Sì, lo penso.
Che abito con persone che non conosco, e che forse
– lo dicono le lettere che ho letto di nascosto; lo dicono le storie – chissà quanto romanzate? – che ancora qualche ricordo in chiaroscuro mi racconta (con una voce sempre dall’alto, oltre il petto che mi tiene in braccio, oltre il mento visto da sotto) –
ci sono mondi profondissimi di là dalla parete. Ma
– lo dice l’impossibilità di guardarsi negli occhi, la disperata ostinazione con cui l’alma mater mi inventa ridicoli bisogni, pur di sentirsi ancora utile a risolverli; lo dice la quotidiana fuga di un quasivecchio (tra internet e dipinti, anziché all’osteria, ché qui abbiamo alienazioni laureate, che credete), finito ormai così lontano da non saper più tornare –
se ne andranno prima che possiamo conoscerci.
Peccato.
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