Monthly Archives: Febbraio 2007

Cri

T’ho vista arrivare al di là del binario, con tuo marito; tu ti sei voltata, prima senza riconoscermi, poi ti sei accorta e incredula hai gridato il mio nome. Io ridevo.
E’ stato perfetto.

Non ci vedevamo dal giorno del tuo matrimonio, circa tre anni fa. Avevo avvertito Ricky e lui s’era inventato una bella storia per spiazzarti: bisognava prendere alla stazione la sua vecchia maestra, t’aveva detto, una suorina decrepita e acida che detesti; t’eri lasciata trascinare giusto per misericordia. E invece hai trovato me.
M’hai portato da voi; due piani di casetta indipendente col giardino grande e il piano terra ancora in cantiere, adibito a fantasioso magazzino delle cose che aspettano d’essere sistemate. Appena scesi dalla macchina ci ha assaltato Vito, un cane che pare un po’ l’Aki di Elena, ma in versione bianconera e iperattiva.
Fuori giocava a pallone il tuo figlio temporaneo, frangetta, occhiali e parlantina incoerente. Poi mi avresti raccontato che ha quattordici anni, qualche problema mentale non identificato, un padre depresso e una madre ritardata; perciò, almeno fino ai diciott’anni, lo hanno affidato a un padre industriale e a una mamma amorevolmente folle. Cioè te.
Siamo andati al ristorante, e non c’entrando tanto coi vostri discorsi son rimasta a osservare per un po’ il quadretto familiare, i battibecchi e la lezione costante che fai a tuo figlio – quant’è lungo un metro? Un metro e venti è di più o di meno? – riordinandogli i discorsi a uno a uno, non rispondendo mai "niente" per lasciar cadere una domanda stupida, non ignorando mai il suo farfugliare sconclusionato.
Quando siamo tornati a casa, gli uomini sono andati a rubar legna per il camino e tu sei affondata con me su quel divano morbidissimo, parlando di tutto.

E credo che abbiamo parlato per la prima volta.
Di te, di me, di com’era con le educatrici e con i miei, di quando ti ho cacciato dalla classe in seconda media, delle mie strategie di sopravvivenza negli ultimi anni con le guardie, dell’orgoglio e della vergogna, del cambiamento che fa bene – ed è triste, eppure anche il tuo andartene m’ha fatto bene – della mia vita di adesso (tanto, tanto diversa), della mia nuova libertà e di quella domanda che mi avresti voluto fare, ma a cui ho risposto da sola per prima – no, non sceglierei di nascere.
Avevo immaginato tante volte di fare con te prima o poi un bel discorsone, raccontarti quel che sono e spiegarti quel che ero; chiarire con le parole di adesso cose che sapevo anche prima, quando però non avevo l’occasione, il coraggio, la sicurezza e il distacco necessari per abbandonarmi alla verità.

Oggi, pur tra le interruzioni delle circostanze e del tuo pensiero irrequieto – sempre incostante, saltellavi fra gli argomenti seguendo il tuo filo – ci sono riuscita.
E com’era stato dopo il tuo matrimonio – allora non parlammo quasi per niente, eppure fu a suo modo perfetta anche quella giornata – me ne torno con in tasca la pacifica soddisfazione di chi è contento e non ha nient’altro (niente, nemmeno un’aggiustatina a quel dettaglio che rende imperfetti anche i giorni migliori) da desiderare. Forse, vedendo quanto c’ha fatto bene la distanza, non rimpiango nemmeno di non poter condividere la quotidianità.
Certo, quelle due tre volte l’anno sarebbe bello potersi rivedere. Tanto ormai, fatta la prima…

Inspira, espira

Vaticano all’attacco di nonno Libero: promuove le famiglie gay

[Calma. Inspira, espira. Piaaaano, così. Ripeti con me: nonsonoquestelecoseimportantidellafede. Inspira, espira. Nonsonoqueste…]

Non è mai pari

E tutto quel rincorrersi fuggendo
solo perché qualcuno soffia
un granello di troppo
sul piatto sbagliato
Così la bilancia dell’affetto
pende sempre da una parte sola 
e quel bisogno in bilico
non è mai pari.

