Monthly Archives: Aprile 2006

E mischia il tempo

E’ stato affacciandosi su questo grigio senza stagione, sentendo l’aria umida che non sa se è autunno o primavera, e mischia il tempo;

o forse è stato quell’aquilone sul vecchio parco – si vede dalla finestra, il nostro parco;

oppure no, dev’esser cominciato ieri, quando sei passata, dritta, ridendo, attenta a non voltarti, e io t’ho seguito con lo sguardo per un po’.

Così, mi venivi in mente.
[Quant’è difficile rinunciare alla perfezione, quando si riesce a ricordarla tanto bene.]

Piccioncini

Pulcini di piccione sulla mia finestra

Convivenza

Accampati in due stanzone di Chiesa Nuova – una follia architettonica dal campanile fallico – siamo rimasti insieme per tre giorni, mischiando lodi e colazione, film, chitarre, incontri, pizze, breviari e libri di scuola. Ognuno preso dalle sue faccende, implorante lezioni di greco o biologia, terrificato dall’interrogazione e distrutto dalle cinque ore di sonno sul pavimento; eppure in qualche modo convinto che ne valesse la pena.

Anch’io ne sono convinta. Per far la strada insieme andando a scuola, per soffiare nel corno di Lucia e ridere di me che sarei cornista nata, per reinventare il gioco del pallone ed incrociare quegli occhi intelligenti; per riunirsi dopo cena coi lumini in terra, sentire una canzone e decidere che sì, è ora di lanciarsi; allora prender la parola, convincere la vicina di posto a far Rossana ed iniziare a recitare Cirano, vederli attenti, sapere che la storia prende e che riesco a parlar bene, poi concludere leggendogli La cura – e tutto per spiegare che cos’è per me l’amore.
Ne valeva la pena, per andare a piedi dal Fermi ai Giardini Margherita, far cerchio sull’erba, lasciarsi trapanare la testa da una banda di colorati percussionisti e poi correre in centro insieme a un’ex coppietta in bici facendo il terzo incomodo, raccattare due ragazze col pallino delle chiese e turisteggiare a Bologna; e ancora macinando chilometri parlare di Dio e far l’eretica e metter dubbi smontar certezze, a sera fermarsi sotto un portico a scambiarsi un po’ di vita, quel che ci capita, ché in fondo non è tanto diverso e le domande son le stesse.

Per una volta a questo mondo parallelo è toccato incrociarsi con la scuola, la gente nuova è arrivata a pochi minuti di distanza dai vecchi compagni – abbastanza vicino perché restassi abbagliata dalle differenze.
M’è capitato, venerdì, d’entrare in classe senza sonno e sorridendo; ché invece di cadere subito dal letto al banco, avevo già iniziato da un pezzo la giornata, salutato gente, detto lodi, bevuto insieme il tè. E per un attimo mi sono scordata d’inserire la modalità scolastica: stavo lì, coi miei compagni, come dieci minuti prima con quegli altri, e mi veniva d’ascoltare i vecchi friends con la curiosità di chi non si conosce, interessata come fosse gente gravida di nuovi rapporti e possibilità inattese; quasi convinta che potesse nascere qualcosa da ogni solita parola. No, d’accordo, subito mi son ricordata di conoscerli da un pezzo, di sapere che con questo niente, quest’altro affatto, quello va così e certo son simpatici eppure non accadrà nient’altro oltre quel che ormai è accaduto, ché siamo alla fine, e c’è più da ricapitolare che da annotar speranze.

La Vero, all’incontro, ci ha fatto sentire questa canzone. Stasera sento che, in qualche modo, c’entra.

Chiudi gli occhi
ed immagina una gioia
molto probabilmente
penseresti a una partenza

ah si vivesse solo di inizi
di eccitazioni da prima volta
quando tutto ti sorprende
e nulla ti appartiene ancora
[…]

ma tra la partenza e il traguardo
nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è sapere
è potere rinunciare alla perfezione.

(Niccolò Fabi, Costruire)

Ale Rocca ha risolto ogni mio problema di identità

A – Guarda che le bugie hanno le gambe corte e il naso lungo!
I – …SONO IO!

