Monthly Archives: Giugno 2009

Certe notti – 4

Io lo ascoltavo, senza quasi rispondere. Raccontava delle tante donne – trecentoventicinque, trecento prima dell’incidente e venticinque dopo… – del breve matrimonio e del figlio, delle notti pazze, delle avventure in mare, delle volte che ha fatto a botte, che ha sparato – è brutto, è sempre brutto ammazzare qualcuno – che c’è quasi morto. Intanto si erano avvicinati in silenzio anche il ragazzo rumeno e un altro, Gianluca. Hanno più o meno la mia età – come suo figlio – e lui se li è praticamente adottati, in ospedale, cercando di dargli un verso con la sua esperienza di vita e di paraplegia. Capivo che quello era il tipo di consulente alla pari di cui avevano bisogno: un tizio carismatico e senza fronzoli che sapesse conquistarli legandoli in complicità cameratesche; non intellettuali schizzinose come me.

– Vedi – gli ho detto dopo un silenzio, poggiando la testa sul muro dietro di me. – Io le tue certe nottinon le ho mai vissute, e le non vivrò mai. Buffo, sai, io di quelli come te, a vederli in piedi, in genere ho paura, son quelli poco raccomandabili, che se mi tirano un ceffone io ci resto.

Era proprio vero. Sono obbligata geneticamente alla nonviolenza e alla paura, che per estensione diventano, rispettivamente, bisogno di stabilità, sicurezze, programmi, delicatezza, pace, blu, e tendenza a sfuggire, nascondermi più che sfidare, calcolare più che tentare. Almeno quando si tratta di avvicinarsi a qualche persona/mondo che mi pare estraneo, lontano e vagamente pericoloso.
Da bambina avevo paura dei giovani che ridevano di notte, sotto la mia finestra – dovevano essere senz’altro ubriachi, drogati, maniaci e di certo cattivi, come insegna la mamma. Quando mi sono ritrovata tra i giovani che ridono di notte – scoprendoli così banali – ho semplicemente spostato la paura appena un po’ più in là – perché c’è sempre un’altra risata notturna poco più avanti, sull’altro marciapiede, più vicino all’alba; un crocchio misterioso che mi dà le spalle, così alte, confabulando un suo segreto in una lingua che non so.

Cesare era caduto quaggiù da una notte molto, molto lontana da me, e ora l’avevo a disposizione.
– Molti mi hanno consigliato di scrivere la mia vita – ha detto – magari un giorno lo farò…
– Sì, credo che dovresti – ho risposto, pensando che io gliel’avrei scritta volentieri. – Così almeno potrà leggerla anche chi non l’ha vissuta.

Certe notti – 3

– Certo che questa vita mi rende felice. Questa è la mia favola. La favola che devo vive’ pe’ me, e che cerco di far vive’ agli altri, a mi’ figlio, o quando faccio star bene ‘na donna. Se dimentichiamo la favola certo che ‘sta vita è ‘na mmerda, io me so’ operato tredici volte in sei anni e ancora sto male e certi giorni nun me posso alza’ dal letto e quelle notti di prima dell’incidente non torneranno mai, e quando trombo è ovvio che non sento più come prima e ho dovuto impara’ a fa’ l’amore con la testa, ho dovuto impara’ quel che molti uomini non sanno fare, ma cerco de vive’ come posso questa vita finché reggo, poi oh certo che se arivo a sessant’anni che sto ancora così male allora piglio la mia pistola e mi sparo, mi sparo, ma intanto so’ vivo, sto qui, e questa è la mia favola…

Ho esitato molto a parlare della favola di Cesare, perché lui sa raccontare le sue storie molto meglio di come io potrei riportarle: non si può scrivere il suo sguardo sottile mentre ricorda, il sorriso fiero, la sicurezza rimasta nei gesti, anche quando a mala pena riesce a tenersi dritto sulla sedia.

La sera del karaoke, lì nel pianerottolo delle scale, dopo che Lorenza se n’era andata, ha cominciato a raccontarmi la sua vita e la sua filosofia.

Cesare è paraplegico e soffre di svariate complicazioni agli organi interni, per cui è perennemente malato e affaticato. Ha ancora due braccia scolpite, ultimo relitto di un corpo perfetto.
Era un poliziotto dei corpi speciali, sulla spalla ha lo stemma dei NOCS, e se alza la maglietta e scosta un po’ la panciera gli si vede la morte tatuata su un fianco.
– Io pensavo ahò me faccio tatua’ la morte che ce la devo ave’ amica, e invece questa oh non m’ha voluto… e dire che me so’ fatto tre conflitti a fuoco, immersioni subacquee oltre i settanta metri, che ‘na volta un coglione ha fatto casino con la bombola e me stava a ammazza’, me so’ paracadutato, so’ saltato da ‘na nave a un gommone de quelli grossi che se ce resti in mezzo te schiaccia e mori… e alla fine me doveva succede ‘sta cosa perché uno m’ha preso lo specchietto della moto… io nun me ricordo ma me dicono che stavo cosciente, e dicevo nun me toccate, nun me toccate…

