Monthly Archives: Aprile 2007

Se è sbarrata è sbagliata

Attenzione! Appello poetico: aiutate una poesia orfana e mutilata

Sfogliando le dispense di Bertoni che m’appresto a studiare, ho trovato un manoscritt…no, una mezza poesia fotocopiata. Solo che non c’è titolo, quindi forse manca la parte iniziale, e non c’è autore.
Epperòèbbellissima.
Cioè, quest’uomo/donna ha poetato sul mio ultimo post, anni prima che lo scrivessi, và. [Da ciò si deduce che non sono per niente originale, MA direbbe Purini: "Sapere che tutto è già stato fatto non è un limite all’invenzione, ma una sua fondamentale premessa" (vedi Gio che ho imparato qualcosa ^^)]

Comunque, Google non ne sa nulla e io sono persa. C’è una poesia orfana di inizio, titolo e autore. Quindi, cari i miei Piccoli Filologi Crescono, indagate.

 

E’ vero, ho giustificazioni da addurre,
ma la mia colpa principale è la speranza
e di me fa lo stupido animale
che uno zòtico guardiano
allo zoo per diletto gli astanti sbeffeggia:
annaspo a futili esche, sbatto il muso

e lui ride e anche io voltandomi intorno.
Dovrei cambiare gioco, ma questo conosco,
la via al bene, che mi ha insegnato
il nemico del bene e nostro,
l’imperturbato campione di judò che mi sfianca
mi torce tendini e cartilagini.

Così a mia discolpa avrò anche l’essere stremato
quando conforme alla previsione
battuto con onore desisterò.
Ma quanto intanto fingere di non sapere
che se è sbarrata è sbagliata
la via dove insisto – e il bene ha un diverso nome.

Ma chi ci ha condannati

alla speranza?

Vorrei che le cose fossero soltanto ciò che sono.
Invece si fingono sempre ciò che spero.

No, il problema non è strettamente il fatto che poi non si realizzino.
E’ piuttosto tutto il tempo perduto a guardare una falsa verità.

Mi avevano detto

che Notre Dame de Paris è un mattone infinito, pieno di sbrodolamenti descrittivi e digressioni storico-artistiche. Quando dicevo che mi toccava leggerlo per l’esame, raccoglievo condoglianze.
Quindi probabilmente sono malata.

Ma a me è piaciuto un casino.
Ok, ho saltato qualche paginetta, però ben poche rispetto al malloppo – e poi non rompete, ché Pennac mi ha assolto.

Mi asterrò dal far commenti, che tanto mi usciranno dalle orecchie appena mi farò passare gli appunti di Basile; tuttavia non posso evitare di pormi una domanda cosmica:

perché nei romanzi storici i personaggi femminili sono tutti rincoglioniti?

Ora, di Lucia si sa: ogni professore si toglie lo sfizio di smerdare Manzoni per aver creato una giovane donna così pia, saggia, coerente e pallosa. Prima ancora di cominciare a leggere i Promessi, uno studente la odia già, più o meno per la stessa ragione per cui odia Topolino.
Dunque si dice che sia un personaggio piatto, poco approfondito. Lucia.
…Ma vogliamo parlare di Esmeralda?
No, dico, parliamone. Lucia al confronto è una mente di tutto rispetto – pallosa, vabbè, ma alla fine il sugo della storia lo tira fuori lei.
Esmeralda, invece, è una pura beota. 16 anni di vita zingaresca avrebbero dovuto renderla scafata e cazzuta contro gli ingannatori, oltre che, magari, astutamente puttanella per guadagnarsi il pane. Da brava strafiga, avrebbe potuto usare quel talento per far strada socialmente in una Vallettopoli ante litteram.
Ma se Esmeralda l’avessa data subito, non si sarebbe potuto fare il romanzo.

Quindi Esmeralda doveva essere la precorritrice* pagana di Maria Goretti, con un’aggiunta di stupidità.
Per tutto il romanzo, la zingara fa quattro cose: balla, canta, si spaventa e dice “Phoebus”.
Phoebus è la causa principale del suo rincoglionimento, ovvero un bell’arciere di cui s’è innamorata. Non mi dilungherò a descrivere il loro rapporto, perché per comprenderlo basta immaginare una tredicenne arrapata che squittisce dietro a Scamarcio.
Ora, bisogna ammettere che anche le infatuazioni maschili non hanno basi più nobili di una tempesta ormonale; ma è proprio quello il bello del romanzo. E’ così animalesco, brutale, per niente consolatorio (e su questo Manzoni sta su un altro pianeta; mettiamo pure che sia romanzo senza idillio e tutto, ma vogliamo paragonare la tragicità?).
Tuttavia, i due uomini innamorati hanno una loro dignità di personaggi tormentati e drammatici: quel sentimento impossibile li scava dentro trascinandoli verso una specie di follia disperata e dannata, che Hugo descrive senza lesinare dettagli.
Esmeralda no. L’amore di Quasimodo ti fa una compassione struggente, quello di Frollo una compassione tragica, quello della zingara ti sembra superficiale e basta. Lei si limita a nominare continuamente l’amato con aria assorta, fino all’apice di assurdità: riuscita per un soffio a nascondersi in una celletta, tutta attenta a rattrappirsi e a non fare alcun rumore per non essere scoperta dai soldati, che là fuori la stanno cercando, sente la voce di Phoebus e che fa? Lo chiama e si fa sgamare!
Cioè, uno alla fine comincia a tifare perché la impicchino davvero.

