come riconosciuta – è stato d’improvviso, guardando una foto – mi è apparsa la differenza
così ho rinunciato alla libertà
per vergogna.

[L’altro giorno sognavo, o forse ero sveglia, una specie di aldilà. C’era una bella giornata fra l’erba le facce di vecchie persone tornate e soprattutto – soprattutto - nessuno mi vedeva, o meglio mi vedevano in un altro modo, e non importava, non importavano più certi dettagli convenzionali e io ero come ero ero io ero come mi andava di essere e a nessuno fregava niente e le persone tornate sorridevano uguale e le persone non ancora arrivate erano lì ad aspettarmi e cercavano me sì proprio me così com’ero così come mi andava di essere – e quasi mi commuovevo, dormivegliando in quell’inedita soleggiata libertà.]  

Secondo primo giorno

Attraversare via Zamboni in mille minuti rimbalzando da un saluto all’altro - fa ancora caldo e tutti girano, è ancora ottobre e tutti frequentano. Bacio di qua, bacio di là, che esami ti restano, che hai fatto d’estate, buona lezione, ci vediamo, certo. Certo.  

Improvvisare conversazioni nell’attesa di un esame, per quell’effimera solidarietà tra sconosciuti pronta a cancellarsi col mio nome sulla lista. Sperimentarsi con leggerezza in rapporti inutili, giocando un poco ad essere teatrale - non per falsità, così, per divertirsi appena; se giudicano chi se ne importa, ops, mi stanno chiamando, è il mio turno, in bocca al lupo a voi.

Tornano le voci impreviste, le possibilità intermittenti, l’umanità a coriandoli soffiata in faccia per caso.

Non ho più le aspettative del primo primo giorno (mi hanno spiegato che non è come a scuola, inutile attaccar bottone col compagno di banco, tanto non lo rivedi), ma un po’ mi fa sorridere lo stesso.

[Le piccole cose si apprezzano quando ne hai già abbastanza di grandi]