Monthly Archives: Aprile 2008

Sottofondi

[Guardando mafie su youtube] 

Non possono metterci come immagine quel mare al crepuscolo e i promontori-ombre e le lucine tremolanti naviganti attorno a un molo – perché poi ci vuole un attimo a immaginarci là seduto qualche vecchio e una storia raccontata in un dialetto che ricordo – anche se forse ormai non so più dirlo.
Non possono coprire la mia storia con un’inchiesta in buona dizione – ditela per carità, e gridatela! ma inserite nel filmato che so io, una morta cattedrale nel deserto, un casermone rotto, un bidone rovesciato di benzina – lasciate stare il mare e i moli e la mia immaginazione.

Eppure questo è il modo vero: nessun paesaggio – dei miei – è mai rimasto solo a lungo. C’era sempre un grido – a manciari! – prima o poi, una bestemmia per il gioco a carte, una sciarra contro il nonno pedi pedi; una rete prima delle rose, una palma troppo grande in mezzo alla visuale, gelsi in terra ad impestare i passi, un flautista morto per errore.

– Non voglio cascate, Edel, ma la pace di un lago, non voglio querce ma betulle, e quelle montagne in fondo devono diventare colline, e il giorno un tramonto, il vento una brezza, le città paesi, i castelli giardini. E se proprio ci devono essere dei falchi, che almeno volino, e lontano.
– Si; ho capito. C’è solo una cosa: e gli uomini?
Il barone tace. Osserva tutti i personaggi dell’enorme tappezzeria, uno ad uno, come a sentire il loro parere. Passa da una parete all’altra, ma nessuno parla. C’era da aspettarselo.
– Edel, c’è un modo di fare degli uomini che non facciano del male?
Se la deve essere chiesta anche Dio, questa, al momento buono.
– Non so. Ma ci proverò.

Ora ci vorrebbe una cartina

– nel senso di mappa – da scorrere col dito fermandolo a caso, qualche nottata su internet cercando ostelli, una moleskine nuova da riempire, e il rumore del treno già in testa.

Ah, ovviamente anche qualcuno sul sedile accanto.

[Non poter rispondere a un "che farai d’estate" richiama improvvise consapevolezze.
In effetti, non c’è nessuno.
]

Perle elettorali – 3

[…e temo ci saranno seguiti per il resto dei miei giorni]

"Ma come fai ad essere con lo SO?!? E’ un paradosso come Grillo in politica!"

Perle elettorali – 2

– Scusa, sai che oggi ci sono le elezioni universitarie?
– Mmm… no… spiegami un po’ come funziona…
– Allora ci siamo noi di sinistra, poi lo student office dei ciellini, che sono più di destra…
– Ah-ahn [io di destra? Ti spezzo le gambine tesoro…] Ma cosa significa di destra o sinistra all’università esattamente?
– …Beh, loro hanno un sacco di potere, sono COSI’ [gesto di due dita affiancate aumm aumm] col rettore, gestiscono la mensa universitaria, usano il potere per i loro interessi economici…
– Ah-ahn…
– …poi per carità fanno un sacco di cose utili anche loro eh, sono molto attivi [ah GRAZIE! Che dolce che sei…] comunque l’importante è votare, votano in pochissimi, questo toglie valore alla rappresentanza [eh c’hai ragione], quindi io ti dico, vota quello che vuoi, ma vai a votare, se vuoi ti accompagno… ti lascio il santino…
– Grazie… è che non sono molto informata, casomai vado io dopo, adesso ci penso…

[Un’ora più tardi, davanti ai seggi chiusi]

– Ciao! Allora sei qui, hai votato!
– Certo! Ho votato per me, sono candidata con SO [sorriso a 32 denti]
– ……………………………………………………………….

[Grosse, grasse risate]

Perle elettorali – 1

 [Ho degli amici geniali] 

“…Cercano di capire chi è stato votato, e se un candidato importante non ha abbastanza voti si accordano per dargli le loro preferenze…”
“Ma allora non è un’elezione, è un conclave cardinalizio

“Mi ha rotto le scatole per giorni, mi ha chiesto quando avrei votato e non gliel’ho detto, ma poi l’ho incontrata per caso, così mi ha accompagnato al seggio… una volta dentro però… ho scordato il suo nome! ……..GIUSTIZIA DIVINA!” 

"…la vostra campagna elettorale? Un flusso ininterrotto di sorrisi isterici"

“e insomma, sarai una boss di CL, intima del loro Giussanino di quartiere, battagliera e fiera d’una paradossale indipendenza in un mondo di gruppi tentacolari. 
E per avere tutto questo non dovrai darla via a nessuno, perchè sono ciellini.
……(non è che ti dispiace?)”

Oooold friends

Ci si potrebbe scrivere un romanzo di formazione, o una sceneggiatura da film adolescenziale. Di quelli che iniziano con un tredicenne timido e grassotto alla prima canna, e finiscono con la sua fotografia in camicia e cravatta assieme a moglie e figli, con in fondo una scritta scorrevole per spiegare come sia stato possibile.

Li guardavo ballare – nella loro abituale confidenza, che non è mai stata mia – e passavo il tempo immaginando su quali foto si sarebbe chiusa l’ultima dissolvenza, che razza di storie avrebbe raccontato la didascalia.
Dovrei farmi uno schemino per ciascuno, riassumere progetti e aspettative, poi riprenderlo tra altri sette anni – porca miseria, sette anni che ci conosciamo? – e ridere tantissimo di ingenuità, fallimenti, vittorie a caso e giri strani della vita.

