Monthly Archives: Agosto 2007

Brutto bastardo

…sono contenta che ci sei di nuovo.

:-)

[E niente, è che ho tirato su una carta importante e avevo voglia di dirlo.]

Stasera guardo quelle cadute

castello di carte crollato

e penso alla fatica impiegata per costruire, al tempo trascorso immaginando i piani da aggiungere.
Poi un soffio più forte – da dove veniva? Chi è stato? Perché? – ……………………………………..
Mandate qualcuno, gli aiuti, la ricostruzione; quaggiù fra i rottami, stavolta, potrebbe mancarmi la forza, o la voglia, o la volontà
di prender di nuovo le carte, piegarle nel palmo, trattenere il respiro
farle sfiorare quel poco, dosare la forza, tentare equilibri
lasciarle

sperare

………..

[Da dove veniva? Chi è stato? Perché?]

Impasti

[Frammenti]

“…E non è che il buono ti cade dal cielo. Il buono precisamente sta lì – in potenza - tu devi vederlo e renderlo in atto. Ma per vederlo devi cercarlo, aprire gli occhi giusti.
Il che non significa chiudere gli occhi normali o negare la realtà; significa: la realtà è una merda? Ok, cazzo, io mi ci impasterò le mani finché non trovo il positivo ch’è seppellito in fondo, e lo tiro fuori, per dare un senso a questa merda.”

Sportello

– Prego, mi dica
– Dunque… affettuoso.
– Sì, poi?
– Sentimentale… no ma anche un po’ razionale. Insomma equilibrato.
– Non c’è.
– Come no?
– Uff… D’accordo, inserisco una voce nuova. Equilibrato.
– Ecco. Poi… capace di sdrammatizzare.
– Ironico.
– Mh, sì, ma non troppo, diciamo, che capisca quando è il caso di scherzare e quando no.
– …
– Ok, ironico.
– Altro?
– Certo.
– Te pareva.
– Scusi?
– Niente. Mi dica.
– Mentalmente aperto. Abbastanza relativista. Amante delle diversità. Socievole.
– Uno per volta…
– Ah, intelligente naturalmente. Nel senso di riflessivo, profondo ecco.
– Sensibile?
– Anche. Ma, attenzione, sensibile altruisticamente.
– Eh?
– Sì, và, sensibile anche a quel che sentono gli altri, non solo a se stesso.
– Empatico.
– Ecco, empatico.
– Va bene, adesso…
– No aspetti. Determinato nei suoi scopi. Flessibile…
– C’è già “mentalmente aperto”
РMa flessibile ̬ diverso. Poi: non materialista.
– Religioso?
– Non ho detto religioso, ho detto non materialista. Con una sua spiritualità autogestita, ecco. 
– …Spiritualità… autogestita.
– Ma anche credente può andare. Però non integralista.
– …
– Specialmente riguardo…
– Riguardo a?
– …Niente. Dicevamo: capace di perdonare. Accogliente. Bravo ascoltatore. Con capacità critica. Consapevole.
– Consapevole? Di che?
– Di se stesso, degli altri, del mondo.
– Ma che significa? Senta…
– Significa che tiene contatto con la realtà che lo circonda! Su, non finga di non capire!
РMa LEI, dico, lo sa che lavoro di merda ̬ questo?
– Scusi?
– Certo! Passare la vita a sentirsi descrivere l’uomo perfetto! Ha idea di che colpo per l’autostima?
– …
– Eh, cazzo! Tutte passano di qui a lasciar la richiesta… e io prendo nota di quel che non diventerò mai
– …
– Sa da quanto tempo sono iscritto a quella lista d’attesa? Lo sa?
– Ma io non…
– E poi vengono a parlarmi di contatto con la realtà! Ma lei crede di averlo, che viene qui a descrivermi persone impossibili? Pensa che riceveremo mai un curriculum del genere?
– …
– NO! Non lo riceveremo! E lei resterà ad aspettare per sempre!
– …Come lei?
– Resterà ad aspettare qualcuno che esiste solo nella sua mente e che non potrà mai esistere e che… come me.
– …Aspettiamo.
– Aspettiamo.
- …
– …
– A che ora stacca sta sera?
– Alle 19.
– Cena fuori?
– L’aspetto.

