Vuoti

Avrei potuto contarli come figurine, mentre me li elencavi con rara chiarezza. Ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho. I miei problemi, dico, quelli a cui da qualche tempo ho assegnato un’identità meglio definita, imparando a riconoscerli sbucare sotto varie vesti.

E’ vero, ti ho detto quando hai finito. E’ tutto vero.

Certo, poi ti ho spiegato perché è più vero con te – che non mi racconto, che non ammetto il bisogno, che mi sento inferiore, che non dò*. Paghiamo una combinazione sfortunata di caratteri e contingenze. Vorrei davvero che non fosse così, eppure.

(Spostare impercettibilmente i pugni sul tavolo avanti e indietro, nella contratta incertezza del gesto. Poi risolvermi a sollevarli, allontanarmi dal tavolo, girarci intorno – quanto era lungo quel giro! – e raggiungere la sedia che allarghi di un poco per farti abbracciare.)

*Non avevo mai pensato che dare, in una relazione, fosse anche creare, portare, produrre. Credevo che fosse lasciare uno s p a z i o – d’altra parte la gente è così affamata di spazi, non vede l’ora di riempire i propri e intasare gli altrui; perciò il modo migliore di guadagnarsene il favore sarà lasciargliene in abbondanza.

Così, ho passato la vita a creare vuoti.

(Aver paura di restare troppo, di accarezzare troppo, di affezionarmi troppo, quindi allontanarmi due volte per dire: sei libera, puoi scioglierti e andare. Ma non riuscirci, perché ancora stringi e mi chiami indietro, mi chiama indietro affondato nella mia spalla un farfuglio che non capisco.)

Ora lo sappiamo,
abbiamo detto. E quindi? Quindi niente, stiamo a vedere che succede. Magari nulla di nuovo, ma sarà un nulla diverso, perché ora sappiamo.

[In background, l’eco sottile di una vecchia sensazione nella memoria, come l’odore di zucchero filato che richiama un nonsoché di quand’eri bambina – ma ti sfugge, non sai più cos’è. Dicono che ogni sensazione attivi un unico e preciso schema di cellule nervose, e che il ricordo non sia altro che il riaccendersi dello stesso schema, proprio identico, solo un po’ sbiadito. Perciò ricordando sembra di rivivere.
E oggi ho riacceso per un poco – dopo tanto – i neuroni del vecchio affetto adolescenziale, così tragicamente ingenuo, contorto e totale.]