[Pensando a chi non ha mai tempo, e a chi l’aspetta]

Smetti di contarli

Un giorno d’improvviso t’accorgi che hai smesso – hai smesso da tanto, da quando? Non ricordi – di contare gli amici, di segnare il numero di giorni dall’ultima volta che li hai visti, d’interrogarti su quale casellina gli si addica – conoscente, amico o migliore? – e ti scopri soltanto a passarci nel mezzo, ondeggiando dall’uno all’altro, sfiorandosi appena, oppure schiantandosi addosso per subito rimbalzare via…
Vedi che la nostalgia è diventata una cosa distratta e leggera, un utile promemoria che ti bussa in testa ogni tanto dicendo ehi, è un pezzo che non li senti, fa’ qualche telefonata sorridente prima che ti diano per dispersa. E a volte ascolti bussare per un po’, prima di rispondere.
Forse perché sono già dispersa.

[Certo, se mi metto a ripensarci, qualche vecchia atmosfera può ancora mancare. La grande differenza è che ora accade soltanto quando decido di andare a cercare i ricordi, mentre un tempo erano i ricordi a cercare me]

Ecco cosa farò da grande

Vorreste inviare alla vostra amata una lettera indimenticabile, cui nemmeno il suo cuore di pietra potrà restare indifferente? Siete bloccati dalla sindrome del foglio bianco? Vi credete incapaci di comunicare i vostri pensieri? Vi sentite dei novelli Cristiano, e cercate disperatamente un caritatevole Cirano disposto a prestarvi l’anima?

Nessun problema. Da oggi, troverete chi vi fornirà la penna. Precisamente, chi ve la venderà.
Questa generosa signora mette a disposizione il suo talento letterario ai frustrati privi di ispirazione: cinquanta euro basteranno per acquistare una missiva composta appositamente, su qualunque argomento: d’amore, d’addio, al padre, al figlio. Pronta in dieci giorni. Ma se dovete dichiararvi alla vostra amata prima che si trasferisca sette anni in Tibet, con soli venti euro di supplemento la vostra lettera urgente sarà pronta entro cinque giorni!

Naturalmente, prima di usufuire del servizio potrete beare la vostra sensibilità poetica dando un’occhiata ai numerosi esempi di lettere già fatte.
Ve ne presentiamo qui una, aggiungendo nostri commenti.

“E’ difficile parlare con chi non vuole ascoltare. E tu non vuoi ascoltarmi.
Forse sei sordo alle altrui parole…Alle mie, sicuramente.

Si può notare nell’incipit l’incisività e il rigore logico con cui vengono enunciate verità semplici quanto incontrovertibili, espressione dell’incomunicabilità ormai diffusa nella società moderna.

Io non credo di essere così crudele o maleducata come tu mi descrivi.
Osserviamo il tono dubitativo e insieme deciso, quel “non credo” che inizia la frase accogliendo il lettore in un’atmosfera dialogica e disponibile, senza tuttavia rinunciare a una conclusione efficace, coronata da un affondo delicato ma assertivo. La difesa della propria tesi avviene mediante un’analisi psicologica del proprio carattere accuratamente argomentata.

Ricatti? Quali ricatti? Non conosco questo termine, né saprei utilizzarlo.
Ecco che i temi annunciati in precedenza si fondono qui in un unico blocco testuale: il piano dialogico – evidenziato dalle domande retoriche – si unisce ad un’ulteriore sottolineatura dell’incomunicabilità.

Mi sembra che la tua presunzione e il tuo orgoglio superino ogni ostacolo.
Vuoi avere la coscienza a posto? Va bene: sei perfetto, un eroe senza macchia e senza paura alle prese con Crudelia Demon .

