Monthly Archives: Dicembre 2005

Lettera a Dio

Caro Dio,
ci siamo appena visti, là, in quel corridoio d’ospedale arrangiato a chiesetta, con due file di sedie strette ai muri e lo spazio in mezzo lasciato libero per gli infermieri.
Suona stonato e stridente, quel prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, quando le rovine te le ritrovi sedute lì, giallognole con la flebo appresso; sembra quasi un’offesa, una presa in giro, un affronto indelicato.
Lo sai che non mi piacciono quelli che vantano mistiche ispirazioni alla vista dello sfigato di turno, innalzato a immagine crocifissa della sofferenza divina – forse perché per qualcuno la sfigata di turno potrei essere io, e non mi sento immagine di un bel nulla. Uh, può darsi che per un attimo abbia pensato di essere anch’io la buona samaritana che si fa il Natale al Reparto Infettivi del Sant’Orsola, ma t’assicuro che ho cambiato idea appena una signora m’ha scambiato per una ricoverata – e non ridere, te, che t’ho visto sai. Dillo che ti sei divertito a mandarmi una divina botta di umiltà. Comunque non importava, guarda che sapevo bene di non poter guardare nessuno dall’alto in basso – vabbè che ho la memoria corta, ma il Natale in corsia me lo feci pure io, ai tempi. In pediatria mandarono un patetico babbo natale, e non avevo nessuna voglia di farmi compatire, t’assicuro.
Tutto ciò per dire che non ti ho visto propriamente in quelle persone, almeno non più che in tutti gli altri. Ma c’eri nel mezzo. Stavi nell’inconciliabile contraddizione fra gioia natalizia e sofferenza ospedaliera, nella cruda e tormentata umanità degli abbracci fra i malati e i quattro parenti venuti a trovarli, nel raccogliersi attorno a un altare con un lenzuolo da letto d’ospedale come tovaglia, nei singhiozzi della donna che al canto finale ha pianto insieme a un ragazzo, forse il figlio, per chissà quale intima ragione.
Lì, dove graffiavano insieme tutte le domande scomode, dove si mischiavano torbidamente speranze e disperazioni, brillava la disarmante assurdità del farsi carne – quella carne, livida e raggrinzita; e la nostra carne, infetta dentro.

Caro Dio, forse c’eri anche stamattina, alla messa parrocchiale delle signore impellicciate; eppure, ho l’impressione che tu ci sia andato quasi di malavoglia, infrattandoti in qualche cappelletta laterale, e guardando di sbieco gli omuncoli inamidati che s’affollavano in fondo, ansiosi di sbrigare anche questa noiosa formalità natalizia.
Invece, stasera, nel piccolo corridoio dell’Aids, mi piace pensare che ti fossi seduto a tuo agio, venendo poi ad abbracciarci discretamente a uno a uno, come il don mentre dava la pace.

Ora, non pensare di cavartela così, ché non ho certo deciso di crederti sul serio. Ma, almeno, questo Natale non è passato senza senso.

Natale

angolo natalizio in sala

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

(Giuseppe Ungaretti)

[Il presepe s’è rimpicciolito, non sono mai andata a giocare con le pecorelle, non ho spento la luce per guardare l’albero lampeggiare, né ho contato le case di fronte accendersi a una una durante l’avvento. Di quei pacchi sotto l’albero, non ne ho tastato nessuno per intuirne il contenuto; e anzi non ho chiesto nulla, semplicemente perché ho già tutto – non mi hanno fatto nemmeno il regalo dei diciotto: non sapevo cosa farmi comprare (devo essere l’antitesi del consumismo – o forse ne sono la sua estrema conseguenza, soddisfatta e rimpinzata)]

Ah, dimenticavo.

Auguri! Non quelli orribilmente convenzionali, però; tipo quelli che mi ha mandato la Cri, magari.

Tu
che
ne dici
SIGNORE se
in questo Natale
faccio un bell’albero
dentro il mio cuore, e ci
attacco, invece dei regali,
i nomi di tutti i miei amici: gli
amici lontani e gli amici vicini, quelli
vecchi e i nuovi, quelli che vedo ogni gior-
no e quelli che vedo di rado, quelli che ricordo
sempre e quelli a volte dimenticati, quelli costanti
e quelli alterni, quelli che, senza volerlo, ho fatto soffrire
e quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire, quelli che
conosco profondamente e quelli che conosco appena, quelli che mi
devono poco e quelli ai quali devo molto, i miei amici semplici ed i miei
amici importanti, i nomi di tutti quanti sono passati nella mia vita.

