Mentre

Mentre ti aspettavo in macchina, fuori dalla caserma, ricordavo di quando volevi aprire un bar. Era la risposta che davi alle elementari alla solita domanda troppo precoce sul futuro: c’erano gli aspiranti pompieri, calciatori e astronauti, e tu volevi aprire un bar, perché così avresti conosciuto tante persone.

Mentre raccontavi divertito del campo in Trentino, in cui ci si ammazza per finta gridando “fuoco” col giudice di gara che dice “morto” – oh un giorno mi sono trovato un angolino da cui miravo e non mi vedeva nessuno, ne avrò beccati centocinquanta! – ricordavo di quando sistemavi attentamente i soldatini fra i cuscini del divano, facevi con le labbra il rumore dello sparo e buttavi giù tutti i miei, senza che io capissi da dove veniva il colpo. Alla fine, tutto trionfante, tiravi fuori quel cecchino bastardo nascosto proprio lì, invisibile tra un angolo di federa e l’aggancio della cerniera.

Mentre mi spiegavi come hai guadagnato la stecca – assegnata al soldato che non è un cane, ovvero sta al gioco della naja con più dignità – e che da quando ce l’hai tu è finito il nonnismo – perché a te non frega niente di ‘ste cose, e poi ti sembra una cavolata che non si debba salutare il nuovo arrivato in camera solo perché è nuovo, ehi anche lui ha una mamma come voi, sapete, hai detto agli altri – ricordavo di quando non volevo che partissi, perché credevo che avresti perso te stesso, il te semplice, pezzodipane pieno di buon senso; temevo che quell’ambiente ti cambiasse. E proprio non prevedevo che tu avresti cambiato lui.

Mentre mi elencavi tutti i concorsi che hai vinto, raccontandomi di come, appena arrivato, gli altri ti deridessero per la tua ignoranza e così hai pensato che no, non ci stavi, allora hai preso uno di quei libri dei concorsi e hai cominciato a studiaree sai che la storia mi è piaciuta un sacco? – , ricordavo di quando eri sempre, sempre, sempre l’ultimo a consegnare i compiti, di come dovevo riassumerti i paragrafi del libro di storia in parole semplici, perché facevi fatica anche solo a capire il senso di una frase, di quando ti scrivevo io le due righe di mail per chiedere informazioni, perché non riuscivi a formulare neanche quelle.

Mentre scendevi dal mio furgone prendendo vaghi accordi per rivederci un giorno e finire il racconto, ricordavo di quando ancora credevo a quegli accordi, aspettando invano che fossi tu a cercarmi.
Ora che non ci credo più, è molto più tranquillo pensare che prima o poi, comunque, accadrà di nuovo.

[E percepirò ancora, con una specie di inquietudine notturna, il complessivo enorme-breve estendersi dell’esistenza]