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A.A.A.

Cercasi attività concreta, coerente col senso della mia vita, utile all’umanità o almeno a una sua porzione, gratificante, che implichi relazioni personali complesse, sporche, aggrovigliate e problematiche; da svolgersi preferibilmente in contesti non borghesi, o comunque atipici, precari, insoliti e variamente disturbati.
Astenersi filologi, burocrati della filantropia, inconcludenti astratti.
Graditi idealisti pragmatici, progettisti di sogni, architetti di speranze e legislatori di futuro.

[Perché Lettere sta anche diventando bella, bella per passare un pomeriggio a leggere Hugo, per lasciarsi affascinare da qualche poesia contemporanea, per interrogarsi con Manzoni sul male nel mondo o scoprire che i musulmani nel medioevo erano troppo avanti, per avere abbastanza tempo libero dato che c’è lezione tre giorni a settimana.
Ma è un passatempo. Un divertimento per teorici annoiati. Mia madre dice sempre che Virgilio c’aveva ‘sta visione bucolica perché non la zappava lui, la terra.
Perciò Lettere si può anche fare, ma non ti riempie la vita. Almeno, non la mia. Bisogna farla assieme a qualcos’altro.
]

[Sarà che come sempre mi vengono i brividi quando assisto a conferenze o lezioni di qualche professore più o meno stantìo, che spiega come fior di cervelli abbiano passato la vita a indagare chi cazzo era Matelda del canto ventottesimo.
No, figo eh. Curiosità caruccia per passarci un pomeriggio a discorrere.
Un pomeriggio. Che già è tanto.

Ma la vita, la vita quella che c’è una volta sola, la spendi per qualcuno. Non per qualcosa.

E il feticismo della letteratura sta tra i qualcosa.]

I rapporti

sono giochi di reciproche aspettative.

Se tu ti aspetti qualcosa di buono da me, e io voglio soddisfarti, m’impegnerò e ci riuscirò.
Se t’aspetti che non abbia ho nulla da darti o da dirti, vedrai che non l’avrò davvero.

Se io credo che varrebbe la pena parlarti e cercarti, troverò il modo.
Se mi convinco che con te sarebbe inutile, che non c’è futuro possibile, resterò zitta a guardare.

E non è mica detto che ciò che uno s’aspetta e crede sia poi azzeccato. Anzi. Ci si fanno tanti di quei castelli in aria che non c’entrano un tubo con la realtà…
Così, non potendosi incazzare direttamente con quella stronza della speranza che non ci prende mai, si riversa la frustrazione sul povero Cristo di turno, colpevole di non corrispondere alle aspettative. E il povero Cristo tende a incazzarsi, ché di Cristi crocifissi e misericordiosi ce n’è stato giusto uno.

Sì, sì, tirate dritto e andate oltre. Ma in ‘ste dieci righe di post sgangherato c’è il 70% dei drammi umani, fidatevi.

[Appunti dopo una festa]

Addio

demolizione

 [A un raggio rosso del tramonto di traverso…] 

So che stai arrivando – digrada
la luce, si macchia
d’arancio e prepara
la rincorsa a tuffarsi sopra i tetti –
Ma non presentarti, stasera, al tuo appuntamento
– fermatelo, tenetelo, una nuvola, qualcosa! –
non arrivare correndo col mazzo di rose per l’amante che non c’è…

E invece scendi come sempre festeggiando guardi intorno cerchi freni e smarrito
crolli a rivoltarti tra i rottami
avvinghiando di ombre lunghe il corpo trucidato
e lo avvolgi di baci rossi lo arroventi
ma non puoi resuscitarlo…

L’altra sera ci avevo fatto caso
fischiettava l’aria e soffiava un fresco bello… vi ho guardato
accarezzarvi e splendere, pensando: per quanto?
Sembrava
un addio…

Ora abbracci abbandonato
e stanco un monticchio di macerie
Dura poco, ancora, l’agonia
un attimo e dispari nel blugrigio sera…

Per te è breve
ma per me, la nostalgia?

