Convivenza

Accampati in due stanzone di Chiesa Nuova – una follia architettonica dal campanile fallico – siamo rimasti insieme per tre giorni, mischiando lodi e colazione, film, chitarre, incontri, pizze, breviari e libri di scuola. Ognuno preso dalle sue faccende, implorante lezioni di greco o biologia, terrificato dall’interrogazione e distrutto dalle cinque ore di sonno sul pavimento; eppure in qualche modo convinto che ne valesse la pena.

Anch’io ne sono convinta. Per far la strada insieme andando a scuola, per soffiare nel corno di Lucia e ridere di me che sarei cornista nata, per reinventare il gioco del pallone ed incrociare quegli occhi intelligenti; per riunirsi dopo cena coi lumini in terra, sentire una canzone e decidere che sì, è ora di lanciarsi; allora prender la parola, convincere la vicina di posto a far Rossana ed iniziare a recitare Cirano, vederli attenti, sapere che la storia prende e che riesco a parlar bene, poi concludere leggendogli La cura – e tutto per spiegare che cos’è per me l’amore.
Ne valeva la pena, per andare a piedi dal Fermi ai Giardini Margherita, far cerchio sull’erba, lasciarsi trapanare la testa da una banda di colorati percussionisti e poi correre in centro insieme a un’ex coppietta in bici facendo il terzo incomodo, raccattare due ragazze col pallino delle chiese e turisteggiare a Bologna; e ancora macinando chilometri parlare di Dio e far l’eretica e metter dubbi smontar certezze, a sera fermarsi sotto un portico a scambiarsi un po’ di vita, quel che ci capita, ché in fondo non è tanto diverso e le domande son le stesse.

Per una volta a questo mondo parallelo è toccato incrociarsi con la scuola, la gente nuova è arrivata a pochi minuti di distanza dai vecchi compagni – abbastanza vicino perché restassi abbagliata dalle differenze.
M’è capitato, venerdì, d’entrare in classe senza sonno e sorridendo; ché invece di cadere subito dal letto al banco, avevo già iniziato da un pezzo la giornata, salutato gente, detto lodi, bevuto insieme il tè. E per un attimo mi sono scordata d’inserire la modalità scolastica: stavo lì, coi miei compagni, come dieci minuti prima con quegli altri, e mi veniva d’ascoltare i vecchi friends con la curiosità di chi non si conosce, interessata come fosse gente gravida di nuovi rapporti e possibilità inattese; quasi convinta che potesse nascere qualcosa da ogni solita parola. No, d’accordo, subito mi son ricordata di conoscerli da un pezzo, di sapere che con questo niente, quest’altro affatto, quello va così e certo son simpatici eppure non accadrà nient’altro oltre quel che ormai è accaduto, ché siamo alla fine, e c’è più da ricapitolare che da annotar speranze.

La Vero, all’incontro, ci ha fatto sentire questa canzone. Stasera sento che, in qualche modo, c’entra.

Chiudi gli occhi
ed immagina una gioia
molto probabilmente
penseresti a una partenza

ah si vivesse solo di inizi
di eccitazioni da prima volta
quando tutto ti sorprende
e nulla ti appartiene ancora
[…]

ma tra la partenza e il traguardo
nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è sapere
è potere rinunciare alla perfezione.

(Niccolò Fabi, Costruire)