E’ in questo breve ma intenso paragrafo che si esprime pienamente la creatività della scrittrice. In poche parole riesce a concentrare ben tre espressioni del tutto originali e dense di significato, distanti anni luce da triti luoghi comuni e frasi inflazionate. Tuttavia il suo genio artistico non si limita all’elaborazione di nuove perifrasi, bensì tocca il suo apice nell’arguto collegamento con una figura chiave della cinematografia novecentesca, come ulteriore prova – come se ce ne fosse bisogno – dell’ampiezza di vedute e della vastità della sua cultura umanistico-disneyana.

Se credi di avermi fatto sentire la tua presenza e la tua solidarietà, ti sbagli.
Non importa, tu vuoi essere sempre al centro dell’attenzione, protagonista assoluto e indiscusso della tua favola. La Vita non è una favola. Purtroppo.

Dopo la metafora di stampo fiabesco, ecco in queste brevi successioni paratattiche l’inevitabile ritorno alla realtà, la malinconica consapevolezza dell’eterno abisso che separa il il mondo onirico da quello concreto, la dimensione dell’io da quella della realtà esterna, lo spirito dal corpo – un insanabile dualismo che ha tormentato secoli di filosofia, dalle due facce della lente spinoziana allo schiaffone in faccia che la moglie di Socrate mollò al marito, perso fra le nuvole dello spirito.

L’Amore è un sentimento troppo grande per entrare nello spazio limitato delle tue pagine. Amare vuol dire uscire da sé stessi per regalarsi all’altro. Tu non sai uscire da te. Pretendi che chi ti ama dimentichi e risolva da solo le proprie difficoltà per poi ammetterlo nel tuo mondo perfetto.
Prosegue in queste righe la riflessione sull’Amore gratuito contrapposto al gretto egoismo di una personalità limitata e cieca, come esplicitato nell’ultimo breve ma illuminante paragrafo:

Mi dispiace che tu non riesca a vederti. Mi dispiace che tu non riesca a vedermi.
Forse dovresti usare gli occhiali…
Ti voglio bene. Sempre e comunque.

Come può una simile conclusione non commuovere anche gli animi più insensibili? Dopo aver affermato le proprie ragioni, giunge la disarmata ammissione della sofferenza di fronte all’incomunicabilità ora trasfigurata sul piano visivo; per poi terminare in un appassionato invito oculistico che è anche una dissimulata, struggente supplica: “forse dovresti usare gli occhiali…”
Chi non ha mai sognato di rivolgere al partner una simile preghiera?

Ora che avete letto questo esempio, non crediate che la nostra scrittrice sia imprigionata in uno stile proprio e riconoscibile: è chiaro che la lettera realizzata per voi rispecchierà il vostro carattere e la vostra personalità in modo tale da non dare adito a dubbi sull’autenticità della vostra missiva.

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Ok. Se qualcuno volesse mai scrivermi una lettera ma non trovasse le parole, mi mandi pure un messaggino pieno di kappa, o un bigliettino sgrammaticato, o non mi scriva piuttosto.
Almeno, il silenzio sarebbe autentico.

[Postilla politically correct:
E’ noto che tifo per la libera espressione e schifo ogni giudizio non richiesto, specialmente in campo letterario.
Se la sedicente Cirana benefattrice si fosse limitata ad aprirsi un blog scrivendoci quel che le pareva, o a pubblicare un libercolo di poesie, buon per lei. Che so, magari mi sarebbe pure piaciuta.
Se si fosse messa a un angolo di strada chiedendo ai passanti un’offerta libera per una poesia su misura, come nel film Prima dell’Alba, avrebbe avuto pure un fascino vagamente bohemienne.
Ecco, il fatto che venda false lettere d’amore su internet a settanta euro l’una mi strappa qualche risata, và.
Concedetemelo.
Tanto durerà ancora solo pochi anni. Poi, quando farò la fame in fondo a qualche infinita graduatoria di insegnanti precari, sfrutterò anch’io il mio talento dandomi al business della prostituzione letteraria. In fondo è più comodo dei viali di notte.
Qundi, signora, non s’offenda, ché saremo presto colleghe. E le farò concorrenza spietata.]