Un albero con radici
molto profonde, perché
i loro nomi non escano
mai dal mio cuore; un
albero dai rami molto
grandi, perché i nuovi
nomi venuti da tutto il
mondo si uniscano ai già
esistenti, un albero con
un’ombra molto gradevole,
affinché la nostra amicizia
sia un momento di riposo
durante le lotte della vita.

Ah, raga! Vi saluta e vi fa gli auguri il CERES, che ha ricevuto il nostro biglietto!

Il mio programma preferito

la mia tv col cielo riflesso

[Per poterla guardare comodamente, dovrei piazzare il mobiletto della tv davanti alla finestra. Ora ditemi perchè dovrei preferire una scatola al cielo azzurro.
Dio* ha molta più fantasia
]

(*o chi per lui)

I poeti vivono

tetti all'alba

sui tetti all’alba, arzigogolando versi coi rivoli di sogni sbuffati dai camini.

Nuntio vobis gaudium magnum

Ho trovato un modo sicuro ed efficiente per salire le scale.
Sul serio.

Ecco, mi sono ritrovata i pantaloni e le mani un po’ impolverati, dopo, però funziona.

[Ovvero: come cavarsela quando vai a una festa e scopri che l’ascensore non arriva al piano giusto, mentre tuo padre borbotta “devi capire che certe cose non le puoi fare”]

Una è fatta

certificato di idoneità alla patente

Un Amico

ha scritto questo per i miei diciott’anni, e vi invito caldamente a leggerlo. Perché è una amara – ma realistica – riflessione nata dal mio ultimo post, e da questo dialogo.

G – dai dimmi qualcosa di te…di questi 18 anni…dei cambiamenti…reali, che senti.. sono curioso! E’ come se cercassi di capire quello che non ho sentito
I – non sento cambiamenti in realtà.. insomma, da ieri a oggi…
G – ma sai che intendo!!!
I – ok, ok.. forse mi sento un po’ più cazzuta e disillusa.. ti ricordi quando ti parlai di quella mia compagna delle medie che ho ritrovato più “incazzata”? Ecco, in un certo senso anch’io… Poi resto la solita sentimentalparanoica, però mi sembra di avere quasi-archiviato certe vicende; e dato che, per farlo, ho dovuto violentarmi un po’… una certa scorza me la sono costruita
G – …posso dirti una cosabanalecolcuoreinmanoovvia
I – prego ^^
G – ti prego non cambiare troppo… Io sono disilluso…un depresso…poi ora le cotte mi durano meno di quanto mi duravano tempo fa…è un segno degli eventi… non diventare come me….lasciati andare ai sogni…e perché no anche alle paranoie! Sii bambina…sii adolescente! Si ok che ne ho 21 e non 60 però…non mi piace crescere
I – sai perchè si cresce in questo senso… per difendersi. Crescendo ci si sente un po’ buttati nel mondo, fuori, in posti pieni di difficoltà. E bisogna trovare un modo per sopravvivere… perciò.. il fanciullino muore
G – che mondo meschino per crescere devi difenderti…
I – è normale… prima ti difendevano gli altri, ora devi difenderti tu. Ma difendersi non significa diventare aridi o aggressivi… mi piace e, spero, mi piacerà sempre abbandonarmi ai sogni…. E alle paranoie!
G – a volte penso di diventare arido…ne ho paura… ora m’è venuta la forza di uccidere molte cose belle che avevo in me… e non mi piace…
I – ti sei comportato in questo modo perché hai preso delle bastonate che l’anno scorso forse non avevi ancora preso… perciò adesso vuoi evitare di prenderne altre, e ti difendi così
G – mmmmh….sarà, ma non mi piace…
I – neanche a me piace a volte…. sarebbe bello non averne bisogno… sarebbe bello avere a che fare con gente come me e te, gente che riesce a battibeccare e a perdonarsi presto, perché il legame che c’è è più importante di qualunque cazzata possa capitare
G – …
I – e sarebbe bello sentirsi sempre liberi di ammettere le proprie paranoie e debolezze, senza doversi mostrare diversi da ciò che si è per paura