Irrilevanze

Ho visto dalla finestra una donna, alta più o meno tre millimetri. Sì, la distanza era più o meno quella per cui, se misuri l’immagine con pollice e indice vicino agli occhi, risultano tre millimetri.

In effetti stava incappucciata per il freddo e non si capiva se fosse una donna – l’ho deciso soltanto dall’energica grazia dei gesti.
Tra me e lei c’erano un tavolo, un vetro, metri di parco desolato, una rete, altri metri di parco desolato. Al di là, i tre millimetri, e un cane. Sopra di lei, un cielo marrone sbiadito di rami intrecciati. Accanto a lei, sulla stessa panchina, un vecchio – si capiva per il qualcosa di bianco che gli incorniciava la testa. Poteva essere un marito o un nonno, indifferentemente.

Ho finito di guarnirmi una fetta di pane pensando alla totale irrilevanza della scena.
Eppure ho continuato a guardarmela, crogiolandomi in un’intimità immaginaria – in fondo c’eravamo solo noi tre: noi tre per tutto quello spazio invernale di tavolo-vetro-parco-rete-parco; di qua dal vetro una che fa merenda per non studiare, di là una che

e per un attimo avrei voluto saper riempire questo spazio bianco.

[Parlavamo dei momenti di bellezza?]