[Dalle Cronache del Delirio al Coro del liceo]

Picciona pasquale

Una picciona, ovvero un piccione femmina, ha fatto il nido sulla finestra del bagno, precisamente nella pianta che regalarono a mamma quando nacqui io. Tutto ciò è vagamente poetico. 

nido e uova sul davanzale
 
[E mia madre, che ha una genetica avversione a ogni essere non completamente asettico e disinfettato, s’è tutta intenerita e compenetrata nel ruolo materno. Le ha pure portato in una ciotola il pranzo di Pasqua. O tempora, o mores.]

Dalle 2 alle 3.30 del mattino, nella notte di Pasqua

…le famose due migliori teste della blogosfera, una delle quali è naturalmente la mia :-P (l’altra è qui), hanno prodotto il seguente dialogo filosofico (nonché inconcludente, come tutti i dialoghi filosofici che si rispettino).

[ POST TRASMESSO A BLOG UNIFICATI ] 

I – Stavo leggendo questo http://www.timesonline.co.uk/article/0,,2099-2121731_1,00.html
G – che cos’è… un testo…sull’eutanasia?
I – già… peso é.è
G – peso un sacco… ma…ma perchè ti leggi ste cose?
I – perché m’interrogano, e sai che mi piacciono le cose che m’interrogano
G – mmmh…ma si che lo so… è che….boh… il mio rapporto con l’eutanasia è molto conflittuale… e mi fa paura…non mi fa paura la morte in se, quanto il fatto di pretendere di dominare una cosa che non dovrebbe essere dominabile… si ammetto di peccare di bacchettonaggine….forse… però non riesco a concepire del tutto un idea come l’eutanasia…certo è un modo che in certi casi elimina il dolore del tutto laddove lasciare la vita significerebbe solo soffrire… che poi vedi…dovrei prima provare un dolore indicibile per dire se l’eutanasia è una cosa buona o meno
I – eh… sai penso sia un po’ anche quello il punto. In realtà io sono favorevole, più che per tante ragioni metafisiche, proprio perché ho una paura fottuta della sofferenza
G – no beh, non è "anche"…alla fine è quello
I – eh..
G – però….forse non vale la pena farsi tutte ste pare…ma una volta che uno comincia a vivere sa che soffrirà…a rigor di logica sarebbe meglio non nascere…ma se ad un certo punto della tua vita stai molto male, tanto male da dover chiedere di morire, beh…a quanto dice madamalogica "visto che hai voluto vivere vivi fino in fondo"…eppure dio ha fatto l’uomo illogico
I – diciamo che non abbiamo voluto vivere… l’ha voluto qualcun altro per noi. Mi avessero fatto scegliere, prima… forse….avrei deciso per un tranquillo ed eterno iperuranio
G – beh ma questo non è del tutto vero, una volta che prendi coscienza del fatto che sei vivo puoi sempre decidere di andare in olanda per un viaggio di sola andata e terminare la tua esistenza sui 18 anni
I – diciamo che è quel che farò nel caso in cui la vita diventasse troppo ardua ^^
G – mh…forse sono superficiale… ma il sistema di Dio consiste nel dare a tutti una una proposta…ma non prevede il rifiuto di questa proposta. Pensi sia un errore?
I – e allora che proposta è?
G – ho scritto proposta ma forse sarebbe stato piuttosto…opportunità, occasione
I – occasione… per cosa?
G – beh quando giochi a ramino o a scala quaranta all’inizio hai 13 carte in mano, quello che dovresti fare è pescare da mazzo per fare un tris o una scala…volendo l’occasione è quando c’hai in mano ste 13 carte, quando comincia a pescare dal mazzo è un po’ come se cominciassi a vivere
I – ma… qualcuno mi ha chiesto se mi va di giocare?
G – nessuno te l’ha chiesto…e la domanda che ti volevo fare era proprio questa perciò nun fa la furba…secondo te è un errore non averti chiesto di giocare?
G – e in tutto ciò ricordati che ti puoi alzare dal tavolo quando vuoi..
