Ospiti

la famiglia Lucà

 

 

Il fatto che il termine "ospite" indichi sia l’ospitante che l’ospitato mi ha sempre destabilizzato. Sapete quanti equivoci nel parlare del "mio ospite", e poi insomma, c’è una bella differenza, o io ospito te, o tu ospiti me, o l’intruso sei tu o sono io, o tu sei grato a me o io a te.
Invece l’ambiguità linguistica dell’ospitarsi rappresenta perfettamente la reciprocità dell’atto.

La scorsa settimana ci siamo ospitati io, due genitori (altrui), quattro figli, una prozia e svariati passanti saltuari.

 

Omino di carta che ho ritagliato per marco

 

E mi si è aperto un mondo.
Su un concetto di famiglia che mi è completamente estraneo – mia sorella si fa i cazzi suoi da una vita, ho la stanza singola da sempre, i genitori sono fastidiosi intralci da evitare il più possibile – ma di cui percepisco il fascino.
Casa per me è il luogo mio. E’ la sera silenziosa, le mie cose inviolabili e la camera vuota in cui rimuginare insieme al muro. Non è un luogo dove si va, ma dove si torna, dopo esser stati in posti più interessanti; non contiene nulla e nessuno di interessante in sé. La gente si vede fuori, se voglio parlare con qualcuno devo telefonare, se voglio ridere esco.

Casa Lucà è il luogo dell’incontro. Ho osservato tra il basito e il vagamente commosso la quotidianità di fratelli che chiacchierano dopo cena, o s’inseguono, rotolano e si picchiano morbidamente in cucina. Gli amici che arrivano senza preavviso e possono restare fino al cuore della notte. Le fitte tavolate in cui c’è sempre qualcosa da raccontarsi, e il modo liquido in cui l’evento personale di qualcuno si diffonde fra gli altri, catalizzando opinioni e partecipazione. Quel pizzico di orgoglio paterno nel difendere le qualità dei figli, e una complicità contro i loro avversari che mi è così estranea da scandalizzarmi. L’abitudine a parlare ai peluche, infrangendo senza seriosa vergogna il confine gioco-realtà. La permeabilità dei confini personali, per cui tu puoi anche dormire ma io continuerò a giocare al pc qui accanto, e viceversa.

Ecc., ecc., ecc..

Comunque, è stato istruttivo. Immergersi in una realtà completamente diversa rende meno ovvie le proprie abitudini, e fa apparire improvvise consapevolezze della propria identità, altrimenti scontata.

Credo che mi autoinviterò spesso.

[E poi: la notte passata con l’Eli a scrivere sui fogli esilaranti stronzate, ridendo fino a piangere; papà Lucà che ipotizza vacanze insieme; l’omino di carta che ho lasciato sulla scrivania di Marco; i desktop che cambio di nascosto; la giornata terribile conclusa ridendo per disperazione…] 

...perché Lucà è il tipico suono di due moscerini spiaccicati contro un vetro...La firma di elisa secondo me