Monthly Archives: Marzo 2008

Domenica

E’ quel paio d’ore dopo pranzo, col sole e la finestra aperta, quando anche al sesto piano arriva il ciocco di una bottiglia gettata nella campana del vetro, le parole ben distinte di una conversazione sul marciapiede, una portiera che sbatte, un flauto che non so da dove venga, svariati versi e cinguettii
– e, al passaggio rauco dell’unica macchina sveglia, il mondo intero si volta con una specie di sdegno, come ai concerti verso il vecchio che tossisce durante l’apice patetico di un movimento Adagio.

Una laurea utile

"Hai detto in parole complesse (a te l’onore, fai lettere) quello che ho sempre sostenuto in parole povere…"

"Infatti… ho sempre saputo che a lettere non si fa altro che imparare a complicare le cose semplici"

Argini

Ovvio che non sei più tu – ricordo appena chi eri, e di certo si tratta di un morto, rimorto e risepolto
almeno una volta ogni cambio d’umore –
né sopravvive più traccia di quel malato affetto (anch’io sono morta e già risorta, pur conservando
buchi in mani e piedi); e non conosco il fiume che ti ha eroso, trascorrendo fra i due te che ho incontrato

però, se mi affaccio da quest’argine sul buio di anni in mezzo, mi par che rompa il gorgogliare in fondo
l’inciampo dissonante di troppe possibilità perdute
e un’occhiata al bambino gentile, sull’altra riva, mi basta per guardarti adesso con una specie di sorriso triste.

E se invece

di fissare annoiati la meta già vista, solcando la strada più dritta di frasi già fatte
chiudessimo gli occhi e piano
– con molta e nessuna attenzione –
danzassimo intorno le mani, tastando nell’aria l’odore
della direzione
senza anticipare di un palmo la curva
(le dita non tese
ma appena raccolte, timide
di uno spigolo improvviso) ?

Bolle di sapone

[Dai, non toccare le bolle di sapone – non chiedere, sarebbe così meravigliosamente diverso, se non chiedessi, e rimanessimo al buio – non rispondere in fretta, c’è un silenzio e un respiro, prima della verità – guarda quella come plana, c’è un riflesso dentro, sarò io? Dai si rompe, non toccare…]

Ospiti

la famiglia Lucà

 

 

Il fatto che il termine "ospite" indichi sia l’ospitante che l’ospitato mi ha sempre destabilizzato. Sapete quanti equivoci nel parlare del "mio ospite", e poi insomma, c’è una bella differenza, o io ospito te, o tu ospiti me, o l’intruso sei tu o sono io, o tu sei grato a me o io a te.
Invece l’ambiguità linguistica dell’ospitarsi rappresenta perfettamente la reciprocità dell’atto.

La scorsa settimana ci siamo ospitati io, due genitori (altrui), quattro figli, una prozia e svariati passanti saltuari.

 

Omino di carta che ho ritagliato per marco

 

E mi si è aperto un mondo.
Su un concetto di famiglia che mi è completamente estraneo – mia sorella si fa i cazzi suoi da una vita, ho la stanza singola da sempre, i genitori sono fastidiosi intralci da evitare il più possibile – ma di cui percepisco il fascino.
Casa per me è il luogo mio. E’ la sera silenziosa, le mie cose inviolabili e la camera vuota in cui rimuginare insieme al muro. Non è un luogo dove si va, ma dove si torna, dopo esser stati in posti più interessanti; non contiene nulla e nessuno di interessante in sé. La gente si vede fuori, se voglio parlare con qualcuno devo telefonare, se voglio ridere esco.

Casa Lucà è il luogo dell’incontro. Ho osservato tra il basito e il vagamente commosso la quotidianità di fratelli che chiacchierano dopo cena, o s’inseguono, rotolano e si picchiano morbidamente in cucina. Gli amici che arrivano senza preavviso e possono restare fino al cuore della notte. Le fitte tavolate in cui c’è sempre qualcosa da raccontarsi, e il modo liquido in cui l’evento personale di qualcuno si diffonde fra gli altri, catalizzando opinioni e partecipazione. Quel pizzico di orgoglio paterno nel difendere le qualità dei figli, e una complicità contro i loro avversari che mi è così estranea da scandalizzarmi. L’abitudine a parlare ai peluche, infrangendo senza seriosa vergogna il confine gioco-realtà. La permeabilità dei confini personali, per cui tu puoi anche dormire ma io continuerò a giocare al pc qui accanto, e viceversa.