I – la domanda non ha senso perché si contraddice in se stessa: se mi può chiedere di giocare, significa che sto già giocando. Non potevo essere io a decidere di esistere, perché per decidere bisogna esistere
G – eppure anche questa supposizione "non potevo essere io a decidere di esistere, perché per decidere bisogna esistere" è fine a se stessa, perché ne io ne te ne nessun altro sa davvero se prima di "esistere" eravamo qualcos’altro e se qualcuno con la barba bianca ci è venuto a chiedere effettivamente se volevamo o meno diventare qualcos’altro, salvo poi dimenticare tutto…
I – questo è vero
G – sai…volendo potremmo pensare che siamo frutto del caso… sarebbe un ben miserevole condizione. Ne parlava padre Lanza durante l’omelia della veglia
I – e non sarebbe ancor più miserevole pensare di essere stati voluti così? …proprio così
G – così per… per gioco?
I – mmm… no.. così… così come siamo, pieni di problemi e di guai… se fossimo stati voluti singolarmente, uno per uno, e scelti così… perché non siamo stati fatti in maniera migliore?
G – non lo so…potrebbe essere così… tu cerchi un senso, un senso a tutto, il che rende la tua ricerca lodevole… il problema è che per quanto ti sforzi non ne verrai mai a capo
I – questo è tristemente vero… ma noi come passeremmo le nottate senza problemi di cui non si può venire a capo? ^^
G – ma perchè lo trovi triste? non ti senti più donna a farti ste domande?
I – più donna??
G – eh se ti dico uomo poi t’incazzi U.U
I – auhuahauha
G – intendevo, non ti senti più figlia di Dio a chiederti perchè esisti?
I – mmm…. no
G – tra le tante soluzioni che hai sicuramente pensato non ti è sfiorata neanche lontanamente la possibilità che Dio abbia voluto farci vivere proprio per chiederci il senso della nostra esistenza?
I – che fa, si diverte a farci arrovellare su questioni insolubili?
G – naaaaaaaa… vabbè… tu cerchi una motivazione alla fede, perciò è inutile che ti parli in questo modo visto che io parto da certi presupposti che non sono i tuoi… ma secondo me quel tipo lassù ci fa fare ‘ste domande per farci capire quanto valore abbia stare qui…
I – mah…. poteva anche spiegarcelo lui… perché a me le domande non mancano certo, eppure, fatico a cogliere questo valore. Il che non significa che non mi piace vivere… ‘nzomma, hai capito
G – si ho capito benissimo. Chissà…se ce lo spiegava saremmo stati un po’ come quei bimbi viziati che vogliono tutto e subito…
I – eh… vabbè senti… data l’ora …..^^
G – ok…felice di avermi intrattenuto su un tema d’altissimo livello fino alle… 3:33????? O__O
I – oh yeah ^^
G – wow
I – <il mio neurone siede ora sorridente al balcone della fronte, pensando che il neurone interlocutore possiede sinapsi di tutto rispetto ed è sempre bello scambiarsele>
G – <il neurone dall’altro capo della sinapsi riassume tutti in una splendida sintesi………"minchia!">
I – uhauhauahuahauha
G – …il mio neurone è uno che arriva al sodo U.U>

[E con questa saggia conclusione, abbiamo pensato fosse meglio andare a nanna]

L’ho sfogliato

un poco, al fresco, da sola; girando le solite pagine logore, sempre più spesse. Così, a volte passo il tempo guardandolo passare.
Mi viene incontro in bicicletta, correndo dritto dalle medie, frena e mi domanda che farò, come sto, e per il resto?
Oppure passeggia con la madre e senza fermarsi mi lancia un saluto impettito, che non guarda nemmeno (allora salta qualcosa dentro, e mi ricordo i sorrisoni di una volta e quel semplice voler bene – ma non siamo più capaci, non siamo).
O ancora soltanto mi aspetta per strada, dietro un angolo speciale, sotto la vecchia scuola, davanti casa; o dorme dentro a qualche nota già sentita, s’acquatta fra le righe dei graffiti nei muri, spunta da un sole strano incastrato tra le foglie, e si risveglia.