Sullo specchio

“Fare propria, rispettare l’esperienza degli altri, quello che stanno provando, non ignorarla solo perché riguarda “altri” anziché noi stessi.
Perché se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti.
Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.”

(Gino Strada, Buskashì – Viaggio dentro la guerra, p. 60)

[Memo: scriverselo sullo specchio. Quello dove si guarda ogni mattina, per ricordarselo; e quello a cui si parla quando non si vede altro che se stessi, per vergognarsi]

Scatti

[Cose a caso senza alcun nesso fra loro]

Una chiesetta bianca di pietra, una terrazza d’erba e di sotto, a sbirciare fra gli alberi, l’enorme vallata di foschia e tramonto pastello.
Una preghiera corale ripetuta senza pensare, osservando la piccola facciata virare dal bianco al rosso al grigioblu, e gli alberi accendersispegnersi con lenta fretta.
Qualcuno passeggia lungo il muretto, cercando il sole in qualche buco tra le foglie. Poi si pianta nell’erba e scrive, scrive un tramonto in un quadernetto nero, ché non saprebbe a chi altri raccontarlo.

Bologna di notte, pioggerellina schivata nei portici, sotto i lampioni un velo di nebbia estiva fuori tempo. Vecchie mura umide, manifesti strappati e portoni pesanti.
Una risata chiara, musica acuta e mani piccole; gli inseguimenti, il lago d’affetto e la paura; quella timida irripetibile poesia. Da un altro tempo, all’improvviso lì – forse perché era notte nei portici, forse le gocce come aghi, le mura umide, chissà. Quando ti sarai consolato (ci si consola sempre) sarai contento di avermi conosciuto.
Qualcuno va per una stradina del centro, sospira a fondo e sorride dentro, guardando dritto davanti a sé.

Certi individui sono buchi neri

in sé divoranti parole persone luce 
e perfino te
visitatore curioso
di affacciarti sul fondo
– hai visto un lampo sfilacciato in corsa
e ti sei aggrappato pensando: dove porta?
Questi che sfrecciano qui attorno saranno brandelli
innocenti di una stella troppo grande
…esplosa… non ha colpa
se tira, io   arriverò      
in          fondo
   troverò    dove         s’ammucchialaluce          e
                                                                         le paro     le        
e
tornerò                     fuori             e
               tornerà   a
                                          bril
                                                            la
                                                                                  r    

 

Raccontano quaggiù di uno che partì 
seguendo soltanto un brandello di stella – via, una stella intera
sarebbe stato banale Рe la gente gli diceva non andare, ̬ come
le sirene Ulisse e quelli là
Ma lui non ascoltava e prometteva: tornerò

Invece non tornò, però al suo posto
qualcuno raccolse una poesia

Certi individui sono buchi neri
in sé divoranti parole persone luce
e perfino me
che m’affacciavo
per come un’intuizione d’affetto

Ho gettato una parola nel risucchio di echi in fuga l’ho seguita
vorticare tra altre voci assordarsi distorcersi confondersi
dissolversi tutte in una soltanto – non era più
la mia – poi con un rantolo
nero
ammutolire

Allora ho scritto per sfuggire al rapimento 
(Questa dovrebbe ritornarvi: o troverete
sovrascritte altre parole?)

I luoghi giusti

“Magari bisognerà cercare nei luoghi giusti…dove conta più ciò che fai…”
e poi via con l’elenco dei ghetti possibili.

Niente, è solo un po’ di malinconia notturna, quella che viene se pensi che il mondo non è un luogo giusto abbastanza.
Ma è il mio luogo.

L’altra notte pensavo ai fallimenti accumulati – sono diventati un po’, quest’anno. Ci pensavo con una specie di pacifica consapevolezza: è stata un’esperienza, impara, metti in tasca, vai avanti; tenevo un sorriso agrodolce – lo stesso che ho addosso ascoltando certe vite non mie (vite mai mie, né fra i ricordi né fra le possibilità), mentre guardo di sbieco il gelsomino notturno…
Questa notte non avevo più voglia d’inventare scuse per una consapevolezza che pacifica non è affatto.

(Ricordo una lettera rubata: t’impegnavi per non far sentire l’emarginazione cui ci condanna la nostra civiltà… oh, cazzate, se uno lotta per una vita libera poi la ottiene.
Cazzate, certo, ‘fanculo questo vittimismo.
Cazzate.
Cazzate.
…Cazzate, vero?)

