Monthly Archives: Settembre 2006

(A una sedicenne)

Ti va di scambiarci le parti
appena un momento

Io verrò a consolarti
ti regalerò il mio distacco
faremo un giro in questa nuova pace,
vedrai gli amici che non aspettavi,
la nostalgia che – lo sapevi? – invecchia e s’addormenta

Ma tu – per una sera, così –
prestami un paio d’occhi meravigliati
li ricordo, ubriachi
per così poco
sarei curiosa di provarli adesso
che quel poco punteggia ogni giorno senza rumore,
scontato, previsto
giusto perché vorrei ancora vedere
se la gioia è diversa,
quando non sa
ch’è diventata normale.

Possibilità

Non scrivo da un pezzo, né qui, né altrove, nemmeno nella testa. Non ho tempo, tempo psicologico più che materiale; non faccio granché forse, però penso a quel che c’è da fare, organizzo, programmo, esco. Esco tanto; quelli dell’ac ne organizzano una ogni due giorni, mai visto un gruppo così attivo – e sono periodi che bisogna acchiappare finché ci sono, non so se dureranno sempre.

E’ un momento di possibilità. Passeggio lungo un corridoio infinito di porte aperte, socchiuse o serrate a cui si potrebbe bussare; cerco di esplorarne tante, mi affaccio dentro, dò un’occhiata, chiedo in giro; ben sapendo che oltre ogni soglia c’è una vita intera, un futuro possibile. Un passo avanti o indietro, e cambia tutto.
Una sera con qualcuno e non con qualcun altro, qualcosa si perde e qualcos’altro si crea. Una facoltà, un curriculum invece di un altro, e con una crocetta scelgo di conoscere certi pensieri e certe persone piuttosto che altre, dò un colpetto a una causa e mi si srotolano davanti chilometri di conseguenze. Non posso sapere in anticipo cosa converrebbe. Si scommette, come sempre.

Ieri ho scommesso sulla mia facoltà. Sono ufficialmente candidata a una felice e letteraria disoccupazione.

I pro e i contro del futuro

Dovrei immatricolarmi.
Aprire quel sito grondante spiegazioni per neodiplomati rincoglioniti, inserire i dati nel modulo, inviarlo, e fatto.
Invece sto qui a girarci attorno, rileggermi i curricula e gli esami, compilare orari fittizi con Excel per incastrare in tabelle il mio tempo futuro.
"E’ bello poter scegliere finalmente cosa studiare", dicono i liceali, "così fai quello che ti piace". Lo dicevo anch’io, finché la libertà era solo una speranza. Poi, quando me la son trovata in mano, lì tutta obbediente ed efficiente a reclamare una risposta, un’indicazione, un ordine, mi son chiesta: e adesso? 

La scelta che fate adesso vi segnerà per tutta la vita, ha detto, più o meno, la mia ex prof in fase paglia-sulla-porta.
E io pensavo: eppure, mi sembra di far scelte del genere quasi ogni momento. Magari stasera esco e incontro un tipo qualunque che diventerà l’uomo della mia vita, o mi viene un’intuizione speciale, o mi passano un volantino comunista grazie al quale tra vent’anni mi rivedrete in Parlamento, o mi piglia sotto un autobus, o becco una persona che cambierà il mio modo di vedere il mondo e quindi influirà sulle mie scelte future, o mi converte un testimone di Geova, cose del genere. Cose che ti segnano comunque. E allora, qual è la differenza? Perché mi scaldo tanto per prendere una decisione determinante, ok, ma non più di altre?

La differenza, credo, è che di questa scelta sono consapevole. Non so se scendendo di casa mi capiterà qualcosa di significativo; e se mi capitasse, me ne renderei conto tra qualche decennio. Una facoltà, invece, si sceglie passando il tempo a costruirsi castelli in aria sul proprio destino, si comincia a osservare, soppesare, prevedere, immaginare. Tutte cose fondamentalmente inutili, perché alla fine la vita procede a sbalzi, scivolate impreviste, incontri casuali, porte sbattute e cancelli aperti; accidenti vari che non vedi finché non ti capitano in testa, e a volte neanche allora; magari soltanto dopo anni guardi indietro e pensi toh, se quel giorno non svoltavo per di là, chissà dov’ero oggi. 

[Insomma, sempre la storia di quella farfalla che sbatte le ali in Giappone e provoca un uragano in Brasile. Stragi per un battito d’ali. Creperà prima o poi ‘sta cazzo di farfalla?]

Comunque, il problema non è solo l’imprevedibilità degli eventi. C’è anche la prevedibilità mia.
Io so cosa sceglierò. In realtà, so anche cosa mi piacerebbe fare da grande. E’ tutta la vita che lo so – ho cominciato a saperlo litigando con le maestre alle elementari. Mi scrivevano già sul diario che non sapevo rispettare le regole e menate del genere; finii pure fuori dalla porta per aver risposto male.
Così, da insofferente all’autorità quale sono, non posso che desiderare di diventare anch’io, a qualche livello, una sottospecie di autorità. Poter dire guardate, bastardi, sono diventata migliore di voi. Presuntuoso, eh.
A questo punto si tratta solo di scegliere il ring su cui lottare – ma anche quello, in fondo, l’ho già deciso. E’ scritto nelle mie battaglie contro i mulini a vento, nell’affezionarmi ai luoghi e alla gente, nell’ostinato ritornare, nella voglia di discutere e interrogarmi, nella curiosità per le persone e i caratteri con cui mi piace mescolarmi, scontrarmi, mettermi in gioco nel bene e nel male.

