Monthly Archives: Agosto 2006

Lettera alla Scuola di Barbiana

Cara Scuola di Barbiana,

sono Pierino. (Scrivete infatti: “i cromosomi del dottore sono potenti. Pierino sapeva già scrivere a 5 anni. Parla come un libro stampato. Già segnato anche lui, ma questa volta col marchio della razza pregiata”).
Sono Pierino e vi scrivo da un altro tempo.
Ho impiegato tre orette, l’altro giorno, per leggermi la vostra Lettera a una professoressa. Non ho voglia di confutare tutte le tesi che non condivido; primo perché in trent’anni avranno sprecato tonnellate di letteratura in merito, secondo perché, ricordiamocelo, continuo ad essere Pierino e a vivere in un altro tempo – dunque in un’altra società e in un’altra scuola.

Per esempio, non abbiamo più merda per fare confronti. “Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: la scuola sarà sempre meglio della merda”. Noi non abbiamo più merda. Lollo ha le mucche, ma non mi sembra molto provato; riesce giusto ad abbronzarsi un po’ prima di noi. In ogni caso, stufatosi sia della merda che della scuola, ha trovato diverse alternative.
I “ragazzi di paese” sono diventati ragazzi di città, mantenendo più o meno le stesse caratteristiche: “Consideravano il gioco e le vacanze un diritto, la scuola un sacrificio. Non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio. Il maestro per loro era dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo. Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c’era registro”. Noi ragazzi di città invece lo abbiamo, il registro; e questo finisce per confonderci un po’ negli scopi.
“Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare.
Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro.
Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello”
.
Sono cambiate molte cose, in trent’anni. Questo no. Salvo il fatto che il diploma ormai non fa poi tanti quattrini.
“Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei. Io lo conosco. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo.
E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?”
Cara Scuola di Barbiana, continuo ad essere Pierino e ad avere le mie riserve, ma il vostro fine lo firmo e controfirmo. Certo, ci saranno altre sfumature, altri modi per declinare l’amore; eppure sento che quelli che elencate prima o poi incroceranno la mia strada.

“Ma questo è il fine ultimo da ricordare ogni tanto. Quello immediato da ricordare minuto per minuto è d’intendere gli altri e farsi intendere”. Ecco, noi Pierini del duemila non ci poniamo questo problema. Siamo convinti di farci intendere benissimo e di capire il mondo – ciò non significa che sia vero, immersi come siamo nella complessità di messaggi contraddittori. Sì, magari non inciampiamo nel dialetto, mastichiamo un bèsic ìnglisc e sappiamo leggere un giornale. Poi non è detto che lo leggiamo, ma via, potremmo.
Dev’esser questa una potente differenza tra noi e voi: voi volevate senza potere, noi possiamo senza volere.
Tuttavia, anche così si cade in una divisione semplicistica: certi Gianni come il vostro non ne vogliono mezza dello studio, siamo sinceri. D’accordo, forse sarebbero stati diversi senza quelle troppe bocciature a scoraggiarli, l’ambiente ostile, la famiglia povera, per carità. Ma conosco qualcuno che ha cominciato pascolando capre in Sicilia ed è finito all’università. Suo fratello è passato soltanto dalle capre ai cantieri o giù di lì. Stessa famiglia, stessa base, fine diversa. Perchè? Quindi, ecco, non riduciamo tutto-tutto a una questione di classe.
Ok, ora conoscete meglio il mio lato Pierino.  

Povero Pierino, mi fai quasi compassione. Il privilegio l’hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta eguale. Perché non vieni via?
Lascia l’università, le cariche, i partiti. Mettiti subito a insegnare. La lingua solo e null’altro.
Fai strada ai poveri senza farti strada. Smetti di leggere, sparisci. E’ l’ultima missione della tua classe.
Ecco, oltre alla merda mi mancano anche i poveri. Non che non ce ne siano in assoluto, và, ma non passano mai da queste parti, ché queste parti sono sempre ben protette. Senza contare che il mio destino genetico m’impedisce di trasferirmi a Scampìa o frequentare bassifondi.
In realtà anche qui si può trovare un qualche genere di poveri, ma loro hanno una povertà più sfumata e nascosta, bisogna scovarla e saperla prendere nella sua complessità; non è che se ti piglia il sacro fuoco caritatevole, ti spogli in piazza e bruci i tuoi libri risolvi qualcosa.

Non tentare di salvare gli amici vecchi. Se gli riparli anche una volta sola sei sempre come prima.
Vedete, io credo che anche gli amici vecchi, ovvero i miei colleghi Pierini, abbiano nel sangue una loro povertà. Troppo facile gettarli via in blocco per non sporcarsi le mani e potersi vantare di star sempre e solo dalla parte dei poveri-duri-puri-onesti-vittime. Anche i colpevoli sono vittime, con la differenza che il loro carnefice gli abita dentro. Se salvi un colpevole ti ringrazieranno lui e tutte le sue ex-vittime.
Il che, concretamente, significa: in mancanza d’altro, anche i Pierini sono una bella sfida. Forse è più difficile insegnare il fine, che la lingua.

