Monthly Archives: Novembre 2007

Contrasti

Il fatto che tu stia strippando perché devi lavorare perché devi pagare perché non ti bastano i soldi né il tempo
e che io stia studiando la diatriba se Dante sia partito dalla selva l’8 aprile o il 25 marzo

mi interroga moralmente.

[Esistere implica una responsabilità. Che non sto assolvendo.]

(Un anno dopo)

“Il nostro concetto di morte è sbagliato. Leghiamo troppo la morte alla paura, al dolore, alla tenebra, al nero: esattamente il contrario di quello che succede nella natura in cui il sole muore ogni giorno in una gioiosa esplosione di luci, in cui le piante d’autunno muoiono al meglio di sé, con una grandiosa esuberanza di colori. […] dovremmo considerare la morte non come il contrario della vita, ma semplicemente come l’altra faccia della nascita, come una porta che, vista da una parte, è l’ingresso, dall’altra è l’uscita.”

(Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra)

[Certo, sono solo belle parole, e le belle parole non colmano le assenze. Ma è un po’ vero che alla “Signora dall’uomo detta la Morte, l’acqua la pietra l’erba l’insetto l’aedo danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra”.]

Un abbraccio.

Guido Gozzano, Alle soglie

I.

Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo,

pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori
sovente qualcuno che picchia, che picchia… Sono i dottori.

Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni,
m’auscultano con gli ordegni il petto davanti e di dietro.

E sentono chi sa quali tarli i vecchi saputi… A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli.

“Appena un lieve sussulto all’apice… qui… la clavicola…”
E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro.

“Nutrirsi… non fare più versi… nessuna notte più insonne…
non più sigarette… non donne… tentare bei cieli più tersi:

Nervi… Rapallo… San Remo… cacciare la malinconia;
e se permette faremo qualche radioscopia…”

II.

O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,
la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi?

Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace

e l’ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d’un bosco, coi minimi intrichi dei rami.

E vedon chi sa quali tarli i vecchi saputi… A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestiere pagarli.

III.

Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo,

mio cuore dubito forte – ma per te solo m’accora –
che venga quella Signora dall’uomo detta la Morte.

(Dall’uomo: ché l’acqua la pietra l’erba l’insetto l’aedo
le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra.)

È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.

Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.

Ti svegli dagl’incubi innocui, diverso ti senti, lontano;
né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.

Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,
sereno come uno sposo e placido come un novizio.

20

2 (due)

anni da quando ho deciso di smettere la nostalgia.
picche ricevute senza chiederle.
facoltà – e vite – possibili, tra le quali ho scelto.
gruppi cattolici abbandonati.
blog lasciati a causa di lettori indiscreti.
-mila scommesse perse, ma fatte con orgoglio.
e mezzo, pezzi da tastiera imparati in tre anni. Un successone ^^.
fresche conoscenze con cui vorrei tanto parlare, parlare, parlare…
persone che, più di altre, mi hanno costretto a decidere chi sono io.

0 (zero)

modi trovati per migliorare il mondo.
virgola zero zero zero uno: percentuale di utilità sociale dei miei studi.
certezze teologiche.
persone innamorate di me.
voglia di censurare punti vittimisti come il precedente.
progetti concreti per il futuro.
intenzioni di passare la vita cercando aggettivi per definire una poetica.
forza di volontà masochistica per inseguire rapporti senza futuro.
capacità di confidarmi, se l’altro non mi sottopone a uno stretto interrogatorio (in cui spero).
possibilità di essere sempre quel che vorrei.

Il resto, sta negli altri numeri.

Auguri a me.

[E’ così strano, venti. Fa una rima diversa, cade male come una camicia troppo larga. Venti? Ma scherziamo? Non erano i grandi, quelli di vent’anni?]

Quando vai in una cartoleria

del centro, e dietro al bancone c’è un vecchio
che alla richiesta “avete candeline da compleanno”
risponde sorridendo, con malinconica sufficienza
“non si usano più”

ti senti vecchia.

Ora mi verranno a dire anche che Babbo Natale non esiste, e sarà finita.

[Era un pezzo – dai tempi della scuola – che non mi alzavo pensando sì, la lezione sarà una palla, ma ho lo stesso un bel motivo per andarci]

Novità a sinistra

No, non quella sinistra, perché lì non ci sono mai novità.

Novità nella colonna sinistra di questo blog: sì, quella cosa sbiadita dal becero accostamento di colori sarà, in genere, una poesia. (O un pezzo di poesia, perché ho pietà del lettore frettoloso. Ma il lettore perditempo potrà cliccare lì sotto e leggerla tutta). Di qualche poeta più o meno laureato, chiaramente, ché il mio egocentrismo si esprime già a sufficienza nella colonna di destra.

Ora, io lo so che la poesia è una cosa inutile, che non si capisce a meno di soffermarvisi per più di quei dieci distratti secondi che passate qui, e che a quasi tutti voi, della poesia, non frega un’emerita minchia.
Però, ecco, io la metto lì.