Forse, però, non saprò leggere davvero quel ch’è scritto in queste cose. Dovrei scrutare il marmo grezzo e immaginarci la scultura, dovrei sognarmi in qualche modo. Ma se fossi incastrata in un’interpretazione classica, scontata e prevedibile, che m’impedisce d’immaginare altro e liberarmi in strade nuove? 
Qualcuno di noi s’è visto chiudere in faccia una porta che aveva fissato per anni; eppure, invece di disperarsi, si è trovato addosso una inaspettata libertà: mille strade improvvisamente aperte, pronte per essere scelte.
E la mia libertà? E’ reale? Non mi sentirei più libera se mi dicessero: quella strada non la prenderai mai? Voglio davvero quello che voglio, o non faccio altro che seguire un’abitudine, una previsione calata dall’alto, magari qualche comando interiore più o meno inconscio, da cui non posso sfuggire? (Si potrebbe continuare: e se la mia tanto sbandierata volontà fosse solo un’illusione, creata da qualche sostanza chimica che mi naviga fra i neuroni e decide per me?)

Dovrei immatricolarmi.
Ho già deciso, ma continuo a rimandare, per illudermi di allungare ancora un po’ la mia finta libertà – potrebbe sempre succedere qualcosa, in questi giorni; chissà, un colpo di vento che mi sposti altrove. E poi devo ancora osservare, soppesare, prevedere, immaginare; tutte cose fondamentalmente inutili, perché alla fine la vita procede a sbalzi… e non serve granché sedersi a tavolino, per scrivere in colonne i pro e i contro del futuro.

Sono tornata al Fermi

(perché quel ma io torno era una promessa. E tornerò ancora) e ho incrociato qualche anima persa vagante per i corridoi.

C’era Pardino sulla porta, con la paglia (toh, come due anni fa; giusto qualche chilo e un po’ di rabbia in meno): sorrisone, bella prof, come va, di nuovo qui, e tu che farai, lettere? Ah beh, una soddisfazione!, in bocca al lupo, anche a lei.
E’ passata la Gras, l’ho salutata di sfuggita; con Sisti ci siamo presi in giro, prof ho deciso di reiscrivermi in prima, va bene?

E’ stato in qualche modo rilassante scoprire che, ormai, sono fuori dal gioco; per cui non devo battermi per niente e contro nessuno, non conta più se insegnano bene o male, se mi fanno incazzare, se la Preside fa così o colà; non importano le dispute sui mezzi voti e le arringhe per difendere la squadra dall’arbitro – cornuto – che sicuramente ha assegnato un rigore, ops, un debito dubbio. 
Ci sarà qualcun altro, adesso, ad occuparsi del Processo al Professore. Quanto a me, ho finito; e non ho voglia di ricorrere in appello. Tenetevi i rancori, se ci siete affezionati; io vivrò meglio rinunciando a stabilire se tizio è stronzo oppure no.

Invece, ho voglia di tornare in pace, giusto a salutare un po’ di persone.

Senza il tempo

Mi ha fatto piacere rivederti :-)

[Un incontro per caso, un bar inaspettato, due chiacchiere; una me sedicenne che mi guarda segnandosi le differenze, stupita della mia tranquillità. Poi s’è fatta ora di entrare – bisogna correre per prendere il posto giusto, in fondo accanto alla finestra; abbiamo attraversato la strada, ha incontrato qualcuno, la folla, l’ho persa, dov’è, là indietro, si sarà fermata, l’aspetto, non appare, fa niente, mi ferma qualcuno, la perdo, sarà già entrata, non importa.
E’ andata via a modo suo, quasi per sbaglio; scomparendo fra le cose, senza il tempo di salutare.]

Una specie di Dio

Passa traballando, di notte ai giardini; un tipo tarchiatello, l’aria poco lucida e uno zainetto sulla schiena. "Avete una sigaretta?" Ci guardiamo tra di noi, Borsa fruga nel pacchetto, ne tira fuori due.
Dopo un po’ ritorna, con un amico stavolta; stesso genere, poco più alto, poco più traballante. Mi guardo attorno, decidendo se sia il caso di avere un certo aristocratico timore. (Si sa mai, la notte, ai giardini, al giorno d’oggi. Senza contare le mezze stagioni).
Dev’essersi sparsa voce che qua si danno via le paglie; l’amico ne chiede ancora, ma Borsa non c’è più. Allora il tarchiatello dà un’occhiata alle bottiglie esposte sul marciapiede – Malfo ha fatto la birra in casa, e poi c’è lo spumante per festeggiar la Benny ch’è entrata a medicina – "Eh, non è che avete da bere anche un po’ per noi?"
Prima di darmi un sonoro ceffone interiore, faccio in tempo a ripassare mentalmente tutte le malattie possibili che avrebbero potuto sputacchiare nella birra.
"Prendete una bottiglia", dice Malfo.
"Sicuri?"
Sì, prendete. "Ma… state festeggiando qualcuno?" Mm, no. Mi viene in mente di accennar della Benny, così, per fare conversazione, per convincermi che con attorno altre dieci persone posso permettermi di parlare con un barbone, senza morire all’istante aggredita alle spalle. Ma poi c’ho pensato troppo e ho lasciato perdere.
Il tipo raccoglie la birra, ancora chiusa, senza ben crederci. "No perché… non vogliamo togliere niente a nessuno eh", precisa incerto. Poi saluta, raccatta l’amico e si allontana verso porta Castiglione.

E mentre lo guardavo bere controluce, pensavo fra me e me che doveva esserci una specie di Dio, incastrato in quella bottiglia. Un qualche tipo di Dio livido e sorridente, a cui non importa delle nostre pippe, dei catechismi e dell’eutanasia; uno che soltanto s’acquatta zitto zitto fra una panchina e una chitarra, passando in una sera di settembre.

(Libertà di pensiero)

A – Qual è il tuo filosofo preferito?
I – …Io :-)

[Questa risposta non è idiota come sembra]