Mi andava di restare lì, ai bordi della gente di domenica nei parchi, del jogging, delle coppiette, dei bambini che urlano dei cani a rincorrersi dei vecchi a braccetto degli alberi che stanno a guardare. E lì sfogliavo le mie foto, ora che quasi non gridano più, ché si sono assuefatte anche loro a svanire. Ma io le sento pesare nelle tasche, so che si moltiplicano si accumulano fradice di tempo s’aggiungono aumentano inseguono coi giorni, si schiacciano le une sulle altre e si accartocciano e comprimono e ogni tanto qualcuna esplode via e mi salta addosso, riscossa da una musica uno scorcio o una foschia di notte. E io, io portandole non posso rassegnarmi a questo istante che s’accende, a un tratto vive, poi trascorre e inspiegabilmente muore.

Normandia

pianura francese dal finestrino

Pecore, mucche, pascoli; pascoli, pecore, mucche; andando in su, sparse, casette di pietra dai tetti ripidi e grigi. Un’enorme padania francese da attraversare – due giorni all’andata, due giorni al ritorno – dormicchiando sui sedili scomodi, tentando una chitarra che non si riesce a suonare, urlando cori ai prof dal fondo; con quel pensiero che ogni tanto ti svolazza sulla testa a ricordarti il tempo, a dirti è l’ultima volta, siamo in quinta e non si torna.

cimitero americano in normandia

La Gras ci ha approntato un macabro programmino di visite a cimiteri di guerra e memoriali assortiti; tra i suoi noti disturbi mentali dev’esserci una specie di gusto morboso per la morte.
Il cimitero americano è una distesa uniforme di croci bianche, perfettamente allineate, ordinate, inquadrate, nominate. Perfino gli alberi erano potati in orribili forme cilindriche, piegati anche loro alla forzata razionalità del luogo. Strideva la morte contro il marmo, il sangue contro l’erba lucida, i corpi e le grida contro i cinguettii e i giardinieri. Si percepiva la paura d’immischiarsi con l’assurdo, il bisogno di fuggire il dubbio annegandolo nella maestosità delle colonne, nei vialetti curati e perpendicolari, nelle statue troppo muscolose.
Come se, non potendo incastrare la morte nella loro ragione, ci avessero incastrato gli alberi. 
  

cimitero tedesco in normandia

Quello tedesco è più scuro, cupo, tormentato. Ha fatto i conti con la colpa, deve seppellire i cattivi. Non può celebrare glorie e liberazioni, gli resta soltanto l’umanità da conservare; niente ideali a gridar dalle croci, solo due personaggi senza nome sulla collinetta, perché il visitatore possa immaginarseli come preferisce, santi demoni o che ne so. C’è meno arroganza, su quelle tombe nere; e anche gli alberi si scelgono da soli la forma della loro ombra.

 

 

 

spiaggia normanna

Sono rimasta un po’ distante, quasi; sto imparando a sopravvivere, a lasciare che il posto accanto al mio resti vuoto senza prendermela granché. Sarà che certe cose si avviano a diventar più salde; e se stai col tuo ragazzo non m’importa, ché prima o poi si parlerà lo stesso. Può darsi che l’abitudine mi stia mangiando; ma è stato forse più divertente passar le notti con l’altra classe, dove ancora potevo giocare a spacciarmi per qualcuno, cercando negli occhi altrui qualche interesse, uno spunto d’amicizia o chi lo sa.
Tanto poi te li ritrovi, i soliti noti; un po’ distratti, a volte stanchi, eppure sono lì, gli dai una scossa ed eccoli, ad abbracciarti se la prof ti strippa addosso, se l’albergo come sempre è fatto a scale. Sono quelli che sanno far esplodere il tavolone della cena in una risata, e hanno già imparato che so prendermi in giro, e che possono dirmi ila, cammina!

grande scritta sulla sabbia di omaha beach: V° D/C
 
Così, alla fine, non è stata male, la nostra ultima gita.