Notte prima degli esami

Lo so che sarebbe più poetico passarla sotto la finestra dell’amato, ma queste cose accadono solo nei film con Faletti. Noi comuni mortali, invece, la passiamo a stampare sei copie di tesina – scritta in caratteri enormi, con interlinea doppia e quadri di Gauguin a tutta pagina (nooo, non è che voglio allungare il brodo) – da lasciare ad altrettanti prof, giusto per illudersi di far figura.

Ora, non diciamolo a nessuno, ma a me ‘sta tesina piace. Racconto in giro che fa mmerda (con due emme, ché puzza di più) solo per mettere le mani avanti – e perché so che, onestamente, non è proprio facile facile capire come mai mi sia andata a scegliere un argomentullo vago, senza nodi problematici o dibattiti incazzosi da portare avanti. Che so, "dal materialismo all’utopia" di Lollo era molto più figo, va’, ce l’aveva scritto in fronte lui, grondava ancora dei dibattiti scolastici teo-politico-filosofico-social-comunistoidi. Ma perché non una bella tesina sulla divina apparenza di battiatica memoria, per inveire in qualche modo contro questa società superficiale, vana, sbrilluccicante e priva di mezze stagioni? Oppure una bella scissione dell’io, tipo le maschere pirandelliane, in onore delle mie famose 465 personalità.

[In questo momento è entrato papà – storico dell’arte – e ha intravisto i quadri di Gauguin della tesina. "No papà non li conosci, sono moderni". "Uffa. Potevi sceglierti un argomento medievale"]

E invece, che mi vado a cercare? L’immaginazione. Realtà percepita e realtà immaginata. Nemmeno si capisce che significa, va’. Forse non l’ho capito neanch’io.
Non è vero. Io l’ho capito perfettamente, e so perché l’ho scelta.

Un po’ per sfida, per togliermi di dosso la toga d’avvocato che a volte mi diverto a indossare: è vero che mi piace argomentare e dibattere ed eventualmente incavolarmi, ma di me non può restar soltanto questo.
Soprattutto, però, l’ho scelta perché a volte, se vado per le stradine finte di un parco, alla sera, fra le camminate dei vecchi, i passeggini che piangono, le mamme e le corse sudate del jogging, mi pare d’intravedere qualcuno che non c’entra. Uno qualunque, uno dei tanti che s’incontrano nei pensieri quando si ha il coraggio di camminarci dentro dimenticando il resto. Spesso si fanno trovare in posti particolari, hanno il loro cantuccio preciso dove dormire, in attesa che io passi a trovarli; e appena li sveglio arrivano a sedermisi accanto, per raccontarmi qualcosa o ascoltarmi parlare.
Dicono che non sia vero. Che i passeggini e i vecchi e le mamme mi si stampino negli occhi in modo diverso, reale, concreto; mentre loro, quelli che s’incontrano nei pensieri, spuntano clandestinamente da qualche angolo di memoria, senza esistere. Pare che non c’entrino, con la realtà. Sarà. Con me, però, c’entrano più di tutti gli altri.

Così, capirete, quando ho sentito questa m’è venuto un po’ da sorridere.

All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.

E’ l’una, sarà meglio andare a dormire. Domani devo prendere il diploma di una scuola sbagliata, piena di casini e contraddizioni e cose che non m’importano. Devo anche farmi interrogare, per l’ultima volta, da quei sei tizi che mi hanno annoiato, interessato, divertito e fatto incazzare per un numero variabile di anni. Dietro ci sarà pure un settimo tizio – ma ovvio che la volevo al mio orale, tzè! – che ormai se la gode abbronzandosi tutto l’anno alla faccia nostra. Ehi, da domani sono in vacanza anch’io. Niente più matematica, scienze, rotture varie. Bello, sì.
Ma di una bellezza strana, che devo ancora capire fino in fondo, e che ho quasi paura di assaggiare.