Vorrei essere – 1

– E’ questa che inizia “Vorrei essere…”, giusto? Allora la stampo… Ma ti dicevo di quella ragazza, dovresti farle un po’ da psicologo, per favore. Lei vive attaccata a quel tipo… ah, scusa – si è voltata verso di me – è accesa la stampante?
– C’è il tasto lì a destra – ho risposto, avvicinandomi alla signora seduta al computer. L’aspirante psicologo con cui parlava era un fagottone accanto a lei, disteso su una carrozzina pressoché orizzontale, avvolto in un plaid. Il fagottone rispondeva a sibili appena percettibili, col fiato disperso attraverso la tracheotomia. Con le labbra azionava un paio di tubicini per spostare la carrozzina elettrica.
– Come ti chiami? – mi ha chiesto lui, sussurrando.
– Ilaria – ho risposto. – E tu sei Franco, vero? Ti conosco di fama – ho sorriso.

Franco lo conoscono tutti, all’ospedale. E’ un uomo di mezz’età, vive qui dentro da anni, e non credo preveda di andarsene. L’avevo intravisto gironzolare per i corridoi qualche volta, ma non esce tantissimo. Mi hanno spiegato che ogni tanto peggiora e torna in intensiva; quando sta bene ha la sua stanza personale in un angolo appartato, in fondo al reparto; ormai l’ha attrezzata come una casa.
Tutti i volontari dell’ospedale lo hanno incontrato, e regolarmente vanno da lui a decine. A volte in città organizzano qualche evento in cui leggono le sue poesie.

– Hai letto il mio libro? – mi ha domandato.
– In effetti no. Non so nemmeno quale sia
– Come! Allora appena ho finito vieni con me a piano terra. E’ un ordine! – ha detto, ironicamente perentorio. Non avevo mai pensato alla perentorietà di un bisbiglio.
– Comandi! – ho riso, facendogli il saluto militare.

Mi ha portato nella sua stanza, insieme alla signora che lo stava aiutando a stampare. Nella parete di fronte al letto aveva sistemato una libreria: c’era dentro una televisione un po’ più grande di quelle in dotazione all’ospedale, alcuni libri, una foto di Woityla e una di madre Teresa, disordine sparso.
La signora ha estratto da non so dove un volumetto azzurro, porgendomelo. C’era un disegno in copertina e aveva le pagine lucide. Profumava di nuovo.
– E’ tuo – ha sibilato Franco, che si era parcheggiato accanto al suo letto.
– Grazie. Attento che sono una critica cattivissima eh – ho scherzato.
Poi ha bisbigliato qualcos’altro che non ho capito. Gli avrei chiesto parecchie volte di ripetere, prima di imparare a trovare le parole tra i soffi d’aria.
– Tu fumi? – ha ripetuto.
– Ehm, no – ho detto, un po’ perplessa. Mi sembrava improbabile che una persona che respira da una tracheotomia mi offrisse di fumarci una paglia.
– Peccato, ci serviva un accendino. Maria, va’ a chiedere a Corrado un accendino
– A Corrado? Chissà cosa pensa – ha sorriso la signora, avviandosi fuori dalla stanza. Ero sempre più perplessa.

Quando è tornata, si è chiusa in bagno con un foglio di carta.

[…continua…]