Una Ola per la Deni sul mio blog

Incrediiiiibbile…! Quale onore vederla navigare per questi lidi informatici! :-)

 

 

Sentenza

Vista la serata noiosa trascorsa in casa dalla vittima;
vista la particolare voglia di uscire che aveva;
visti i precedenti penali dell’imputato, già giudicato colpevole di diversi reati, quali: mancata attivazione di suoneria, ammutinamento del tasto 3 e violazione dell’ordine di Silenzioso;

questo Tribunale dichiara l’imputato
NOKIA 3510

COLPEVOLE

di aver ricevuto un messaggio con nove ore di ritardo, impedendo alla vittima di unirsi al gruppo e partecipare alla Festa dell’Unità.

Visto inoltre il recente smarrimento del suo Caricatore;
considerato il periodo vacanziero, favorevole al ricopiaggio manuale nel nuovo supporto dei dati altrimenti perduti;
tenuto conto infine dell’età avanzata dell’imputato,

lo si CONDANNA

ad essere immediatamente sostituito.

Si auspica l’esecuzione della sentenza in tempi brevi.
Così è deciso.

Può bastare

mare da un traghetto in costa azzurra

[Pars destruens] 

Non è stato epico; non è stata più una novità, com’era l’anno scorso; non mi sono stupita di poter finalmente ragionare sulle cose, far domande e discussioni notturne su Dio. Ormai mi sono abituata troppo bene, e non basta più stare in camera con quattro piacevoli persone, di quelle che non vorresti perder di vista, né restare in terrazza fino alle quattro scoprendo qualcuno che finalmente si racconta un po’. Non basta infervorarsi al bar difendendo i gay, trovarsi d’accordo con un ateo fuori dal coro, parlare e ridere la sera, mentre gli altri ballano la salsa.
Soprattutto, non basta un quarto d’ora di messa simpatica e un po’ biascicata; potersi inventare le preghiere dei fedeli non è più una novità – e c’è stato forse un gruppo dove alla predica si partecipa anche meglio. Non basta sentir raccontare confusamente la vita dei santi al mattino, né quegli incontri in cinquanta sui foglietti che scrive il prete – qualche domanda si trae anche, ma le risposte faticano a colpirmi, come suonassero già sentite, solite parole un po’ rimescolate.

[Pars construens] 

Si dicevano tante cose, la notte con Betta prima di dormire; all’inizio dei suoi uomini, poi delle opinioni che non condividiamo, infine di noi. S’è discusso anche fino a litigare, ché siamo ugualmente testarde; ma mi sono anche messa in gioco, finalmente parlando di me.
Certa gente ragiona molto sui rapporti, s’interroga su come inserire questo, come far cambiare quell’altro; c’è un clima di corresponsabilità, per cui il destino dell’altro t’interessa talmente che spesso rischi d’intrometterti nella sua libertà. Non sempre questo piace alla mia tolleranza un po’ ignava, ma so che l’intenzione è buona. 
Con alcune persone comincia a sedimentarsi la conoscenza, pur se coltivata saltellando fra i mesi, qualche parola a settimana. C’è appena qualcosa in più da dirsi, un pezzetto di vita condivisa che s’allarga, concedendo un paio d’argomenti in più di cui parlare. D’estate si stringe la confidenza, poi si dimentica, fra lo studio e le distanze. A questo ritmo, servirà tempo per costruire rapporti seri; ed è un peccato, perché molta gente m’incuriosisce.

[Quindi]

Spiritualmente, il campo AC vince dieci a zero contro San Giacomo. Incontri molto più brensi, fitti, numerosi e approfonditi – o forse soltanto s’incastrano meglio alle mie domande. Quelli di SG diventano interessanti soprattutto quando nascono spontaneamente, di notte o sulla spiaggia; ma servono le persone giuste, il momento adatto, e la reazione non è semplice da ottenere. Quanto al prete, per adesso col sangiacomino non ho uno straccio di rapporto personale – e così, a naso, non lo prevedo in breve termine. In fondo sono solo una briciola persa nel mucchio di iniziative che deve reggere.

Da tutti gli altri punti di vista, le vacanze sangiacomine sono speciali a loro modo, con quelle serate assurde, la convivenza in appartamenti, il mischione di età ed esperienze, la particolare convinzione di molti e lo scetticismo di altri, il forte senso di appartenenza e così via.
Ma speciali, soprattutto, sono le persone. E questo può bastare.

