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Affetto

Campo

Non ho trovato Dio, né la compagnia della mia vita, né il prete che m’ispirerà, né la decisione giusta per il mio futuro.
Ma una tonnellata d’affetto arretrato sì, e ci voleva.
Non serve chissà che per scaldarsi insieme. Un po’ d’attenzione per l’altro, il chiedersi negli occhi come va. Azzardarsi a leggere la mia moleskine. E – se accade di sentirsi attorno la delicatezza giusta – aprire botole su vecchi buchi neri, invitando l’amico a farci un giro – non scapperà, se è amico.

Così si può cercare un tramonto su per un sentiero di montagna – da lassù si vede bene, ci andiamo? – seguendo un percorso di piccole lapidi infisse nella terra, uno per ciascuna ragazza rimasta sotto l’aereo del Salvemini. Han fatto quel piccolo monumento proprio lì a Montovolo, chissà perché, a due passi da una chiesetta sopra mille tornanti. E sempre lì quasi per caso mi racconti – tu che invece mi conosci da qualche giorno appena – di un padre che c’era anche lui a salvare gli altri e ora fatica a salvar se stesso; alla fine mi ringrazi con un abbraccio che se ne frega di sembrar stonato o di non aver buone ragioni – come se servissero buone ragioni per volere un po’ di bene.

Certo non è stato il vocazionale; campo su Dossetti, più politico che psicologico, più culturale che spirituale; niente illuminazioni, né entusiasmi e innamoramenti collettivi, ma va bene così – forse quel momento è finito. Come è finito, credo, un certo percorso che per me è cominciato tardi e non ha fatto in tempo a stufarmi – mentre gli altri giustamente hanno ormai voglia di cambiare. Ci dicono: cercate! Andate fuori! Sì, e dove? Datemi un indirizzo, o almeno qualche idea, e andrò volentieri. Ma far nulla sarebbe uno spreco.
E anche l’ultimo motivo che mi serviva per mandare tutto al diavolo e dire sei volte Rinuncio.

(Forse la risposta è in quella ragazza che mi racconta di sé sui gradini di San Giacomo, e sembra dirmi ch’è ora di tornare a Imola. Ma questa è un’altra storia).

Inutili

Tolè

Intermezzo di pace. Pochi giorni tra una vacanza e l’altra, due chiacchiere finalmente sincere. Il tempo infinito del Villaggio, trascorso tra partite a carte coi vecchietti, gelati vinti a basket (vabbè, dai, due tiri da ferma lasciatemeli fare) e scherzi coi quindicenni.
Poi vado di notte a passeggiare sul confine della collina, guardando la valle più in basso. E da sotto sale rabbioso il grido disperante degli amori inutili, rotolati giù nei decenni, accumulandosi come cadaveri in una fossa comune di corpi sbagliati, Quasimodi aggrappati in bilico alla loro cattedrale, diventati sordi per non cadere – perché cadrebbero, si lascerebbero volare, se solo sentissero la risposta inesorabile che gli spetta e che ogni giorno quella valle gli ripete, riecheggiando tra i suoi fianchi il silenzio con cui sempre Dio risponde all’ingiustizia – perché cadrebbero, si lascerebbero volare, se solo sapessero davvero che nessuno, nessuno, nessuno prenderà a picconate la loro prigione per amarli, perché Notre Dame si può assaltare, ma soltanto per salvare belle zingare.

[Andavamo verso il campo da basket con Nicole, diceva: sei fortunata. Certo.
Spero. Forse per appena un piccolo scarto del caso, la cicogna mi ha buttato qualche centimetro al di qua del confine con chi non potrà essere amato. O forse no, ma si diventa sordi per non cadere
]

Giù dal treno

Aaaaaah.
Sospiro. Appena tornata dal campo, raccolgo un’odore di affetto rimasto sulla maglietta. Tocco questa scrivania invasa dai resti di valige mai disfatte, la tastiera che mi è mancata – ma anche la moleskine fa il suo dovere. Stropiccio gli occhi, ch’è tardi, e vi lascio qualche sensazione di viaggio.

Interrail

Venti giorni da raccontare sarebbero troppi, troppe le gag, le corse in stazione, le strade e i palazzi, le birre, i wurstel, il sonno, i discorsi fatti e quelli mancati. Quindi lascio perdere; presto se riesco metterò online un po’ di foto (anche se le migliori saranno senz’altro quelle della Fra!).

[Vi siete mai chiesti dove posare gli occhi quando si sta tutti stretti in uno stesso scompartimento di treno? Si guarda il panorama fuori, si legge mille volte l’etichetta non fumare, si contano le macchie sulla parete, si percorre il confine tra le persone e i sedili. Se lo sguardo scivola e ci si incrocia per errore, si scambia un sorriso o una parola cortese; magari addirittura si resta un momento a chiedersi chi sia quello davanti – ma non è il caso di porsi domande faticose. Anzi, per non rischiare di sbagliare ancora, meglio chiuder gli occhi e far finta di dormire.
E’ una buona metafora per questo viaggio.
(Forse avevamo dimenticato la prenotazione più importante; il controllore ha sgamato l’affetto salito senza biglietto, e l’ha buttato giù dal treno il primo giorno.
Grazie a chi, certe sere, ha cercato di rilanciarlo dentro dal finestrino)
]

Volevo giusto dirvi

che sono viva.

Ho già fatto e disfatto due volte la valigia, ora devo sbrigarmi a rifarla per la terza volta.