Dj Vale passa a canzoni romantiche, tanto per farci del male; e quelli cantando barcollano ridono si abbracciano o si aspettano da lontano, girando avvolti nei loro intrecci di sguardi e di mani – c’è da passarci la notte, a sorridere seguendone i fili; senza stupirsi nello scoprire che nessuno di essi mi annoda davvero.

Sul ponte

– Beh, che fai qui?
[Sguardo stupito ponte sul fiume alberi grigi]
– Penso
[Anatre sballonzolano sulle increspature. Perplessità su una fronte.]
– A?
[Si appoggia alla balaustra e si volta]
– Alle ingiustizie irrisolvibili.
[E’ netto il "punto" a fine frase. Sconcerta l’inaspettata gravità. Due sopracciglia cercano febbrilmente l’espressione adatta – in fondo alla testa, il tonfo di un crollo e l’allarme: improvvisabreccianellemura – Attenzione, Verità!]

– (omissis)…e nessuno potrà mai amarlo sinceramente.
(Nessunonessunonessuno divineràtoccheràeviterà conbastanteallarmebastanteamore)

[Sale umidità, ho male alle ossa. Dimmi almeno che, sgrana almeno gli occhi, commuoviti, o qualcosa di umano, dai.
[Anzi, contraddicimi. Dimmi che non è vero. Qualcuno suona uno strumento a fiato in un punto lontano del parco, scivolano ripetitivi arpeggi appena sopra i versi e l’acqua e le foglie.
[Invece nemmeno tu sai rispondere, non è così?
[Certo che finiva con un punto, ma era una domanda, no, era una preghiera. Chissà quell’albero che pende sul torrente da quanto tempo sta lì.
Non seminano, non mietono, ma il padre vostro che è nei cieli. L’albero è ancora lì e vive in un suo strano modo, senza bisogno di essere amato. Che cosa buffa e pacifica, essere piante. Fa freddo e mi stai guardando. Le tue sopracciglia cercano ancora un’espressione poco sperimentata.
[Socchiudi due labbra asimmetriche, stai per dire qualcosa di inessenziale. Fa’ che sia intonato col ripetitivo arpeggio e i versi e l’acqua e le foglie, fa’ che sia reale. O almeno caldo.
[Sto nettamente percependo di esistere, e di esistere in un meccanismo guasto all’origine, insieme ad altre esistenze guaste condannate per sempre ad ondeggiare sui piedi con in mano una baguette.]

Scendendo dal ponte non c’era più nessuno, ho fatto tardi. Né c’era stato nessuno sopra al ponte, a dire il vero.

Zoo

E’ buffo come abbiamo tutti bisogno di qualche verità semplice. Anch’io ne ho bisogno.

Ci vogliono chiari rappresentanti del Bene e del Male, e l’apoteosi del rilassamento è ritrovarsi in un caldo gruppo di esseri simili, che condividano gli stessi parametri; quindi, abbandonarsi alle affermazioni più azzardate, sentimentali e imprecise, sapendo che il sostrato comune impedirà malintesi e non servirà argomentare alcunché.

Poi si torna nel mondo reale, accoccolati stretti attorno alla propria cristalleria di opinioni, per portarla in salvo fino all’altro capo di uno zoo esotico con tutte le gabbie aperte.

Umberto Saba, Un ricordo

Non dormo. Vedo una strada, un boschetto,
che sul mio cuore come un’ansia preme;
dove si andava, per star soli e insieme,
io e un altro ragazzetto.

Era la Pasqua; i riti lunghi e strani
dei vecchi. E se non mi volesse bene
pensavo e non venisse più domani?
E domani non venne. Fu un dolore,
uno spasimo verso la sera;
che un’amicizia (seppi poi) non era,
era quello un amore;

il primo; e quale e che felicità
n’ebbi, tra i colli e il mare di Trieste.
Ma perché non dormire, oggi, con queste
storie di, credo, quindici anni fa?

Apparizioni

Avevo appena finito di dire che non l’avevo più rivista. Se mi piacesse abbandonarmi a cercare fili conduttori fra le coincidenze, attribuirei alla scrittura qualche magico potere evocativo.

Vado a prendere la macchina al parcheggio sotto la chiesa; c’è un carro funebre accanto. Mi viene incontro un gruppetto di vecchi, a buon passo per la piazza; chiacchierano, uno indica qualcosa e sorridono fra loro, in serena disarmonia con le cravatte nere. Chissà chi è morto, dev’essere uno vissuto abbastanza.
Faccio retromarcia, e mentre giro per infilare la stradina mi passa davanti un naso inconfondibile sotto enormi occhiali scuri. Contrariamente al solito, l’ho riconosciuta all’istante. Mi pareva di averla vista ieri l’ultima volta – forse l’unico modo per farsi riconoscere da me è causarmi qualche trauma psicologico.

– Prof – abbasso il finestrino – prof!
– Ciao – anche la voce, la voce è inconfondibilmente quella, un po’ nasale e sbrigativa, quella che tanto spesso mi rimbombava in testa.
– …Ma… mi riconosce, sì?
– Certo – dice senza sorridere, con rapida naturalezza; come se non stesse vedendo alla guida di un furgone un’ex tredicenne impedita, che aveva la metà dei capelli, il doppio delle paranoie e un decimo di libertà. – Ciao.

E se ne va.

[Accelerando, ho tirato su il finestrino, perché non mi sentisse nessuno mentre dicevo fra me e me che certa gente è proprio strana.]