[Sul diario della vacanza di Eleonora ho scritto: “non so se e per quanto San Giacomo resterà sulla mia strada. Ma di certo ci resteranno i sangiacomini, perché, anche andando per vie parallele, c’è sempre qualche traversa, in mezzo, dove incontrarsi”]

Costa azzurra

Ne vedrò ben poca, se lo stile sarà quello della vacanza in Corsica. Ma questo tipo di viaggi si fanno per altre ragioni.
Domattina parto, in macchina, coi sangiacomini di Imola; torno tra due settimane!

Au revoir…

VII Lettera a Dio

Caro Dio,

è stato strano accorgersene così, d’un tratto. Dopo sette giorni passati a smontarti da ogni lato, ad argomentare, contraddire, dubitare come al mio solito. Mi sono divertita in quelle riunioni interminabili dove si saltellava un po’ incoerentemente da un problema all’altro, ciascuno di noi mescolando le sue perplessità e le storte certezze, i sensi di colpa, le tormentate insoddisfazioni e la difficoltà d’ingoiare la pillola blu per scavalcare Matrix.
Il fatto è che ce ne sono tante, di pillole disponibili. Non si sceglie solo fra Apparenza e Verità, ma fra le tante Verità possibili – e fa presto il don a dire che per un cristiano la Verità è una sola. Per un cristiano, già. Ma quello è il punto d’arrivo, non di partenza. E’ che questo Dio in un certo senso fa parte del mio Matrix, ci sono cresciuta dentro, è troppo… umano. A volte mi aspetto che Dio debba essere invece qualcosa di totalmente Altro, diverso, inconoscibile, và. Sarebbe così, ha risposto il prete. Sarebbe così, non fosse che s’è fatto uomo apposta per farsi capire.

Ora, se era quello lo scopo, Dio, fossi in te richiamerei all’ordine i tuoi esperti di marketing, ché qualche problema di comunicazione ce l’hai, diciamocelo. Non è che a farti capire sei proprio una cima. Eppure, ti dicevo all’inizio, in quel momento, dopo confessione, mi sono accorta di qualcosa.
Và, è totalmente assurdo. Però, pensate un attimo: un uomo vivo, fisico, concreto, muore. Poi, un sacco di gente lo vede vivo, lo ascolta parlare. E’ così sicura di averlo visto risorto che per questa follia ci lascia le penne, ed è pure contenta di farlo. Ok, potrebbe essere un’enorme panzana, ma fate finta che sia vero: una storia così è il fallimento del Matrix, la dimostrazione che c’è un collegamento con quel che non si conosce, che le regole di questo mondo si possono ingannare. C’è chi schiva proiettili e salta sulle pareti, e chi risorge. La differenza è che nel primo caso si tratta senz’altro di una finzione, nel secondo chissà. La cosa certa è che, se è vero, ti cambia la vita.

Di questo mi sono accorta. Che se resurrexit sul serio, c’è da restarci meravigliati in eterno.
Vabbè Dio, mi passerà. Ci si abitua a tutto. Però lasciamici credere un altro po’, ché si sta bene da queste parti. E mi sta tornando la voglia di scommettere.

[La Vero mi ha scritto sulla maglia: credici un po’ di più…]

Troppe cose

maglietta con le firme di tutti, schede e sussidio del campo

Troppe cose da raccontare, per raccontarle tutte; e ancora descriverle non basterebbe a trasmetterne fino in fondo la sensazione…
I cerchi sull’erba a parlare, coi neuroni affannati a rincorrere i pensieri in salita (ma si respira meglio, poi, quando arrivi in cima); le serate fra i letti a castello discorrendo d’amore e di Dio e la Vero che s’alza di scatto col suo perchè viviamo?; ma anche quelle più leggere elencando i ragazzi del piano di sotto; poi le messe sul prato fra alberoni e montagne in fondo, i canti alternativi e i misteri della fede gridati; la pace data scambiandosi frasi assurde e abbracciandosi con calore, non per convenzione; la barbetta ruvida del prete quando appoggia il mento alla mia testa e mi coccola un po’ (posso adottarlo come papà?), la confessione e quel Cristo che par proprio venuto nel Matrix per farsi conoscere; il seminarista, gli educatori sposini che c’inviteranno a casa loro una volta al mese – non è un favore noi facciamo a voi, ma il contrario: abbiamo bisogno di voi. Vi prendete un po’ di responsabilità del nostro matrimonio – e la respo che ascolta Einaudi e si tatua un suo spartito sul piede; Chiara che mi guarda svegliarmi e ride, i discorsoni con l’Anna, la Denny, la Nappi e i suoi giga di fotografie, la sera in terrazza con Benna, Dario ch’è un personaggio assurdo, Paolo che candidamente si confida a quaranta persone, Elena caposcout che studia lettere e mi darà una mano a (dis)orientarmi, la Otta che parte a discutere di scuola, ché la tapina vuole insegnar matematica; la maglietta che mi son fatta firmare e pullula di Grazie; il…

Sbuff. Troppe cose da raccontare, per raccontarle tutte. Almeno, per adesso.

[Forse troverò modalità espressive più chiare del flusso di coscienza]