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Non è mai pari

E tutto quel rincorrersi fuggendo
solo perché qualcuno soffia
un granello di troppo
sul piatto sbagliato
Così la bilancia dell’affetto
pende sempre da una parte sola 
e quel bisogno in bilico
non è mai pari.

[Pensando a chi non ha mai tempo, e a chi l’aspetta]

Smetti di contarli

Un giorno d’improvviso t’accorgi che hai smesso – hai smesso da tanto, da quando? Non ricordi – di contare gli amici, di segnare il numero di giorni dall’ultima volta che li hai visti, d’interrogarti su quale casellina gli si addica – conoscente, amico o migliore? – e ti scopri soltanto a passarci nel mezzo, ondeggiando dall’uno all’altro, sfiorandosi appena, oppure schiantandosi addosso per subito rimbalzare via…
Vedi che la nostalgia è diventata una cosa distratta e leggera, un utile promemoria che ti bussa in testa ogni tanto dicendo ehi, è un pezzo che non li senti, fa’ qualche telefonata sorridente prima che ti diano per dispersa. E a volte ascolti bussare per un po’, prima di rispondere.
Forse perché sono già dispersa.

[Certo, se mi metto a ripensarci, qualche vecchia atmosfera può ancora mancare. La grande differenza è che ora accade soltanto quando decido di andare a cercare i ricordi, mentre un tempo erano i ricordi a cercare me]

Ecco cosa farò da grande

Vorreste inviare alla vostra amata una lettera indimenticabile, cui nemmeno il suo cuore di pietra potrà restare indifferente? Siete bloccati dalla sindrome del foglio bianco? Vi credete incapaci di comunicare i vostri pensieri? Vi sentite dei novelli Cristiano, e cercate disperatamente un caritatevole Cirano disposto a prestarvi l’anima?

Nessun problema. Da oggi, troverete chi vi fornirà la penna. Precisamente, chi ve la venderà.
Questa generosa signora mette a disposizione il suo talento letterario ai frustrati privi di ispirazione: cinquanta euro basteranno per acquistare una missiva composta appositamente, su qualunque argomento: d’amore, d’addio, al padre, al figlio. Pronta in dieci giorni. Ma se dovete dichiararvi alla vostra amata prima che si trasferisca sette anni in Tibet, con soli venti euro di supplemento la vostra lettera urgente sarà pronta entro cinque giorni!

Naturalmente, prima di usufuire del servizio potrete beare la vostra sensibilità poetica dando un’occhiata ai numerosi esempi di lettere già fatte.
Ve ne presentiamo qui una, aggiungendo nostri commenti.

“E’ difficile parlare con chi non vuole ascoltare. E tu non vuoi ascoltarmi.
Forse sei sordo alle altrui parole…Alle mie, sicuramente.

Si può notare nell’incipit l’incisività e il rigore logico con cui vengono enunciate verità semplici quanto incontrovertibili, espressione dell’incomunicabilità ormai diffusa nella società moderna.

Io non credo di essere così crudele o maleducata come tu mi descrivi.
Osserviamo il tono dubitativo e insieme deciso, quel “non credo” che inizia la frase accogliendo il lettore in un’atmosfera dialogica e disponibile, senza tuttavia rinunciare a una conclusione efficace, coronata da un affondo delicato ma assertivo. La difesa della propria tesi avviene mediante un’analisi psicologica del proprio carattere accuratamente argomentata.

Ricatti? Quali ricatti? Non conosco questo termine, né saprei utilizzarlo.
Ecco che i temi annunciati in precedenza si fondono qui in un unico blocco testuale: il piano dialogico – evidenziato dalle domande retoriche – si unisce ad un’ulteriore sottolineatura dell’incomunicabilità.

Mi sembra che la tua presunzione e il tuo orgoglio superino ogni ostacolo.
Vuoi avere la coscienza a posto? Va bene: sei perfetto, un eroe senza macchia e senza paura alle prese con Crudelia Demon .

E’ in questo breve ma intenso paragrafo che si esprime pienamente la creatività della scrittrice. In poche parole riesce a concentrare ben tre espressioni del tutto originali e dense di significato, distanti anni luce da triti luoghi comuni e frasi inflazionate. Tuttavia il suo genio artistico non si limita all’elaborazione di nuove perifrasi, bensì tocca il suo apice nell’arguto collegamento con una figura chiave della cinematografia novecentesca, come ulteriore prova – come se ce ne fosse bisogno – dell’ampiezza di vedute e della vastità della sua cultura umanistico-disneyana.