E se ne metto proprio una e non un’altra, proprio quel pezzo e non un altro, un motivo c’è sempre.
Qualcosa vorrò dire.

[Questo blog non è mai stato un gioco letterario. Con tutto il rispetto per i giochi letterari.]

Valerio Magrelli, Elegia

L’uomo passa all’uomo penuria.
Si approfondisce come un’insenatura.
Esci prima che puoi,
E non aver figli tuoi.
P. Larkin

Se tutto ciò che cresce e brucia è brace,
amore è visione del rogo.
Pensa all’estate,
che nasce dissanguandosi
in una sorridente emorragia di luce.
Ciò che ti è caro muore, ciò che muore
ti è caro, se qualcosa ti è caro,
è perché muore. Ed ecco il corollario:
“Ciò che ti è caro, è solo la sua morte”.
E’ sera, nella stanza dei miei figli.
Disteso accanto a loro, li ascolto cinguettare.
Un bosco al buio. Posano
sui miei rami il peso caldo e vivo della voce,
un peso-volo trepidante.
O devo credere che siano solo le punte
incandescenti di un fuoco mezzo spento,
crollato, mezzo freddo, di un tizzone
già nero e muto, già muto,
mezzo morto?

Continuo a sfiancarmi in cyclette,
ma dove vado? Vibra l’impiantito
di casa, nel vorticare convulsivo, immobile.
Ma dove vado? Vado nella musica,
parto in salita, tiro la volata
sul Walhalla dei suoni che si schiudono
davanti a me, mentre lo stereo-Fafner
vomita fuoco e fiamme.
Legato alla catena di montaggio della salute,
faccio il ventilatore,
sono il mulo alla macina che produce benessere
e giro perché giri il sangue mio
(gira, gira il derviscio, ma da fermo). Ah,
schiavitù di questo sangue infermo!
Non potresti girare da solo?
Niente; sta a me, badante di me stesso, portarlo in giro.
Forse, però, sto andando contromano:
ciò spiegherebbe perché tutta la musica mi viene addosso,
invece di sospingermi. Mi ostacola, l¹infame,
quando potrebbe aiutarmi a scavallare
questo dosso, che non finisce mai.
Pesano, certe raffiche di arpeggi,
e sudo e bestemmio in piedi sui pedali
lungo il velodromo della mia stanzetta, buio
come una galleria del vento.
Visto da fuori, devo sembrare un alienato.
Visto da dentro, pure.

Nota. Questa poesia nasce dal terrore che accompagna ogni felicità, dalla
sensazione della sua spaventosa vulnerabilità. Quanto ai versi di Larkin,
che ho ritradotto, mi seguono da anni: ho deciso di impiegarli come esergo,
perché ai miei occhi essi indicano il divario tra ciò che sarebbe stato
giusto e ciò che invece è stato vero.

Massimo Orgiazzi, Le cose rimaste intatte

Cos’è questa speranza
che va oltre le partite a scopa d’assi,
oltre i tuoi messaggini di ripiego?
C’è il sonno dopo pranzo
ora, un’insonnia che s’insinua cieca
tra le pieghe di questo stesso letto.
Ci sei tu che mi squadri per quell’asso
giocato male e, prima,
le passeggiate insieme
là sulla spiaggia, i miei baffi di sabbia.
L’assetto delle cose rarefatte
è mischiare ricordi ad esigenze,
rimuovere paure, ed acquisire
resistenze
;
il quadretto delle cose
rimaste intatte è dato da te,
invece: porti addosso
come abiti gli standard femminili
di questo tempo,
quando mi guardi e a scatti ti rivolgi
al mare, sempre più finto. Virtuale.
Poi, china, scrivi attenta al cellulare,
mandi via i tuoi pensieri.
Sempre gli stessi.
Cos’è questa speranza,
vorrei me lo scrivessi.

Come possiamo amare…

Come possiamo amare
due cose
in perfetta contraddizione fra loro
e che si escludono a vicenda?
Io le ho amate tutte e due
per amore della vita.

(A. Palazzeschi, Via delle cento stelle)

Insufficienza

[Segue da questo] 