[…continua…]

Certe notti – 2

– Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei; certe notti la strada non conta e quello che conta è sentire che vai…
– Ma proprio Ligabue dobbiamo sentire? A me Ligabue non piace
– Come fa a non piacerti… Certe notti… era la mia vita sai? – ha detto Cesare un po’ sognante, abbassando il microfono del karaoke, mentre la base continuava ad andare. Lo avevo visto cantare e mi ero avvicinata, nell’atrio ormai c’erano soltanto lui e Lorenza, la ragazza che tiene il karaoke. Era da un po’ che discutevano; sembravano in confidenza. Prima Cesare, scherzando, aveva istigato una bambina a darle della scema, e Lorenza lo aveva rimproverato molto seriamente. Lui aveva risposto che preferisce educare suo figlio a capire quando si scherza e quando no, piuttosto che a considerare tabù certe parole.

– La tua vita… allora non è una vita da rimpiangere – l’ha rimbeccato lei, severa.
– Come no… – sorrideva – le notti che se partiva senza sape’ dove anna’, prendevi la moto e via… senza di me i miei amici nun se divertivano, se c’andavo io invece tempo che entravamo in un locale a fa’ i coglioni, già ci eravamo fatti conosce’ e c’avevamo due o tre donne pronte a trombarci che…
– E ti rendeva felice una cosa del genere? – l’ha interrotto con trasporto, mentre raccoglieva i microfoni. Ormai era tardi, e poi non c’era più l’atmosfera giusta per cantare.
– Certo – ha risposto, col suo sorriso sicuro.
– No, Cesare, tu credi di essere felice – gli ha detto con pathos, quasi pregandolo di capirla.

Hanno continuato a discutere a lungo quella sera, mentre fumavano nella tromba della scale. Io mi sono sistemata a breve distanza, ascoltando senza intervenire quello scontro di opposte felicità.
Lorenza stava seduta su un gradino, a guardarlo da sotto in su. Appartiene a un’insolita confessione cristiana, ma le sue argomentazioni erano sovrapponibili a quelle cattoliche – specialmente la convinzione di possedere l’esclusiva sulla felicità. Gesticolava tutta partecipe, parlava molto più di lui, incartandosi ogni tanto in qualche ragionamento. Gli spiegava il vero amore secondo Dio con una partecipazione tale che sembrava volesse convincerlo ad amare lei.
Lui la ascoltava con la pazienza paterna di chi sa di aver ragione, e sa che l’altro capirà solo col tempo. Le diceva sorridendo che forse, dal suo punto di vista, senza offesa, era un pochino bigotta. Cesare gira con un tau al collo, ha ammazzato due persone per difesa, ha divorziato, trombato un’infinità di donne e crede in Dio.

[…continua…]

Certe notti – 1

– Ma che rumeno sei! Dico, potevo conosce’ un vero rumeno che stupra, ruba, ammazza, che ne so, e ‘nvece me tocca ave’ in camera l’unico rumeno in Italia che s’alzava alle quattro del mattino pe’ anna’ a lavora’! E pure in regola, ma te pare?

Io non sapevo ancora bene se potevo ridere con gli altri, o se dovevo difendere quel ragazzo smilzo e pallido, col cappellino di traverso, che non parlava quasi mai. Lui accennava un sorriso scuotendo la testa, come fosse abituato.
Mi ero seduta con loro al del bar dell’ospedale, c’erano un paio di ragazzi che già conoscevo di vista. Invece mi era nuovo questo tizio sui quaranta, che teneva banco in romanesco ostentando una gioviale arroganza. Aveva un neo sul naso e due braccia da palestrato; intravedevo un tatuaggio, una catenina al collo.
– Ma ancora nun m’avete presentato ‘sta ragazza, che cafoni.. nun ce bada’ – m’ha detto – questi so’ così… io sono Cesare comunque
– Mmm.. a uno come te conviene dare un nome falso, che non si sa mai.. vediamo… Marianna ti piace? Se no boh, Maria, Francesca, Genoveffa, scegli un po’…
Così è cominciato il gioco per cui ora in quel gruppetto mi chiamano con più o meno tutti i nomi femminili esistenti, tranne il mio.
– Quanti anni hai? – gli ho chiesto.
– Ventinove.
– Se tu hai ventinove anni li porti proprio di merda eh!
– Come osi! Ma io te brucio! Datemi un accendino! Io te brucio! Guarda che io c’ho sempre ventinove anni… quando ho divorziato, che ne avevo ventiquattro, mio padre disperato m’ha detto “ma quando crescerà ‘sto figlio…” e io gli ho garantito che sarebbe successo ai trent’anni. Da allora, ogni anno, ne compio sempre ventinove!

Cesare è un leader, un affabulatore. All’inizio mi ha ispirato vaga diffidenza, per quella sua virilità ostentata, l’aria rozza e un po’ violenta, la strafottenza da uomo vissuto. Poi ho scoperto che ha vissuto veramente dieci o dodici vite, di quelle che non ho visto né mai vedrò che da lontano.

[…continua…]