*Ebbene sì, questa parola orribile esiste davvero ed è il femminile di precursore. Controllate. Poi non usatela mai più.

A.A.A.

Cercasi attività concreta, coerente col senso della mia vita, utile all’umanità o almeno a una sua porzione, gratificante, che implichi relazioni personali complesse, sporche, aggrovigliate e problematiche; da svolgersi preferibilmente in contesti non borghesi, o comunque atipici, precari, insoliti e variamente disturbati.
Astenersi filologi, burocrati della filantropia, inconcludenti astratti.
Graditi idealisti pragmatici, progettisti di sogni, architetti di speranze e legislatori di futuro.

[Perché Lettere sta anche diventando bella, bella per passare un pomeriggio a leggere Hugo, per lasciarsi affascinare da qualche poesia contemporanea, per interrogarsi con Manzoni sul male nel mondo o scoprire che i musulmani nel medioevo erano troppo avanti, per avere abbastanza tempo libero dato che c’è lezione tre giorni a settimana.
Ma è un passatempo. Un divertimento per teorici annoiati. Mia madre dice sempre che Virgilio c’aveva ‘sta visione bucolica perché non la zappava lui, la terra.
Perciò Lettere si può anche fare, ma non ti riempie la vita. Almeno, non la mia. Bisogna farla assieme a qualcos’altro.
]

[Sarà che come sempre mi vengono i brividi quando assisto a conferenze o lezioni di qualche professore più o meno stantìo, che spiega come fior di cervelli abbiano passato la vita a indagare chi cazzo era Matelda del canto ventottesimo.
No, figo eh. Curiosità caruccia per passarci un pomeriggio a discorrere.
Un pomeriggio. Che già è tanto.

Ma la vita, la vita quella che c’è una volta sola, la spendi per qualcuno. Non per qualcosa.

E il feticismo della letteratura sta tra i qualcosa.]

I rapporti

sono giochi di reciproche aspettative.

Se tu ti aspetti qualcosa di buono da me, e io voglio soddisfarti, m’impegnerò e ci riuscirò.
Se t’aspetti che non abbia ho nulla da darti o da dirti, vedrai che non l’avrò davvero.

Se io credo che varrebbe la pena parlarti e cercarti, troverò il modo.
Se mi convinco che con te sarebbe inutile, che non c’è futuro possibile, resterò zitta a guardare.

E non è mica detto che ciò che uno s’aspetta e crede sia poi azzeccato. Anzi. Ci si fanno tanti di quei castelli in aria che non c’entrano un tubo con la realtà…
Così, non potendosi incazzare direttamente con quella stronza della speranza che non ci prende mai, si riversa la frustrazione sul povero Cristo di turno, colpevole di non corrispondere alle aspettative. E il povero Cristo tende a incazzarsi, ché di Cristi crocifissi e misericordiosi ce n’è stato giusto uno.

Sì, sì, tirate dritto e andate oltre. Ma in ‘ste dieci righe di post sgangherato c’è il 70% dei drammi umani, fidatevi.

[Appunti dopo una festa]

Addio

demolizione

 [A un raggio rosso del tramonto di traverso…] 

So che stai arrivando – digrada
la luce, si macchia
d’arancio e prepara
la rincorsa a tuffarsi sopra i tetti –
Ma non presentarti, stasera, al tuo appuntamento
– fermatelo, tenetelo, una nuvola, qualcosa! –
non arrivare correndo col mazzo di rose per l’amante che non c’è…

E invece scendi come sempre festeggiando guardi intorno cerchi freni e smarrito
crolli a rivoltarti tra i rottami
avvinghiando di ombre lunghe il corpo trucidato
e lo avvolgi di baci rossi lo arroventi
ma non puoi resuscitarlo…

L’altra sera ci avevo fatto caso
fischiettava l’aria e soffiava un fresco bello… vi ho guardato
accarezzarvi e splendere, pensando: per quanto?
Sembrava
un addio…

Ora abbracci abbandonato
e stanco un monticchio di macerie
Dura poco, ancora, l’agonia
un attimo e dispari nel blugrigio sera…

Per te è breve
ma per me, la nostalgia?

Ebbene sì

anch’io ho perso il mio tempo così.

http://rifleman.altervista.org/friendtest/test.php?usr=debergerac

(Mo’ sono troppo curiosa di vedere come risponderete)

P.S.
Epperò non vale farlo anonimi… abbiate il coraggio di arrivare ultimi e farvi smerdare, ma con dignità!!! :-)

Un allegro

vaffanculo.

[No ma non ce l’ho con nessuno. Quasi. E’ un vaffanculo cosmico.]

