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Noi non siamo infinito

perché non provavamo sentimenti pànici alzando le braccia fuori dal tettuccio di un’auto in corsa, ma solo ricevendo un invito inaspettato, quando ancora nessuno ci aveva mai invitato da nessuna parte. O gironzolando in un parco in preda a un’ansia felice, alimentando l’assurda speranza che da quell’angolo comparisse all’improvviso la persona giusta. I nostri professori non erano leader carismatici e i nostri amici gay non venivano picchiati a sangue dai genitori, al limite avevano madri troppo impegnate a flirtare con gli amici dei figli.

Tuttavia, confesso che mi ha fatto tenerezza – e, inaspettatamente, non mi ha intristito.
E’ la prima volta da molto tempo che una storia (più o meno) romantica e adolescenziale non mi deprime. Piuttosto, mi è sembrata lontana e bizzarra. Tipo: tu guarda com’era innamorarsi a quel tempo, o doversi preoccupare di non essere soli. Mi sono ritrovata – con un certo stupore – a provare un qualche piacere empatizzando coi personaggi, come quando si torna a visitare un luogo dopo tanto tempo: in fondo hai voglia di restarci per un po’, immergerti in una vecchia sensazione, risentire gli stessi odori. Ma non è che ci andresti ad abitare.

Uno dei pochi aspetti che il film tratta realisticamente è l’esagerazione emotiva del liceale medio, l’ubriacatura di entusiasmo per ogni piccolo passetto della vita, forse per il semplice fatto di esserci, nella vita, anziché limitarsi a guardarla da lontano. Ero così anche io, come tutti.
Adesso è tutto più normale, stabile. Non c’è più molto da cercare: mi sono sistemata. E le amicizie sì, qualcuna va, qualcuna viene, ma insomma, sono un piacevole corollario, talvolta può essere più entusiasmante scrivere la tesi o coltivare girasoli.