Fra’ Massimo

Più o meno tutti i reduci dal Norcia-Assisi lo hanno incontrato e ne parlano affascinati. Chi non l’ha incontrato, se frequenta qualche ambiente di AC l’ha almeno sentito dire.
L’altra sera era alle Budrie, e tra i tanti ad ascoltarlo c’ero anch’io. L’ho registrato per la Sofi influenzata, già ch’è c’ero l’ho trascritto, e siccome mi sembrava di non aver perso abbastanza tempo, ho pure tentato una sintesi (cioè giusto tre righe in meno, ecco).

Il frutto della mia nottata insonne (certo, m’ero alzata alle tre del pomeriggio) è di seguito offerto ai gentili blogspettatori.

Ascolta il discorso (e i colpi di tosse) cliccando su play:

(Per scaricare i file, cliccaci col destro e scegli salvaoggettoconnome)

Scarica registrazione incontro, 1h 57′, 59 Mb, mp3

Trascrizione, 73 Kb, doc

Sintesi (pfff), 54 Kb, doc

Palloncini

Questo pomeriggio c’era un orribile cielo bianco uniforme, di quelli che coprono metà inverno bolognese. A un tratto ho visto come una macchia, piccolissima, in alto, volava sempre più su, sempre più piccola, è sparita.
Ho letto da qualche parte che i bambini si domandano dove vadano a finire i palloncini all’elio-o-quel-che-è, e s’immaginano magari lo spazio pieno di palloncini in orbita. Io ero abbastanza pragmatica per pensare che, prima o poi, scoppiassero e basta. Brutta roba avere questo senso della realtà – cominciai a intuire la non esistenza di babbo natale non grazie a qualche compagnetto stronzo, ma solo perché presto mi resi conto che una slitta non può volare.

Il mio problema coi palloncini era un altro: mi mettevano una tristezza profonda. Erano l’allegoria della morte, incutevano un timore cupo e solenne, pronti com’erano ad andarsene per sempre. Non volevo che mi comprassero una cosa che avrei dovuto uccidere con le mie mani. 
Io non avrei mai lasciato andare un palloncino. I palloncini all’elio non tornano più. Non ne sarebbe mai esistito uno esattamente uguale, uno con le mie impronte sopra. Le mie impronte sarebbero volate via con lui.

[Credo che i palloncini all’elio possano spiegare il novanta per cento dei problemi della mia vita]

Due giorni

[Appunti dopo una due giorni parrocchiale] 

– A ogni domanda, il prete risponde per prima cosa con la regola. "La Chiesa dice". Perché? Perché ha il potere di dirlo e ti devi fidare. Poi, se proprio insisti, si difende con "ma Dio solo può giudicare". E meno male.
– Pensavo che sarebbe stato difficile, perché, anche se di vista, mi conoscono da sempre – e allora si sa, le maschere pirandelliane, la prigionia nelle aspettative altrui, il non potersi lanciare ed essere se stessi, un po’ come succede in famiglia.
– E’ stato in effetti difficile, ma forse per un motivo peggiore. Io non ho fiducia in loro.

[Ricordo la prima due giorni coi Diciottenni. Praticamente sconosciuti, mi parevano tutti meravigliosi amici in potenza; non sapendo chi lo sarebbe diventato, nel dubbio mi mettevo in gioco con chiunque, pubblicizzando la mia parte migliore e cercando la loro. Sicuramente ne è valsa la pena, ché se qualcuno  non è rimasto, con tanti altri s’è costruito qualcosa di bello.
Faccio così ogni volta che entro in qualche gruppo nuovo; poi certo inizio a scremare, a decidere su quali rapporti conviene investire; ma intanto parto credendo che ciascuno potrebbe diventare importante.
Coi parrocchiani, a parte un paio, non l’ho creduto nemmeno per un attimo. Perché ho dei pregiudizi enormi, sugli altri come su di me; perché molti sono altrettanto bloccati e comodi nei rapporti abituali, senza voglia di sperimentarsi. Proprio come me.]