– Salve
– No, sono le 19.04, sto chiudendo
– Appunto
– Sono già fuori di quattro minuti, qui non pagano straordinari, mi dispiace, arrivederci
– Ma io l’aspettavo
– Tutti qui aspettano, signorina. Da sempre. Lei aspetterà fino a domani
– No, dicevo, l’aspettavo stasera
– Eh che crede, che glielo consegnino subito? Lei inserisce la richiesta, che va nel database, poi rimane in attesa che qualcuno inserisca un curriculum corrispondent
РPerch̩ non mi guarda in faccia?
– Guardi non è che con una bella faccia si ritardi l’orario di chiusur… oh, salve.
– Non si ricordava di me?
РNo non ̬ che non mi ricordavo, cio̬,
– Non mi ha guardato
– Beh sa è che dopo una giornata che… e poi lei mi direbbe che non conta.
– Cosa?
– Non c’era “bello”, tra i suoi aggettivi. Me lo ricordo sa.
– Se lo ricorda?
– Già. Non c’erano nemmeno affascinante, attraente, avvenente, elegante, figo, occhiazzurrato, prestante, scultoreo, sensuale,
– Li sa a memoria?
– In ordine alfabetico. Sono i più richiesti. Poi ci sono i moralisti che si sentono in colpa e preferiscono usare eufemismi, allora chiedono un tipo.
– Quello dovrebbe esser facile da trovare
– Bah. Io so solo che ritornano sempre.
– Chi?
– Quelli che hanno inserito una richiesta. Anche nel raro caso in cui troviamo una corrispondenza e gli inviamo un articolo, in genere lo rimandano indietro e tornano a modificare la richiesta. Magari avevano messo premuroso e poi correggono in chemilasciimieispazi.
– E lei cos’ha scritto?
– Dove?
– La sua richiesta
– Ah… uhm.. è di tanto tempo fa
– E non l’ha mai modificata?
– No, beh… tanto non risponde nessuno comunque
– La trovo un po’ vittimista
– …
– O potremmo dire frustrato
– …Beh, io stavo chiudendo, anzi, me ne vado a casa ch’è tardi
РDai, si ̬ offeso?
– No, fuggo dalla verità
– Quindi è vero ch’è frustrato
– Vorrei vedere lei, col lavoro che faccio
– E col tempo che ha aspettato
– E col tempo che ho aspettato.
– Sa che in spagnolo si usa lo stesso verbo per aspettare e sperare?
– Uh, buffo.
– Ottimistico. Aspettare significa avere una speranza.
– O sperare significa sopportare un’attesa.
– Prima o poi le attese finiscono
– Un po’ come le speranze.
– Il suo vittimismo peggiora, lo sa? Mi sto annoiando.
– Per me può andarsene
– No, non mi ha ancora risposto
– A cosa?
– Cos’ha scritto nella sua richiesta?
– Che importa? E’ roba vecchia
– A me importa.
РPerch̩?
– Lei si ricorda bene la mia. Anch’io voglio sapere della sua.
– Ahah, ma la sua era facile da ricordare. Mai sentite richieste più assurde! Cos’era pure? Spiritualità autogestita, abbastanza relativista, consapevole… che poi devo ancora capirlo, ‘sto cavolo di consapevole, cosa fosse
– E la sua?
– La mia, la mia…
– …
– Non c’è.
– Come? L’altra volta si era incavolato dicendo che
– Avevo detto ch’ero in attesa. Ma non ho mai inviato nessuna richiesta.
– Aspetta che qualcuna cada innamorata del suo curriculum, leggendolo per caso tra migliaia? Ne ha di autostima.
– Non ho mai inviato nemmeno il mio curriculum.
– …Oddio. Lo sapevo, sto sbagliando tutto. E’ gay.
– No.
– E’ un prete.
– No.
– Seminarista. Almeno chierichetto. Ciellino, dai.
– No. Potremmo dire spiritualità autogestita.
– Ah però. E allora perché?
– Così. Insufficienza di parole.
– O di coraggio?
– Serve coraggio per elencare aggettivi?
– Per mandarli in giro, un po’ sì.
– Preferisco mandare in giro me stesso
– Infatti se ne sta dietro questo sportello tutto il giorno
– …
– E non guarda nemmeno in faccia chi si presenta
– …
РE non racconta mai niente di s̩
– …
– A parte lamentarsi e dire ch’è frustrato, certo.
– Non è vero che non parlo di me. E’ che nessuno mi chiede. Tutti qui hanno troppo da parlare.
– Io le sto chiedendo
– Già a proposito lei chiede chiede ma non mi ha detto ancora nulla. Per esempio
– Dica
– Cosa vuole?
– Nella vita?
– Da me
– E’ pure piuttosto egocentrico. La prima domanda che m’ha fatto riguardava lei. Anche Petrarca fingeva di parlare a una donna per sbrodolarci se stesso.
– Oh, vada a quel paese.
– Se mi accompagna
РPerch̩ mai, io non rispondo a mezzo punto della sua richiesta, che le frega
– Lei che ne sa
– La conosco, la sua richiesta
– Ma non conosce se stesso
– Nemmeno lei mi conosce
– Già. Appunto.
– Appunto.
– Conosciamoci.
– In senso biblico?
– Poi ero io quella invadente.
– Scherzavo.
– Una birra?
– Non bevo.
– Neanch’io.
– Allora perché me l’ha offerta?
– Frasi convenzionali.
– Insufficienza delle parole.
– Esatto.
– Vede che mi capisce.
– E’ un pezzo che la capisco.
– Però mi smerda.
– La comprensione implica verità
– La verità implica delicatezza
– …
– …
– …Scusi.
– Prego
– Allora andiamo?
– Andiamo.