VIII Lettera a Dio

Caro Dio,
qui parlano troppo di te. Ne parlano tanto che ti hanno chiamato Parola – solo che poi la Parola la scrivono loro. Naturalmente anch’io faccio più o meno la stessa cosa, con la mia religione autogestita, ma almeno ho l’umiltà del dubbio. O forse la presunzione di non poter sapere.
Un po’ me la sono cercata, bisogna ammetterlo. Troppi gruppi in una volta portano all’overdose cattolica – e non dicono in realtà niente di nuovo. Ognuno ti canta in modo diverso, chi più lirico chi più schitarrante, ti appiccica addosso qualche fronzolo particolare, e poi? La verità continua a non sapersi. 
Invece quel tuo cappellano reazionario è sempre più convinto di averla in tasca. Non trovi sia buffo, come sta tutto dritto, come si stravacca all’indietro sulle sedie ostentando sicurezza? Non te la sei fatta una risatona cosmica sentendolo declamare le virtù della sofferenza? Dico, l’avessi sentito mentre stavi lì a contorcerti appeso alla croce, per me un divino sputo in un occhio gliel’avresti mollato.
Ma lui ha ragione.
Lui ha sempre ragione: come la Chiesa. L’hanno deciso tra IV e V secolo, se non mi sbaglio, sprecandosi in decretali: papa erede di Pietro, papa ha il diritto di decidere, giudizio del papa inappellabile. Stabilito in una quarantina d’anni e tre papi. Poi qualcuno non c’è stato e ogni tanto litigavano, ma alla fine hanno vinto.
E i cristiani son rimasti fottuti.

Caro Dio, in effetti è vero che lui ha ragione.
Sono io che ho torto.
Come dire, se ti iscrivi al circolo della briscola, significa che ti piace giocarci. Conosci le regole e le segui. Se non vuoi, non è che inizi a contare i punti di settebello e primiera, semplicemente molli. Ti iscrivi al circolo della scopa.
Perciò ho torto, e non ho il diritto di lamentarmi. A voi piace così, ci credete, godete a fustigarvi e illudervi? Crepate e risorgete per i fatti vostri. Io mi iscrivo a un altro circolo. O mi dò al solitario.

Sai, Dio, ogni tanto ho un po’ di nostalgia di te. Ecco, ora qualche ciellino ricorderà che tutti gli uomini hanno nostalgia di Dio e ciò dimostra che non si trova pace che lì e blablabla. Sì, don M., nella mia prossima vita leggerò anche la Confessioni.
Ma vedi, Dio, sai bene che si ha nostalgia anche delle illusioni, delle cattive amicizie perdute, delle pessime strade ormai abbandonate; mancano ancora solo perché c’è rimasto impigliato un po’ di tepore a brandelli. Come l’infanzia che s’idealizza. Quindi la nostalgia non dimostra niente.

E adesso, giusto adesso che non ha più senso, stanotte dopo aver sentito due ore di ringraziamenti a un Dio che annega gli egiziani, mi ritrovo sempre più impelagata nei rituali già visti.
Caro Dio, se sbirci nella tua contabilità peccatoria, dovresti notare che, tra le duecento colonne a me riservate, di solito non è citata la volontaria ipocrisia. Far la farisea è proprio una cosa che mi schifa. Magari ti mando a quel paese, ma con sincerità.
Quindi in questo momento mi schifo abbastanza.
Spero apprezzerai almeno l’onestà di rinnegarti per tre volte, tacendo il Credo.

Poi magari il gallo canterà, io piangerò e ci rivedremo. Ma non saprei.

Ah, un’ultima cosa. Nel caso in cui fossi risorto (tu o tuo figlio, insomma, dovrebbe essere più o meno uguale), e se lì alla destra del Padre (poi mi spieghi bene qual è la destra e la sinistra di Dio) arrivasse il collegamento a internet, e quindi se tu potessi veramente leggermi, ecco, oltre a maledirmi per eccesso di subordinate ipotetiche, sarebbe carino se mandassi, che so, una ricevuta di ritorno, un francobollo speciale del Paradiso a tiratura limitata, una cartolina firmata di tuo pugno; meglio ancora una firma digitale con certificato di validità (e controlla il lucchettino di explorer, in basso a destra). Le madonne in lacrime e le stimmate ormai hanno perso attendibilità, sai, siamo in un’epoca relativista e scientifica.

Dai, non te la prendere. Si scherza un po’. Lo sai che se esistessi ti vorrei bene.
Non ce la posso fare a crederti, no. Però spero che, quando s’alzeranno a lapidarmi, qualcuno li fermerà dicendo: ha molto amato.
Sicuramente in modo distorto e parziale ed egoista, ma non penso che quella puttana grondasse amor cortese; quindi, se l’hai detto a lei, qualche speranza ce l’ho.

Senza miraggio

[Nostalgie da Venerdì Santo] 

Quel contadino
si affida alla medaglia
di Sant’Antonio
e va leggero

Ma ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima

(Giuseppe Ungaretti)