Ecc., ecc., ecc..

Comunque, è stato istruttivo. Immergersi in una realtà completamente diversa rende meno ovvie le proprie abitudini, e fa apparire improvvise consapevolezze della propria identità, altrimenti scontata.

Credo che mi autoinviterò spesso.

[E poi: la notte passata con l’Eli a scrivere sui fogli esilaranti stronzate, ridendo fino a piangere; papà Lucà che ipotizza vacanze insieme; l’omino di carta che ho lasciato sulla scrivania di Marco; i desktop che cambio di nascosto; la giornata terribile conclusa ridendo per disperazione…] 

...perché Lucà è il tipico suono di due moscerini spiaccicati contro un vetro...La firma di elisa secondo me

Profuga.

Comincia la settimana di solidarietà con tutti i profughi, sfrattati e senzatetto del mondo.

Non ho casa per un po’.

Qualcuno mi ospita?

Un minuto di silenzio

perché ho finito Harry Potter.

[Non si vive di solo Orazio]

Comunque, la Rowling ha decisamente perso colpi, e questo finale non è all’altezza.
Il resto si tace, per non spoilerare.

Un’unica osservazione: mi auguro che Ratzinger abbia ora di meglio da fare che avvalorare le condanne della Kuby. In caso contrario, fategli notare che la fine della saga è una banale metafora della vicenda cristiana.
Il tema della prossima Estate Ragazzi sarà indubbiamente Harry Potter – e Ale avrà già la parte (mwuahuwha).

Ma tu

provi emozioni?

No, certamente. Non sono qui combattuta tra il senso di colpa e la voglia di abbracciarti. Non sono quella a cui è rimasto addosso un lembo di pelle altrui per giorni e giorni e mesi e ancora. Non ho mai aspettato nessuno girando avanti e indietro per la stessa strada sperando in un incontro, io. Non mi sono affezionata perdutamente a persone impossibili. Non ho pianto in bagno per nostalgia, né nel mio letto, crogiolandomi nell’immaginare una vita – un’altra – in cui sarò me stessa, e credendola così reale da commuovermi. Non ho girato per parchi vuoti solo per sentire che rumore fa un’esistenza (dentro) contro un prato (fuori). Non ho caricato di aspettative assurde le prime persone che incontravo. Non ho scritto poesie patetiche. Non ho ho scommesso un anno della mia vita su un’intuizione (sbagliata). Non ho abbracciato cuscini la notte perché solo loro se lo lasciano fare. Non sono basita dall’irrimediabile incomunicabilità emotiva che mi attanaglia.
E, s’intende, non provo emozioni.

Ma per favore.

Domenico Lombardini, da I motivi dietro

[…]
come se ad ogni carezza, data e ricevuta,
si sentisse: guai a te, non credere sia banalità.
 
correndo tra le dita rivoli di sabbia. inutile
stringere, la stretta teme la caduta,
la provoca. presto, un po’ di acqua,
ché s’ingrassa la sabbia, si deve,
poi le dita si acqueteranno.
la presa indulge ancora, si allenta infine.
e alla pace, nel precordio umido
di ciò che valse, quando mani e piedi
nel liquido viscoso informavano, corrispose
l’occhio stupefatto, poi il presentimento
di disfatto – la mano vuota.

[…] Leggi tutto

E avevo mangiato solo crocchette in un pub.

Sono andata nella casa colonica che stanno per distruggere sotto casa mia, ci ho trovato un antico manoscritto in scrittura carolina, redatto da mio nonno, nel quale si affermava la nostra proprietà di quella casa. Al che la mia famiglia si impegnava per rivendicarla, ma mio padre nel frattempo veniva nominato re d’Olanda e preso dalla politica internazionale aveva altro a cui pensare.

Strana roba, i sogni dopo un esame.