Ho scritto tanto, ma non su un blog. Se avrò voglia riassumerò, al mio ritorno (l’ultimo, spero), tra una settimana.
Sto accumulando cose persone paesaggi pensieri. E’ l’estate più fitta della mia vita.

[Come gettarsi a testa china sotto una grandinata, correre fino al portico e poi contarsi i graffi. Se anche ne trovassi solo un paio, sarà valsa la pena]

Ma potranno mai incontrarsi

una che cerca la felicita´e uno che l´aspetta?

(Considerazioni sparse da un pc all´altro di un internet point di Monaco)

Adesione all’essere

Volevo dirvi che sono contenta, ho in me un’insolita serenità tibetana, non ho la malinconia del partente nostalgico, né la paura del viaggiatore allo sbaraglio, né l’insopportabile eccitazione da oddio-sarà-il-viaggio-più-bello-della-mia-vita.

Ho chiuso certi conti e non lascio niente in sospeso, ho aperto certe porte e sono curiosa di affacciarmi.

"L’amore non è infatti un gusto, né un calcolo, e neppure un nostro intelligente disegno; esso è un’umile adesione all’essere così come ci si offre."
(Non vi dico di chi è ‘sta frase perché avreste dei pregiudizi. A parte Sammi, chiaro. Ma tu, Sammi, non farti strane idee).

Non so se è proprio l’amore. Insomma, l’amore come accade davvero, l’amore in senso lato, verso gli altri, verso le cose, è poi un guazzabuglio di bisogni e desideri e aspirazioni ed egoismi, tutta roba che c’entra più coi castelli in aria nella testa, piuttosto che con l’essere così com’è.
Forse è una specie di ricetta per un amore stoico e un po’ buddista, non so. In ogni caso, pare una buona strategia per la felicità.

Un po’ utopica, ecco; deve confrontarsi con gli accidenti e le circostanze, funziona giusto qualche volta. Adesso è quella volta, l’ormone è favorevole, la vita tira qualche scherzo ma poi sorride un po’ sorniona.

Domattina parto per l’interrail (MonacoPragaBerlinoNorimberga) e torno il 30 luglio. Avrò moleskine e macchina fotografica, cercherò di afferrare un paio di attimi e regalarveli al ritorno.
Ma è probabile che aderire all’essere mi distrarrà dal registrarlo.

A presto

["Bisogna essere capaci di lasciarsi andare al gusto del presente. Questo non vuol dire che devi cercare oggi tutti i piaceri, ma che devi cercare tutti i piaceri dell’oggi" (F. Savater)]

Posso tornare indietro a insegnarmelo?

Stavolta – e vorrei scrivertelo dentro una bottiglia gettata in un mare che scorre all’indietro, vorrei insegnartelo e spiegarti come avresti potuto non soffrire tanto – ho chiesto chiarezza, l’ho ottenuta, l’ho imposta a me stessa.

[Fare in modo d’incontrare qualcuno è la maniera migliore per non sapere mai se quello avrebbe voluto incontrarti. E siccome adesso non m’interessano le speranze ma un po’ di verità, preferisco rischiare di saperlo] 

E adesso, invece?

E così, finalmente, la mia vecchia scommessa mi ha sorriso da una panchina, ha detto "hai perso", poi s’è alzata piano e l’ho guardata andare via.

Adesso giusto un po’ di nostalgia – quella di quando pieghi bene una speranza, la infili in uno scatolone, chiudi lo scotch e porti in cantina – il bavaglio da stringere sulla consapevolezza di aver buttato un anno, un gruppo e forse la fede – ma no, dovevi tentare – poi tanto coraggio, un respiro a fondo – e sentire, dispersa nell’aria sconfitta, anche una traccia leggera, aroma sottile d’imprevista libertà. 

[28.10.06: "E adesso? E adesso che si fa?"]

Delicatezza

Pensavo alla delicatezza. Che non c’entra coi colori o le ideologie o la religione, c’entra con l’essere umano. Poi si sgarra ogni tanto, arrivano i cinque minuti di cinismo, lo sfogo necessario, l’ironia liberatoria, certo. Ci può stare.
Solo, non avrei voglia di passare troppo tempo con qualcuno che per comunicare se stesso ha bisogno di deridere, attaccare, ridicolizzare sistematicamente qualcun altro. Qualche comunista mi dirà ch’è moralismo cattolico, qualche cattolico mi dirà ch’è moralismo comunista. Vi dirò, non è che m’importi tanto la diatriba.

Non m’importano tanto nemmeno le ragioni del deridere, né di giudicare se siano buone o no, se ci sia diritto, e tutte queste cose belle e inutili con cui ci si diverte argomentando. All’una e un quarto di una notte quasiserena, le ragioni non sanno più che dire.
Vien solo da pensare che alla gente, a qualunque altra gente, sarebbe meglio avvicinarsi sempre cauti e rabdomanti, portando stretti in mano bastante allarme bastante amore.

[Sì, quei due versi di Zanzotto parlavano d’altro, ma a me piace piegarli ai miei loschi fini, ok?]

Si può mai studiare una roba così?

"Per questo aderire, con l’impasto biologico di una lingua corpo che sa rendere il brulichio del sottosuolo e la raggelante luminosità delle altezze, al megatempo della natura e al microtempo dei processi della scienza, alle iperternità e all’appiattimento del consumismo, la poesia di Zanzotto si confronta in modo decisivo con la trasformazione antropologica, conoscitiva, percettiva dei nostri anni."

Ma parla come mangi.