Se credi di avermi fatto sentire la tua presenza e la tua solidarietà, ti sbagli.
Non importa, tu vuoi essere sempre al centro dell’attenzione, protagonista assoluto e indiscusso della tua favola. La Vita non è una favola. Purtroppo.

Dopo la metafora di stampo fiabesco, ecco in queste brevi successioni paratattiche l’inevitabile ritorno alla realtà, la malinconica consapevolezza dell’eterno abisso che separa il il mondo onirico da quello concreto, la dimensione dell’io da quella della realtà esterna, lo spirito dal corpo – un insanabile dualismo che ha tormentato secoli di filosofia, dalle due facce della lente spinoziana allo schiaffone in faccia che la moglie di Socrate mollò al marito, perso fra le nuvole dello spirito.

L’Amore è un sentimento troppo grande per entrare nello spazio limitato delle tue pagine. Amare vuol dire uscire da sé stessi per regalarsi all’altro. Tu non sai uscire da te. Pretendi che chi ti ama dimentichi e risolva da solo le proprie difficoltà per poi ammetterlo nel tuo mondo perfetto.
Prosegue in queste righe la riflessione sull’Amore gratuito contrapposto al gretto egoismo di una personalità limitata e cieca, come esplicitato nell’ultimo breve ma illuminante paragrafo:

Mi dispiace che tu non riesca a vederti. Mi dispiace che tu non riesca a vedermi.
Forse dovresti usare gli occhiali…
Ti voglio bene. Sempre e comunque.

Come può una simile conclusione non commuovere anche gli animi più insensibili? Dopo aver affermato le proprie ragioni, giunge la disarmata ammissione della sofferenza di fronte all’incomunicabilità ora trasfigurata sul piano visivo; per poi terminare in un appassionato invito oculistico che è anche una dissimulata, struggente supplica: “forse dovresti usare gli occhiali…”
Chi non ha mai sognato di rivolgere al partner una simile preghiera?

Ora che avete letto questo esempio, non crediate che la nostra scrittrice sia imprigionata in uno stile proprio e riconoscibile: è chiaro che la lettera realizzata per voi rispecchierà il vostro carattere e la vostra personalità in modo tale da non dare adito a dubbi sull’autenticità della vostra missiva.

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Ok. Se qualcuno volesse mai scrivermi una lettera ma non trovasse le parole, mi mandi pure un messaggino pieno di kappa, o un bigliettino sgrammaticato, o non mi scriva piuttosto.
Almeno, il silenzio sarebbe autentico.

[Postilla politically correct:
E’ noto che tifo per la libera espressione e schifo ogni giudizio non richiesto, specialmente in campo letterario.
Se la sedicente Cirana benefattrice si fosse limitata ad aprirsi un blog scrivendoci quel che le pareva, o a pubblicare un libercolo di poesie, buon per lei. Che so, magari mi sarebbe pure piaciuta.
Se si fosse messa a un angolo di strada chiedendo ai passanti un’offerta libera per una poesia su misura, come nel film Prima dell’Alba, avrebbe avuto pure un fascino vagamente bohemienne.
Ecco, il fatto che venda false lettere d’amore su internet a settanta euro l’una mi strappa qualche risata, và.
Concedetemelo.
Tanto durerà ancora solo pochi anni. Poi, quando farò la fame in fondo a qualche infinita graduatoria di insegnanti precari, sfrutterò anch’io il mio talento dandomi al business della prostituzione letteraria. In fondo è più comodo dei viali di notte.
Qundi, signora, non s’offenda, ché saremo presto colleghe. E le farò concorrenza spietata.]

Fra’ Massimo

Più o meno tutti i reduci dal Norcia-Assisi lo hanno incontrato e ne parlano affascinati. Chi non l’ha incontrato, se frequenta qualche ambiente di AC l’ha almeno sentito dire.
L’altra sera era alle Budrie, e tra i tanti ad ascoltarlo c’ero anch’io. L’ho registrato per la Sofi influenzata, già ch’è c’ero l’ho trascritto, e siccome mi sembrava di non aver perso abbastanza tempo, ho pure tentato una sintesi (cioè giusto tre righe in meno, ecco).

