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Uscendo da messa

ho incontrato una mia maestra elementare, dopo un paio di secoli. Senza esitare un attimo m’ha chiesto:

L – Allora hai deciso cosa fare dopo? Avvocato o giornalista?
I – …
L – …o politica?
I – Uhm… Politica sicuro, per hobby ^^ Il resto vedremo….

Apperò, si capiva già a dieci anni quel che sapevo fare: scrivere e rompere le scatole.

Niente, mi sembrava un bel colore

tetti al tramonto da camera mia

E voi li avete strappati

striscione in 5° C 

Nella nostra classe c’è una colonna, accanto alla lavagna, dove avevamo attaccato diversi fotomontaggi e un sacco di foglietti con le migliori castronerie dette dai professori. Quelli passavano, gironzolando dietro la cattedra, davano un’occhiata e sorridevano, chi più chi meno; qualcuno ogni tanto controllava se avevamo aggiunto qualche sua frase.
Non abbiamo scritto sui muri. Abbiamo attaccato un po’ di foglietti con il mio scotch da due soldi, non rischiava di venir via neanche l’intonaco.
Per darvi un’idea, a Natale disegnammo sulla finestra con la neve spray, lasciammo un post-it sul vetro avvertendo che avremmo pulito noi, e infatti durante un’ora buca s’è lavato tutto a dovere.

Sulla colonna l’altro giorno non c’era più nulla. La preside ha fatto togliere e buttar via ogni cosa.

Allora mi sono incazzata
C’è gente che sporca e smonta e distrugge senza riguardo a nessuno, noi c’eravamo inventati una cosa carina e l’abbiamo fatta in modo civile, ma questo alla ruspa dei regolamenti non interessa; né conta se quei foglietti per noi erano memoria* – sì, un po’ come quella su cui ci propinano conferenze e progetti; però la nostra è una piccola memoria di stupida vita scolastica, e allora si può strappare e gettar via, chisenefrega!
Tappezziamogli l’aula di roba, ho detto; qualcuno ha aggiunto scriviamoci queste cose, sì, lungo tutto il muro, tre lettere per foglio, bene in alto perché sia difficile toglierli.
Così, abbiamo impiegato una provvidenziale ora buca per consumare un pennarello rosso su una cinquantina di fogli.

Adesso, entrando in quinta C, si vede sul fondo, in alto, una frase lunga una parete e mezzo.

C’è chi imbratta, chi sporca, chi offende. Noi volevamo solo rendere immortali i nostri momenti che ora nessuno ci renderà.
Voi li avete strappati.
(La Lolli ha voluto aggiungere: non abbatterete lo spirto guerrier ch’entro ci rugge! ^^ )

Tiè.

[E anche se siamo riusciti a battibeccare sulla grafia con cui scrivere e altre scemate, anche se ultimamente abbiamo i nervi a fior di pelle, anche se i tre o quattro che se ne infischiavano c’erano sempre, mi è piaciuto quel mettersi lì, in catena di montaggio, a lavorare insieme per la nostra reazione. Ché nonostante tutto, alla fine, sono un po’ orgogliosa della mia classettina]

*Abbiamo cercato di recuperarla, quella memoria. A forza di rileggerle e riderci su, un po’ di frasi le ricordavamo. Se qualcuno ne ricorda altre, si faccia avanti nei commenti!

La fisica è donna, e come tale traditrice!
Cos’è una ragazza madre oggi? Una single aggressiva!
Il ping pong è la masturbazione del tennis
Quando nasce un figlio si ha il terrore che salti fuori il negretto!
L’aquila è bicipite… bicapite… bicuspide…
Dovremmo comparare questo sonetto a una poesia di Catullo… ma d’altronde anche no!
(prof Sisti): le sistole… che, per inciso, non sono mie parenti…
(prof romana dde Roma) Ma che a Bologna se dice Massini?
Sfera positiva   sfera sorridente

**Censura** …scendi dal pero! (quella di storia insulta amabilmente quella di religione)
Se fate zero fratto zero la calcolatrice vi esplode!
E’ come se Berlusconi dicesse: proletari di tutto il mondo unitevi!