Non si può dormire sapendo l’ingiustizia irrisolvibile.
Brucia sotto la coperta, brucia
anche senza ossigeno, solo perché sa
che ci sarebbe là sopra e crede
– ma s’illude – che lo troverebbe, se solo
bruciasse quanto basta per farci un buco appena –
e poi magari spegnersi per troppa fatica,
Ma almeno la soddisfazione
d’affacciarsi fuori e dire: visto,
si brucia anche qui sotto.

Ma è il mio luogo. Ed è qui che intendo cercare.

[Non vedi cheeee Quasimodo è paaaazzo, non seeeenti…]

Affetto

Campo

Non ho trovato Dio, né la compagnia della mia vita, né il prete che m’ispirerà, né la decisione giusta per il mio futuro.
Ma una tonnellata d’affetto arretrato sì, e ci voleva.
Non serve chissà che per scaldarsi insieme. Un po’ d’attenzione per l’altro, il chiedersi negli occhi come va. Azzardarsi a leggere la mia moleskine. E – se accade di sentirsi attorno la delicatezza giusta – aprire botole su vecchi buchi neri, invitando l’amico a farci un giro – non scapperà, se è amico.

Così si può cercare un tramonto su per un sentiero di montagna – da lassù si vede bene, ci andiamo? – seguendo un percorso di piccole lapidi infisse nella terra, uno per ciascuna ragazza rimasta sotto l’aereo del Salvemini. Han fatto quel piccolo monumento proprio lì a Montovolo, chissà perché, a due passi da una chiesetta sopra mille tornanti. E sempre lì quasi per caso mi racconti – tu che invece mi conosci da qualche giorno appena – di un padre che c’era anche lui a salvare gli altri e ora fatica a salvar se stesso; alla fine mi ringrazi con un abbraccio che se ne frega di sembrar stonato o di non aver buone ragioni – come se servissero buone ragioni per volere un po’ di bene.

Certo non è stato il vocazionale; campo su Dossetti, più politico che psicologico, più culturale che spirituale; niente illuminazioni, né entusiasmi e innamoramenti collettivi, ma va bene così – forse quel momento è finito. Come è finito, credo, un certo percorso che per me è cominciato tardi e non ha fatto in tempo a stufarmi – mentre gli altri giustamente hanno ormai voglia di cambiare. Ci dicono: cercate! Andate fuori! Sì, e dove? Datemi un indirizzo, o almeno qualche idea, e andrò volentieri. Ma far nulla sarebbe uno spreco.
E anche l’ultimo motivo che mi serviva per mandare tutto al diavolo e dire sei volte Rinuncio.

(Forse la risposta è in quella ragazza che mi racconta di sé sui gradini di San Giacomo, e sembra dirmi ch’è ora di tornare a Imola. Ma questa è un’altra storia).

Inutili

Tolè

Intermezzo di pace. Pochi giorni tra una vacanza e l’altra, due chiacchiere finalmente sincere. Il tempo infinito del Villaggio, trascorso tra partite a carte coi vecchietti, gelati vinti a basket (vabbè, dai, due tiri da ferma lasciatemeli fare) e scherzi coi quindicenni.
Poi vado di notte a passeggiare sul confine della collina, guardando la valle più in basso. E da sotto sale rabbioso il grido disperante degli amori inutili, rotolati giù nei decenni, accumulandosi come cadaveri in una fossa comune di corpi sbagliati, Quasimodi aggrappati in bilico alla loro cattedrale, diventati sordi per non cadere – perché cadrebbero, si lascerebbero volare, se solo sentissero la risposta inesorabile che gli spetta e che ogni giorno quella valle gli ripete, riecheggiando tra i suoi fianchi il silenzio con cui sempre Dio risponde all’ingiustizia – perché cadrebbero, si lascerebbero volare, se solo sapessero davvero che nessuno, nessuno, nessuno prenderà a picconate la loro prigione per amarli, perché Notre Dame si può assaltare, ma soltanto per salvare belle zingare.

[Andavamo verso il campo da basket con Nicole, diceva: sei fortunata. Certo.
Spero. Forse per appena un piccolo scarto del caso, la cicogna mi ha buttato qualche centimetro al di qua del confine con chi non potrà essere amato. O forse no, ma si diventa sordi per non cadere
]