Il frutto della mia nottata insonne (certo, m’ero alzata alle tre del pomeriggio) è di seguito offerto ai gentili blogspettatori.

Ascolta il discorso (e i colpi di tosse) cliccando su play:

(Per scaricare i file, cliccaci col destro e scegli salvaoggettoconnome)

Scarica registrazione incontro, 1h 57′, 59 Mb, mp3

Trascrizione, 73 Kb, doc

Sintesi (pfff), 54 Kb, doc

Palloncini

Questo pomeriggio c’era un orribile cielo bianco uniforme, di quelli che coprono metà inverno bolognese. A un tratto ho visto come una macchia, piccolissima, in alto, volava sempre più su, sempre più piccola, è sparita.
Ho letto da qualche parte che i bambini si domandano dove vadano a finire i palloncini all’elio-o-quel-che-è, e s’immaginano magari lo spazio pieno di palloncini in orbita. Io ero abbastanza pragmatica per pensare che, prima o poi, scoppiassero e basta. Brutta roba avere questo senso della realtà – cominciai a intuire la non esistenza di babbo natale non grazie a qualche compagnetto stronzo, ma solo perché presto mi resi conto che una slitta non può volare.

Il mio problema coi palloncini era un altro: mi mettevano una tristezza profonda. Erano l’allegoria della morte, incutevano un timore cupo e solenne, pronti com’erano ad andarsene per sempre. Non volevo che mi comprassero una cosa che avrei dovuto uccidere con le mie mani. 
Io non avrei mai lasciato andare un palloncino. I palloncini all’elio non tornano più. Non ne sarebbe mai esistito uno esattamente uguale, uno con le mie impronte sopra. Le mie impronte sarebbero volate via con lui.

[Credo che i palloncini all’elio possano spiegare il novanta per cento dei problemi della mia vita]

Due giorni

[Appunti dopo una due giorni parrocchiale] 

– A ogni domanda, il prete risponde per prima cosa con la regola. "La Chiesa dice". Perché? Perché ha il potere di dirlo e ti devi fidare. Poi, se proprio insisti, si difende con "ma Dio solo può giudicare". E meno male.
– Pensavo che sarebbe stato difficile, perché, anche se di vista, mi conoscono da sempre – e allora si sa, le maschere pirandelliane, la prigionia nelle aspettative altrui, il non potersi lanciare ed essere se stessi, un po’ come succede in famiglia.
– E’ stato in effetti difficile, ma forse per un motivo peggiore. Io non ho fiducia in loro.

[Ricordo la prima due giorni coi Diciottenni. Praticamente sconosciuti, mi parevano tutti meravigliosi amici in potenza; non sapendo chi lo sarebbe diventato, nel dubbio mi mettevo in gioco con chiunque, pubblicizzando la mia parte migliore e cercando la loro. Sicuramente ne è valsa la pena, ché se qualcuno  non è rimasto, con tanti altri s’è costruito qualcosa di bello.
Faccio così ogni volta che entro in qualche gruppo nuovo; poi certo inizio a scremare, a decidere su quali rapporti conviene investire; ma intanto parto credendo che ciascuno potrebbe diventare importante.
Coi parrocchiani, a parte un paio, non l’ho creduto nemmeno per un attimo. Perché ho dei pregiudizi enormi, sugli altri come su di me; perché molti sono altrettanto bloccati e comodi nei rapporti abituali, senza voglia di sperimentarsi. Proprio come me.]

Il calcione dei Diciannovenni

Diciannovenni è l’originalissimo nome con cui l’Azione Cattolica indica un gruppo un po’ anomalo, che fa da cuscinetto tra l’epoca degli onnipresenti gruppi parrocchiali e il nulla. Comincia coi Diciottenni, raccattando da tutta la diocesi coloro che, in quinta superiore, sono disposti ad aggiungere due incontri al mese alla loro fitta agenda parrocchiale – per cui, a quanto ho visto io, si tratta di una selezione tra i giovani cattolici più cazzuti, convinti o contestatori, ma in ogni caso un po’ interessati, ecco. A parte Tosse, s’intende.
Non per niente da ogni parrocchia ne arrivano si e no due o tre.
Dopo un anno di Diciottenni fai il campo vocazionale, e t’innamori perdutamente. Del gruppo, di quelle persone, della modalità di condivisione, degli educatori e magari del prete. Dici: "cazzo, ho passato anni a deprimermi nella mia parrocchia, ho tentato invano un’esperienza pseudociellina, ma adesso ho trovato".