Fretta

acquarello

Non ho intenzione di ingrigirmi gli ultimi mesi di scuola per colpa dello studio. Ho dato un’occhiata alla prova di matematica, ho dedotto che non potrò MAI arrivare al cento, indi anche quella infinitesimale motivazione è svanita.
Non mi resta che leggere Leopardi, cercare un argomento per la tesina che mi piaccia, sfogliare per curiosità l’ultimo tomo del Luperini (ché tanto so non ci arriveremo mai), scrivere sul blog, inviare lettere, fare l’avvocato del diavolo nei gruppi cattolici e partecipare a svariate attività socializzanti. In sintesi, godermi la vita.

‘Azzo, è un affare, non prendere cento.

[Sì, sì, mia sorella faceva la A al Galvani ed è uscita con 60/60 e lode. E chissenefrega.]

Oceani

mare siculo

M’è venuto in mente sul pullman, mentre si parlava di Bukowski e di letteratura. D’un tratto, una frase, e ho visto il tempo bussare al finestrino e dire ehi, sto passando.

Adesso, penso agli oceani d’acqua, di tempo, di cambiamento, in cui qualcuno è già sparito; e mi domando quanti altri vi annegheranno, di qui a pochi mesi. Alcuni subito travolti dalle prime ondate di luglio; altri, più testardi, logorati lentamente dalla risacca quotidiana dei nuovi impegni, di una vita diversa.
Sarà anche vero che nessun luogo è lontano; eppure esistono luoghi lontanissimi a pochi metri di distanza, abissi che s’insinuano nelle pieghe dei giorni, infradiciando i rapporti di estraneità.

E io, di questi, ho un po’ paura.

Non avrei dovuto

abbassare lo sguardo e passare oltre, facendo finta di non vedere. E’ stupido, infantile, vigliacco; e, soprattutto, non volevo. Sarebbe stato più bello salutarsi, sorridere, e basta.
Ma si fanno tante cose che non si vogliono, stando infangati in questa specie di paura.
[O sarà che dà più sicurezza, pensare di essere stata io a fuggire]

“L’unica era aspettare. Lucio aveva saputo da poco che la coda, se te la spezzano, poi ti può ricrescere. Ci vuole solo tempo. Lo aveva saputo da poco e gli era cambiata la vita: di colpo era diventato grande. Forse diventare grande è solo questo: sapere che la coda ti può ricrescere.”
(Paola Mastrocola, “Che animale sei?”)

[Anch’io ho scoperto che può ricrescere. L’ho scoperto trovando un pensiero accoccolato fuori dal portone, che dormiva. Ogni tanto passo di lì e quello apre un occhio e si rigira, perché non lo dimentichi. Però, da qualche tempo, ha smesso di bussare.
C’è un silenzio nuovo, dentro
]

Indignazione.

Allora.
Questo testo l’ho pescato su internet. La questione trattata è la sessualità dei disabili e, in particolare, quella di chi ha malattie trasmissibili ai figli. Al che mi sono fischiate le orecchie, e ho letto. Ahimè.

L’autrice si chiede: Si deve collaborare con Dio a non generare dolore? La risposta è affermativa – e fin lì, volendo, si poteva anche concordare. In tutto il testo, però, la contraccezione non viene mai citata. Dunque, indovinate come viene risolto il problema?
È auspicabile che una persona affetta da patologia fonte di handicap fisico geneticamente trasmissibile non eserciti la propria genitalità ma viva ed “inventi” l’esercizio della propria sessualità in modo sublimato e trascendente, mantenendo intatta e se e possibile migliorandola, la propria “salute sessuale” e mentale. Si, insomma, quella salute che tu hai perso da tempo, affogandola nell’acqua santa. ”Ammettendo” l’esistenza di una sessualità anche per gli handicappati, (la ammettiamo? Ah, ma tra virgolette, mi raccomando!) si può rivalutare la visione della sessualità in generale, tentando di abbattere i numerosi tabù e stereotipi imperanti. In tal senso si vuol rilanciare una sfida socio-pedagogica incentrata sul “servizio”. Tale sfida deve saper proporre una sublimazione (!) intelligente e ricca di spunti, suggerendo un’alternativa viva all’esercizio, in questi casi per molti versi “castrante”, dell’apparato riproduttore.

