Lettera alla Scuola di Barbiana

Cara Scuola di Barbiana,

sono Pierino. (Scrivete infatti: “i cromosomi del dottore sono potenti. Pierino sapeva già scrivere a 5 anni. Parla come un libro stampato. Già segnato anche lui, ma questa volta col marchio della razza pregiata”).
Sono Pierino e vi scrivo da un altro tempo.
Ho impiegato tre orette, l’altro giorno, per leggermi la vostra Lettera a una professoressa. Non ho voglia di confutare tutte le tesi che non condivido; primo perché in trent’anni avranno sprecato tonnellate di letteratura in merito, secondo perché, ricordiamocelo, continuo ad essere Pierino e a vivere in un altro tempo – dunque in un’altra società e in un’altra scuola.

Per esempio, non abbiamo più merda per fare confronti. “Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: la scuola sarà sempre meglio della merda”. Noi non abbiamo più merda. Lollo ha le mucche, ma non mi sembra molto provato; riesce giusto ad abbronzarsi un po’ prima di noi. In ogni caso, stufatosi sia della merda che della scuola, ha trovato diverse alternative.
I “ragazzi di paese” sono diventati ragazzi di città, mantenendo più o meno le stesse caratteristiche: “Consideravano il gioco e le vacanze un diritto, la scuola un sacrificio. Non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio. Il maestro per loro era dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo. Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c’era registro”. Noi ragazzi di città invece lo abbiamo, il registro; e questo finisce per confonderci un po’ negli scopi.
“Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare.
Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro.
Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello”
.
Sono cambiate molte cose, in trent’anni. Questo no. Salvo il fatto che il diploma ormai non fa poi tanti quattrini.
“Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei. Io lo conosco. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo.
E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?”
Cara Scuola di Barbiana, continuo ad essere Pierino e ad avere le mie riserve, ma il vostro fine lo firmo e controfirmo. Certo, ci saranno altre sfumature, altri modi per declinare l’amore; eppure sento che quelli che elencate prima o poi incroceranno la mia strada.

“Ma questo è il fine ultimo da ricordare ogni tanto. Quello immediato da ricordare minuto per minuto è d’intendere gli altri e farsi intendere”. Ecco, noi Pierini del duemila non ci poniamo questo problema. Siamo convinti di farci intendere benissimo e di capire il mondo – ciò non significa che sia vero, immersi come siamo nella complessità di messaggi contraddittori. Sì, magari non inciampiamo nel dialetto, mastichiamo un bèsic ìnglisc e sappiamo leggere un giornale. Poi non è detto che lo leggiamo, ma via, potremmo.
Dev’esser questa una potente differenza tra noi e voi: voi volevate senza potere, noi possiamo senza volere.
Tuttavia, anche così si cade in una divisione semplicistica: certi Gianni come il vostro non ne vogliono mezza dello studio, siamo sinceri. D’accordo, forse sarebbero stati diversi senza quelle troppe bocciature a scoraggiarli, l’ambiente ostile, la famiglia povera, per carità. Ma conosco qualcuno che ha cominciato pascolando capre in Sicilia ed è finito all’università. Suo fratello è passato soltanto dalle capre ai cantieri o giù di lì. Stessa famiglia, stessa base, fine diversa. Perchè? Quindi, ecco, non riduciamo tutto-tutto a una questione di classe.
Ok, ora conoscete meglio il mio lato Pierino.  

Povero Pierino, mi fai quasi compassione. Il privilegio l’hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta eguale. Perché non vieni via?
Lascia l’università, le cariche, i partiti. Mettiti subito a insegnare. La lingua solo e null’altro.
Fai strada ai poveri senza farti strada. Smetti di leggere, sparisci. E’ l’ultima missione della tua classe.
Ecco, oltre alla merda mi mancano anche i poveri. Non che non ce ne siano in assoluto, và, ma non passano mai da queste parti, ché queste parti sono sempre ben protette. Senza contare che il mio destino genetico m’impedisce di trasferirmi a Scampìa o frequentare bassifondi.
In realtà anche qui si può trovare un qualche genere di poveri, ma loro hanno una povertà più sfumata e nascosta, bisogna scovarla e saperla prendere nella sua complessità; non è che se ti piglia il sacro fuoco caritatevole, ti spogli in piazza e bruci i tuoi libri risolvi qualcosa.

Non tentare di salvare gli amici vecchi. Se gli riparli anche una volta sola sei sempre come prima.
Vedete, io credo che anche gli amici vecchi, ovvero i miei colleghi Pierini, abbiano nel sangue una loro povertà. Troppo facile gettarli via in blocco per non sporcarsi le mani e potersi vantare di star sempre e solo dalla parte dei poveri-duri-puri-onesti-vittime. Anche i colpevoli sono vittime, con la differenza che il loro carnefice gli abita dentro. Se salvi un colpevole ti ringrazieranno lui e tutte le sue ex-vittime.
Il che, concretamente, significa: in mancanza d’altro, anche i Pierini sono una bella sfida. Forse è più difficile insegnare il fine, che la lingua.