Ebbene sì

anch’io ho perso il mio tempo così.

http://rifleman.altervista.org/friendtest/test.php?usr=debergerac

(Mo’ sono troppo curiosa di vedere come risponderete)

P.S.
Epperò non vale farlo anonimi… abbiate il coraggio di arrivare ultimi e farvi smerdare, ma con dignità!!! :-)

Un allegro

vaffanculo.

[No ma non ce l’ho con nessuno. Quasi. E’ un vaffanculo cosmico.]

VIII Lettera a Dio

Caro Dio,
qui parlano troppo di te. Ne parlano tanto che ti hanno chiamato Parola – solo che poi la Parola la scrivono loro. Naturalmente anch’io faccio più o meno la stessa cosa, con la mia religione autogestita, ma almeno ho l’umiltà del dubbio. O forse la presunzione di non poter sapere.
Un po’ me la sono cercata, bisogna ammetterlo. Troppi gruppi in una volta portano all’overdose cattolica – e non dicono in realtà niente di nuovo. Ognuno ti canta in modo diverso, chi più lirico chi più schitarrante, ti appiccica addosso qualche fronzolo particolare, e poi? La verità continua a non sapersi. 
Invece quel tuo cappellano reazionario è sempre più convinto di averla in tasca. Non trovi sia buffo, come sta tutto dritto, come si stravacca all’indietro sulle sedie ostentando sicurezza? Non te la sei fatta una risatona cosmica sentendolo declamare le virtù della sofferenza? Dico, l’avessi sentito mentre stavi lì a contorcerti appeso alla croce, per me un divino sputo in un occhio gliel’avresti mollato.
Ma lui ha ragione.
Lui ha sempre ragione: come la Chiesa. L’hanno deciso tra IV e V secolo, se non mi sbaglio, sprecandosi in decretali: papa erede di Pietro, papa ha il diritto di decidere, giudizio del papa inappellabile. Stabilito in una quarantina d’anni e tre papi. Poi qualcuno non c’è stato e ogni tanto litigavano, ma alla fine hanno vinto.
E i cristiani son rimasti fottuti.

Caro Dio, in effetti è vero che lui ha ragione.
Sono io che ho torto.
Come dire, se ti iscrivi al circolo della briscola, significa che ti piace giocarci. Conosci le regole e le segui. Se non vuoi, non è che inizi a contare i punti di settebello e primiera, semplicemente molli. Ti iscrivi al circolo della scopa.
Perciò ho torto, e non ho il diritto di lamentarmi. A voi piace così, ci credete, godete a fustigarvi e illudervi? Crepate e risorgete per i fatti vostri. Io mi iscrivo a un altro circolo. O mi dò al solitario.

Sai, Dio, ogni tanto ho un po’ di nostalgia di te. Ecco, ora qualche ciellino ricorderà che tutti gli uomini hanno nostalgia di Dio e ciò dimostra che non si trova pace che lì e blablabla. Sì, don M., nella mia prossima vita leggerò anche la Confessioni.
Ma vedi, Dio, sai bene che si ha nostalgia anche delle illusioni, delle cattive amicizie perdute, delle pessime strade ormai abbandonate; mancano ancora solo perché c’è rimasto impigliato un po’ di tepore a brandelli. Come l’infanzia che s’idealizza. Quindi la nostalgia non dimostra niente.

E adesso, giusto adesso che non ha più senso, stanotte dopo aver sentito due ore di ringraziamenti a un Dio che annega gli egiziani, mi ritrovo sempre più impelagata nei rituali già visti.
Caro Dio, se sbirci nella tua contabilità peccatoria, dovresti notare che, tra le duecento colonne a me riservate, di solito non è citata la volontaria ipocrisia. Far la farisea è proprio una cosa che mi schifa. Magari ti mando a quel paese, ma con sincerità.
Quindi in questo momento mi schifo abbastanza.
Spero apprezzerai almeno l’onestà di rinnegarti per tre volte, tacendo il Credo.

Poi magari il gallo canterà, io piangerò e ci rivedremo. Ma non saprei.