E quale sarebbe l’edificante alternativa?
Il portatore di handicap fisico geneticamente trasmissibile può intuire, talora non senza sofferenza, l’opportunità di fermarsi al gradino dell’Amicizia, che potrà rendere particolarmente intensa, (ah beh, questo sì che mi rincuora!) mettendosi in condizione di avere parecchi Amici. In tal modo […] sarà un “superdotato”, sopperendo così ad “altre carenze” e vivrà gradino dell’Amore, in maniera un po’ speciale.
Istruzioni: prendere una frittata, lanciare in aria la frittata, rivoltare la frittata.
Ora, trasformare un limite in un vantaggio è, in generale, una cosa positiva: se hai una difficoltà, fai bene a cercare qualche modo utile di sfruttarla. Spacciare un limite per vantaggio è già più ipocrita, tipico di chi rifiuta di affrontare la realtà per come è, dipingendosela con colori più sopportabili.
Ma inventare un limite che non esiste, e poi vendertelo come privilegio, è una violenza. Una violenza verso la realtà, totalmente manipolata, e verso le persone, quelle che ci cascano, che ci credono, e rinunciano certe esperienze solo perché sono convinte di non poterle fare – e pensano che, in fondo, sia meglio così.

L’elogio del contentino-amicizia prosegue: occorre educare la persona all’Amicizia che può vivere pienamente arricchendola di profondi significati. […] L’amicizia infatti ha a sua disposizione innumerevoli modi di esprimersi in cui il corpo può avere la sua parte senza dover ricorrere alla genitalità. […] Infatti anche quando non vi è un rapporto genitale, ma la “compenetrazione” affettivo-amicale è grande, si può raggiungere quella gioia, rasserenata e rasserenante, che a detta di psico-sessuologi è il prodotto meglio riuscito di un vero atto sessuale, frutto d’amore. Tale possibilità è offerta anche alle persone portatrici di handicap!
…Ma grazie! Troppo gentile!

La promozione di un vero amore d’amicizia […] è la sfida vincente in questo complesso settore dell’umana sofferenza (”settore dell’umana sofferenza”? é.è). Tale amore diventerà per il portatore di handicap (geneticamente trasmissibile) “il” modo alternativo dell’esercizio della propria sessualità e sarà modo concreto di raccogliere la “sfida”, che in termini cristiani è vocazione!
…’Azzo, hai capito… astinenti di tutto il mondo, perchè dite di essere sfigati? C’avete la vocazione!

Solo che alle vocazioni, di solito, si può rispondere liberamente. Non mi risulta che il Padreterno sia mai sceso a prendere un tizio per la collottola, trascinarlo in seminario e fargli pronunciare i voti sotto minaccia di fulmine divino. Queste cose di solito le fanno gli uomini.
Anche la nostra autrice coglie la differenza, distinguendo il celibato volontario per il Regno, proveniente da vocazione comunemente intesa, e il celibato “involontario”, indotto da patologia, ma liberamente e consapevolmente “riscelto” come “vocazione-sfida”.
Indotto da patologia? Uhm, non sapevo esistesse il Morbo del Celibato. Una malattia che ti piglia e t’impedisce di innamorarti. Sarebbe un po’ triste, eh.
E invece, non solo il Morbo del Celibato, secondo l’autrice, è automaticamente connesso a tutte le malattie genetiche – sei malato? Sarai single – ma te lo devi pure riscegliere. Cioè, ti deve piacere, e devi stare contento d’esser zitello/a. Mica azzardarti a combatterlo eh! Non ci provare, a infatuarti di qualcuno, ché poi ti vien voglia di portartelo a letto e, siccome non vuoi far figli, dato che sarebbero malati, cadi nella tentazione di usare qualche contraccettivo satanico! Pape satan aleppe!

