Monthly Archives: Luglio 2005

Sincerità

Per circa dieci minuti, al posto di questo post ce n’è stato un altro. Una breve poesia raccattata su internet per caso, dal titolo: "forse eravamo amici". Ma l’ho cancellata. Perchè sono di buonumore, e perchè noi siamo amici. Dobbiamo solo parlare un po’, scrollandoci di dosso qualche vecchio sentimento andato a male e le frasi stonate che corrono più veloci del pensiero. E’ difficile essere sinceri.

Intendo sinceri sul serio, esprimendo fino in fondo ciò che si sente. Tutto è mediato da un linguaggio insufficiente, si affrettano parole approssimate pur di riempire quei silenzi di cui si ha terrore, e ci si arrampica su un’ironia forzata per nascondere l’imbarazzo. Invece, a volte avrei voglia di poter contare fino a dieci, cento, mille; mettere l’interlocutore in stand-by e dire: sto pensando.
Sto pensando a come risponderti nel modo migliore, affinché tu possa capire davvero quello che sento; sto cercando la tua frequenza, per sintonizzare la mia e farmi comprendere. Allora nascerebbe l’empatia, e sarebbe più difficile arrabbiarsi, scocciarsi o solo sbuffare. Perchè ci vuole coraggio a sputare volontariamente su un’identità disarmata, che ti si apre di fronte con i suoi dubbi e le sue incertezze.

Forse sono troppo abituata a scrivere, e poco a parlare. Vorrei pesare, aggiustare, misurare e sezionare le parole dette, come faccio con quelle scritte. Ma non ci riesco, non è possibile, sfuggono via. E sono fraintese.

Litigi

“Si chiese perchè Chris Schwartz non avesse chiamato. Sperava che Schwartz lo chiamasse per potergli sbattere il telefono in faccia, così Schwartz avrebbe chiamato di nuovo e lui di nuovo gli avrebbe sbattuto il telefono in faccia, così Schwartz avrebbe chiamato una terza volta e Frank avrebbe potuto dirgli quanto lo odiava, così avrebbero potuto tornare a essere amici.”
(Gli Schwartz)

Esattamente.
Credo di aver capito perchè in genere evito gli scontri aperti con gli amici. Non è solo per mentalità pacifica, ché lo spirito bellicoso lo tiro fuori eccome, quando serve. Senza contare che un po’ farebbe bene al mio ego riuscire a tirarsela, ogni tanto; far la difficile, giusto per il sottile piacere di essere inseguita io, per una volta.
Ma ho una paura fottuta che nessuno mi richiamerebbe mai.

S. Giacomo

I – Tu dici che sono timida?
B – Ahah! TU timida? Ma va là! Sei venuta così dal nulla in un gruppo dove non conosci nessuno, e in due giorni hai fatto amicizia con tutti… E poi hai una faccia tosta che va da qui a San Lazzaro!

B – Com’è che sei così stranamente silenziosa?
I – “Stranamente”?
B – Ma sì! Abbiamo parlato tanto in questi tre giorni!

 

Sono stata a Palazzuolo, in un agriturismo al confine toscano; mi sono infiltrata nel campo per giovani organizzato da una parrocchia imolese, San Giacomo. O meglio, dev’esserci andata un’altra me, una non molto conosciuta in giro. Ma una che c’è sempre stata, sotto sotto, anche se non se ne accorgevano in tanti.

Il gruppo abituale è formato da una quarantina di persone, quello allargato un centinaio. A questa tre giorni sono potuti venire in pochi, perciò eravamo solo circa quindici. Per me che sono abituata a un gruppo di tre-quattro componenti annoiati più due educatori depressi, era una legione.
Un’accozzaglia eterogenea di gioventù dall’età indefinibile: il nero palestrato, l’educatore folle, l’universitaria logorroica, le gemelle timidine, la coetanea nasona quasiquantome, un po’ di coristi gospel e una serie di coppiette improbabili – tra cui l’educatore ventinovenne che si fa l’ex alunna di otto anni in meno. Domenica, è arrivato pure il prete che dice messa in venti minuti saltando gloria e credo, mentre ripete le solite formuline fisse s’interrompe per spiegare che significano, e lascia che ci passiamo le ostie fra noi.

Diciamo, originale.
Comincio a capire perchè in quell’oratorio vanno centinaia di ragazzi mentre la mia parrocchia langue.

Si riuniscono, di solito, leggendo i fogliettini che contengono frasi più o meno provocatorie partorite da don Beppe, su cui poi riflettono. Punto in comune col mio gruppo tradizionale: i lunghi silenzi, in cui si aspetta che qualcuno dica cosa ne pensa. Ma mentre nella mia parrocchia l’attesa sarà inevitabilmente vana, fra quelli di San Giacomo i silenzi, prima o poi, vengono rotti. Per dire qualcosa di sensato. Non per far sentire a tutti la nuova suoneria del proprio cellulare.
Ah, ovviamente ho detto la mia. Beh, normale, ho fatto qualche domanda, mi sono fatta raccontare le loro esperienze. Ne consegue che, se al mio gruppo non parlo, non è per timidezza cosmica; semplicemente, l’ambiente è sfavorevole.

Zana – il diseducatore folle fidanzato con l’exalunna – ha cominciato a chiedermi se avevo amici. Non oso immaginare cosa gli abbia raccontato mio padre, parlandogli della fallimentare esperienza nel mio gruppo. Dev’essere rimasto stupito dalle mie capacità di socializzare mediamente come ogni comune mortale.
Così ho dovuto spiegargli che non sono un’asociale disadattata.

Ma la cosa veramente strana, e per me nuova, è quell’aria di vaga solidarietà comune dei sangiacomini. Certo, li conosco da tre giorni, non ho idea degli scontri sotterranei che di certo ci saranno, come in ogni comunità. Eppure, da certi discorsi si coglieva come un problema personale diventasse un po’ un problema di tutti.

Mi hanno chiesto qualcosa di me, ho pensato: perchè me lo chiedi, che t’importa. Sei un educatore, stai dall’altra parte della cattedra, anche se non hai cattedra e non siamo a scuola – ma sicuramente anche tu crederai in qualche teoria pedagogica per cui ognuno ha il suo ruolo e sta’ attento a non uscire dal ruolo mischiandoti ai minorenni sennòchissàqualetrauma.
Poi mi sono guardata attorno, e ho visto mescolarsi una folla di gente senza età, ciascuno facendo la sua parte. Chi di guida, chi di guidato, ma uno scambio a doppio senso, pure nelle differenze; dove i confini sono molto sfumati, del tutto privi di muri e barricate; soltanto, si sta insieme.
Allora mi è venuto in mente che anche ascoltare una guida può essere interessante. E mi son detta che strano, questo posto odora tanto di famiglia.

[Credo mi farò adottare]