Ah, un’ultima cosa. Nel caso in cui fossi risorto (tu o tuo figlio, insomma, dovrebbe essere più o meno uguale), e se lì alla destra del Padre (poi mi spieghi bene qual è la destra e la sinistra di Dio) arrivasse il collegamento a internet, e quindi se tu potessi veramente leggermi, ecco, oltre a maledirmi per eccesso di subordinate ipotetiche, sarebbe carino se mandassi, che so, una ricevuta di ritorno, un francobollo speciale del Paradiso a tiratura limitata, una cartolina firmata di tuo pugno; meglio ancora una firma digitale con certificato di validità (e controlla il lucchettino di explorer, in basso a destra). Le madonne in lacrime e le stimmate ormai hanno perso attendibilità, sai, siamo in un’epoca relativista e scientifica.

Dai, non te la prendere. Si scherza un po’. Lo sai che se esistessi ti vorrei bene.
Non ce la posso fare a crederti, no. Però spero che, quando s’alzeranno a lapidarmi, qualcuno li fermerà dicendo: ha molto amato.
Sicuramente in modo distorto e parziale ed egoista, ma non penso che quella puttana grondasse amor cortese; quindi, se l’hai detto a lei, qualche speranza ce l’ho.

Senza miraggio

[Nostalgie da Venerdì Santo] 

Quel contadino
si affida alla medaglia
di Sant’Antonio
e va leggero

Ma ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima

(Giuseppe Ungaretti)

Perché le poesie suonano

Avete presente quando conoscete una persona solo per telefono, poi la vedete in faccia e vi dite nooo, pensavo fosse del tutto diversa?
Oppure quando notate da lontano uno fighissimo, poi apre bocca e ha una voce di merda?
O quando intravedete uno scorcio stupendo, poi vi affacciate meglio e c’è una ciminiera nel mezzo?

Ecco.

Ascoltare Ungaretti leggere poesie alla radio è stato più o meno così.
Il problema non è come ti calca le lettere, come allunga le erre, le pause, eccetera. Quello ci sta perfettamete, sennò la parola che scavata è / nella mia vita / come un abisso dove la mettiamo?
E’ che il pathos delle lettere quasi distrae da quello della scena, invece di sostenerlo. Come se, sul palco, mi mettessi a gesticolare incoerentemente con ciò che dico: nessuno seguirebbe più le parole. Il significante si magna il significato e prende una via diversa. O meglio, forse è solo diversa da quella che avevo immaginato io – che era meno violenta e più drammatica, meno rauca e più cantata, meno aggressiva e più triste. Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede dovrebbe spegnersi piano piano e restare lì delicatamente sospeso, come il pianto di una pietra muta, no?
No.

Giuseppe Ungaretti – Sono una creatura (ascolta in streaming)

E non lo puoi mica biasimare. Cioè, la poesia la componi pensando al suono, a come la diresti. Quindi se lui la legge in un certo modo, quello è il modo giusto.

Dunque di Ungaretti non ho capito un cazzo.
Ricominciamo.

Lei quel distico lo avrebbe tolto o lasciato?

Chiaro che sul momento lo maledici, perché t’ha tirato in mezzo – dannata prima fila a lezione – e perché improvvisare ti mette ansia, e perché non avevi il testo sotto, e poi un verso mica si decide così dal nulla, c’è da sentirecomecadonoleparole, capirecosasivuoledire e comeèmegliodirlo, e Gozzano c’avrà riflettuto un bel pezzo a come concludere Le due strade, non è che ora io così su quattro ruote posso improvvisare se è più bello finire con felicità o catena antica

Ma sono poi tutte stronzate. La verità è che Bertoni è solo un grande.

[Oh, cazzo, ma domani devo tornare in prima fila?]

Perché non puoi?

– …e in più, vedi che sfiga, mi sono fatta male appena prima che mi arrivasse la macchina!
– Noooo.. ci sarebbe da bestemmiare per ore!
– Esatto, io non posso, fallo un po’ tu per me
Perché non puoi?

E c’è stato un silenzio che non sapevo riempire.

[Poi chiaro, s’inventa in fretta una risposta, "via, tra le mie crisi esistenziali si prova a crederci".
Ma era di circostanza.
]