Che ci fa se cade per terra?

C – Biffi una volta mentre distribuiva la comunione ha fatto cadere le ostie… c’è stato un momento di gelo… erano già consacrate
I – Embè? Che succede se erano consacrate?
A – Beh… è Gesù!
I – Appunto… l’hanno inchiodato… che ci farà mai se cade per terra?

Buffo, tra certi miei amici risulto quella cattolica, per altri sono quella un po’ eretica. E’ divertente stare in questa specie di limbo, libera di sospendermi tra speranza e quotidianità, aspirazioni eterne e spicciola concretezza; senza dovermi per forza incastrare in mezzo a rituali arrugginiti e regolette umane, troppo umane.
Per carità, i riti servono: traducono in segni tangibili le cose incomunicabili, quelle che altrimenti rimarrebbero cristallizzate nelle arie di vetro, aspettando un’occhiata fuggevole dagli uomini che non si voltano. Si potrebbe soltanto passeggiare in un tramonto, e aspettare un riflesso diverso, un’intuizione; oppure infangarsi le mani frugando in qualche groviglio umano, e trovarci in mezzo frammenti di Dio. Ma queste cose accadono raramente, oscillano sull’onda di una consapevolezza passeggera e personale; così, si cerca di riprodurle fra i calici e le stole, in un linguaggio a volte suggestivo, a volte ridicolo, incrostato com’è di tradizioni codificate, contesti culturali e significati sovrapposti.

A me non dispiace; è un mezzo come un altro per dire cose indicibili – ovvero, per dire una buona percentuale di sciocchezze – e può servire ad avvicinarsi un po’, ad abbozzare su un bloc notes lo schizzo ingenuo di un dipinto enorme; senza presumere di aver già colto ogni dettaglio, altrimenti si rischia di aggiungere al disegno i propri fronzoli preferiti, spacciandoli per Verità.
Così, contestando non abbandono, e resto anch’io dentro ai segni della croce, le convenzioni e i paramenti sacri; solo, ogni tanto mi permetto di sorriderne, come – mi piace immaginarlo – deve sorriderne anche Qualcun altro, acquattato su una nuvoletta a prenderci un po’ in giro.