Fatto il campo vocazionale, cominciano i Diciannovenni: gli incontri si diradano a una volta al mese, il numero di presenti cala, l’entusiasmo anche. Per fortuna quel campo è servito a iniziare dei rapporti che tentano di mantenersi da sé, organizziamo uscite, ci vediamo spesso per i fatti nostri. Ma non basta un anno per creare la confidenza giusta, per cementare le amicizie fino in fondo. Siamo pur sempre conoscenti, in maggior parte.
Qualcuno lamenta la rarità degli incontri, che fa perder la voglia di tornare dopo tanto tempo a riprendere il filo di discorsi dimenticati. Qualcun altro si domanda a che serva discutere a vuoto sugli stessi argomenti, posto che, tanto, risposte comuni non se ne trovano. Ad altri ancora va bene così, ché non avrebbero tempo di buttarsi a capofitto in un’esperienza più impegnativa.

Lunedì, a tre o quattro mesi dalla fine dei Diciannovenni (e quindi di tutto, ché non mi risulta esista il gruppo Ventenni), ci s’è interrogati su questo. Forse il discorso degli educatori serviva anche per rispondere a quella lunga mail che gli ho mandato io, alle telefonate che ha fatto qualcuno; insomma, il problema era emerso.
La loro risposta è stata, più o meno: questo non è un gruppo, perché non vuole esserlo. Perché non è nato per questo, voi avete i vostri talenti e i vostri rapporti da sviluppare da soli, senza una struttura rassicurante a sostenervi o obbligarvi. Siete grandi e liberi, fate le vostre scelte. Trovatevi altri gruppi dove vivere l’esperienza che cercate, gruppi che siano specificamente orientati verso quel che più vi corrisponde; ognuno ha il suo modo di vivere la fede, far volontariato, e così via. 

Ora.
Capisco l’intento di mollarci un calcione educativo verso il mondo, di responsabilizzarci nel coltivare amicizie autonomamente, e così via. C’è del vero e del buono, c’è quell’aria di libertà e rispetto delle diversità di cui a volte sentivo la mancanza in gruppi fortemente "comunitari" come i sangiacomini, che grondano senso di appartenenza e corrono sempre il rischio di chiudersi su se stessi. Questo invece è un calcione tipicamente Ac.
Eppure, mi resta una perplessità.

Per quel che ho vissuto, penso che i rapporti crescano solo condividendo qualcosa. Non voglio andare sul metafisico: parlo di un qualunque pretesto che consenta di avere argomenti in comune diversi dal tempo che fa e dalle mezze stagioni; meglio ancora – ed è questo per me il valore dei gruppi cattolici – un pretesto che ti costringa a mettere in gioco la tua esperienza personale, ad esporti su livelli che altrimenti resterebbero sepolti per anni, prima di essere indagati.
Soltanto certe amicizie già salde, magari di lunga data, possono reggere alla non-condivisione di una quotidianità, e trovano il coraggio di telefonarsi senza una scusa per farlo. Le altre, quelle ancora agli inizi – come le nostre – hanno bisogno di un filo conduttore cui aggrapparsi.
Non credo che questo avvenga perché non ci si vuole prendere la responsabilità di coltivare da soli i rapporti: mi sembra molto naturale che, anche con la migliore volontà, sia difficile per chiunque entrare in confidenza con una persona non avendo il tempo e le occasioni necessarie. Con ciò non sostengo che avere occasioni di condivisione sarebbe sufficiente: si può convivere per anni in una classe restando appena conoscenti. E’ ovviamente fondamentale la volontà di aprirsi, di cercarsi, di tentare un dialogo e magari azzardare un salto oltre le frasi convenzionali – e queste sono cose che accadono tra singoli. Dico solo che, spesso, alcune circostanze esterne aiutano a farle accadere.