Si conclude così: è parso utile intervenire al proposito offrendo uno spunto di riflessione che incoraggia la riscoperta di una castità gioiosamente vissuta e piacevolmente “interpretata”!
A me non pare molto gioiosa, come interpretazione. Casomai, mi sembra la visione rassegnata e un po’ frustrata di chi ha avuto bisogno di elaborare una teoria consolatoria per le proprie disgrazie; ma so che purtroppo non è nemmeno così, non posso liquidarla come la visione personale di una signora qualunque. Questo articolo stava su un sito di bioetica, e ogni tre righe rimandava a saggi altisonanti di qualche pensatore cattolico; ho il nefasto presagio che sarebbe ampiamente condiviso da zio Ratzy & C..

Per la cronaca, conosco l’autrice. Telefona spesso a casa mia e l’ho vista giusto l’altro giorno. Và, è pure simpatica, a prima vista.
Sempre per la cronaca, è disabile. La prossima volta che la becco indago se è sposata/convivente/morosata.
Secondo me, no.

Non gridate più, non gridate

Mi piacerebbe, adesso, lasciare che le cose trascorse si posino tranquille sul loro tempo, finalmente, adagiandosi in pace come una nevicata leggera. 
Sono già passata al mercato delle ragioni, ma le avevano finite – i torti, invece, restano sempre in magazzino – e ora non m’importa di sapere che fa sull’autobus, e se saluta; ché nel mio fango mi sono rivoltata tante volte, e so cosa fa la vergogna e l’imbarazzo e la poltiglia di sentimenti andati a male.
Potrei divertirmi a profanare i morti e trascinarli per il campo; farmi prestare qualche spada – c’è chi ne tiene a bizzeffe – e squartare un ricordo fino alle ossa, finché non si riconosca nemmeno più; così, quando l’avrò sfigurato, potrò raccontare la mia verità, qualunque verità, e voi mi crederete.
Eppure, io sento (lo so) che ogni pugnalata me la darei fra le costole – le mie, costole; ché uccidere il passato è tagliar via un po’ di se stessi. 

Non mi va di rinnegare; in quegli anni – uno, due forse – mi sono crogiolata ed esaltata divertita sentita stupida e importante e tormentata e comunque ci ho vissuto – dici bene tu, come di un innamoramento; il prezzo l’ho pagato – ogni tanto arriva ancora qualche rata di mancanza – e non voglio domandarmi se ne sia valsa la pena (i conti della vita non puoi farli che alla fine); tanto è stato, e così sia.  
Vorrei, soltanto, che restasse un buon ricordo; così se un giorno, forse, poi, ci rincontreremo, non avremo più bisogno di scappare.

Teoria

sgrammaticato biglietto della mia domestica: presentarsi in via dell'industria n° 32 per l'esame di guida alla motorizazzione civile portare tessera d'identita e foglio rosa e biro il giorno 15-2-2006 l'orario te lo diranno perche non me l'anno detto
[1 errore. E ora guide!]

E’ morta

in una notte di due estati fa
è morta ancora
nell’appestato silenzio di quel corridoio antico
e poi tante altre volte
– sta morendo –
nei sorrisi che dimentico,
nell’affetto
trascurato
nella goccia sola ch’è schiantata assordante
e io
l’ho confusa con la pioggia
(perché tanto, le gocce
sono tutte uguali)

Non so più
come ingenue ridono le attese e si tormentano
né sento quel rimescolarsi caldo e grato
per solo una parola
(Ma nemmeno si cade strangolati 
da una delusione
e non si affonda soffocando
in qualche densa nostalgia)  

Eppure, non voglio
sbiadire
nell’abitudine

Bisognerà innamorarsi di qualcosa