Questa è la confutazione razionale della tesi avversa.
Le mie ragioni affettive forse sono altre. Ai diciannovenni mi è sembrato di trovare il mio posto, più che in ogni altro gruppo. Stimo immensamente gli educatori, mi piace l’aria in genere accogliente di quelli che conosco poco e ho molta (troppa?) fiducia nell’amicizia in costruzione con alcuni di quelli che conosco meglio. Sono a mio agio con persone che la pensano diversamente tra loro e a volte diversamente dall’istituzione, gente che ha dubbi come me e non teme di dirlo.
Mi sono creata (da zero, ché non mi conosceva nessuno) un ruolo che, tutto sommato, sento più mio di tante altre maschere: sono quella che parla, quella che fa, che spinge un po’ gli altri, che si sente responsabile del buon andamento del gruppo e se le gira un’idea in testa scrive una letterona al prete, quella che quando si esce telefona in qua e in là per recuperare chi non si fa mai vedere. Non sono mai stata niente del genere in nessun altro posto.

Perciò mi dispiacerebbe se la prossima estate, finiti gli incontri e passato il tempo necessario a dimenticarsi, di quest’esperienza non mi restasse che un buon ricordo e, forse – ma già sarebbe tanto – un paio di amicizie saltuarie.
Certo, mantenere vivo un gruppo senza coordinamento dall’alto sarebbe una sfida interessante.  

E ho ancora qualche mese per trovare qualcun altro che abbia voglia di tentarla.

Variazioni sul tema

[Ovvero: cosa viene in mente leggendo nel giro di poco cose che non c’entrano un cazzo l’una con l’altra. O forse no] 

Nel molle giro di un sorriso
ci sentiamo legare da un turbine
di germogli di desiderio

Ci vendemmia il sole

Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse

Ci rinveniamo a marcare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa

(Giuseppe Ungaretti, Fase d’Oriente, da L’Allegria)

Se l’eccitazione è un meccanismo con il quale il nostro Creatore si diverte, l’amore è al contrario qualcosa che appartiene soltanto a noi e ci permette di sfuggire al Creatore. L’amore è la nostra libertà. L’amore è al di là dell’es muss sein (= "deve essere")!
Ma nemmeno questo è del tutto vero. Anche se l’amore è qualcosa di diverso da un meccanismo a orologeria del sesso con il quale il Creatore si è divertito, esso si trova sempre legato a quel meccanismo […]. L’unico modo di preservare l’amore dell’idiozia del sesso sarebbe quello di regolare in maniera diversa l’orologio nella nostra testa e di essere eccitati dalla vista di una rondine.
(Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)

Huc est mens deducta tua mea, Lesbia, culpa
atque ita se officio perdidit ipsa suo,
ut iam nec bene velle queat tibi, si optima fias,
nec desistere amare, omnia si facias.

A tal punto mi si è ridotta l’anima, o mia Lesbia, per colpa tua
e così si è perduta per avere compiuto il suo dovere,
che non può più né volerti bene, anche se diventassi la migliore delle donne,
né cessare di amarti (=essere attratto), qualunque cosa tu faccia.

(Catullo, 75)

Traìna mente sapendo di mentire

Seneca parla con disprezzo di chi perde il proprio tempo in studi filologici:
"Nam de illis nemo dubitabit, quin operose nihil agant, qui litterarum inutilium studiis detinentur…"

Traduzione trainiana:
"Di essi nessuno dubiterà che fatichino a non far nulla, che si perdano in studi inutili…"

Certo, "studi dell’inutile letteratura" avrebbe fatto tutto un altro effetto…

Mille punti per la Claudia

C – C’è qualche medico che possa dirci cosa puoi fare? O magari farci capire quali sono i rischi… quali protezioni inventare…
I – Bah… un medico che potrebbe dire? Direbbe che il rischio c’è, ma come farebbe a quantificarlo? Tutta la mia vita è un rischio… magari smetto di giocare e poi mi faccio male tirando fuori un libro pesante da uno scaffale. Ma senti, il problema è che poi se succede qualcosa la responsabilità è tua?
C – No no… cioè in effetti è mia la responsabilità di ciò che accade in palestra, ma volevo solo pensare a qualche adattamento protettivo.. che so, gommapiuma… non è certo la responsabilità il mio primo pensiero, davvero, non importa.

Ho passato una vita con gente terrorizzata da quel che poteva accadermi. Tutti impegnati a scaricarsi l’un l’altro la mina vagante – cioè io – perchésepoiesplodechisipiglialacolpa?.

Quindi, mille punti per la Claudia.
[E anche un immenso grazie]