Anna

– ..Infatti questo è un pensiero sviluppato più da Hegel, che..
Mi ero persa qualche pezzo del discorso, gli voltavo le spalle stando al computer. Lentamente ho distolto l’attenzione dalla mia mail per connettermi al filo di parole tessuto dalla voce maschile dietro di me.
Mi sono girata. Parlava un signore alto e brizzolato, seduto al tavolo centrale della sala informatica semivuota. Davanti a lui, una donna dai tratti nordici gli rispondeva con accento straniero. Era sulla cinquantina, con corti capelli grigi e occhi vivissimi dentro orbite scavate, e si cullava placidamente su una carrozzina troppo larga.
Rimasi ad ascoltare gli ultimi pezzi della conversazione – piuttosto insolita, in un ambiente ospedaliero tutto preso da drammi personali e necessità pratiche impellenti.
– Insegna filosofia? – mi sono intromessa, quando ha smesso di parlare.
– No, altrimenti non mi piacerebbe così tanto – sorride.
In effetti.

Anna è olandese, ma da trent’anni abita in Calabria col marito ingegnere – e filosofo per passione. Lei ha vissuto tredici anni in una comunità di normodotati e disabili. Come fisioterapista.
Poi è stata colpita da un virus del midollo spinale – di quelli che prima ti paralizzano del tutto ma poi, di solito, ritorni almeno zoppicare – e per una sorte ironica è passata dall’altra parte della barricata.
Forse per questo – oltre che grazie a un male meno inappellabile di altri – emanava serena consapevolezza. E’ forse l’unica a cui ho sentito dichiarare con sicura tranquillità che non avrebbe più camminato come prima.

Una sera ho trovato chiusa la porta della biblioteca, subito accanto alla sala informatica; così l’ho aperta per controllare.
– Oh… scusate – ho detto ritirandomi in fretta.
– No no, entra pure!
Avevano acceso solo un neon. Nella mezza luce li ho visti seduti da parti opposte di un tavolino, di profilo contro l’ampia vetrata che dà sulle colline.
– Scusate, è che di solito la porta resta aperta e non capivo…
– Noi l’abbiamo trovata chiusa – mi ha spiegato Anna. – Tant’è che pensavamo di non poter entrare… ma ci siamo messi qui lo stesso, a guardare il paesaggio
– Prima abbiamo spento la luce per vedere meglio – ha aggiunto lui – era proprio bello, il sole che cala sulle colline innevate…

Sembravano racchiusi in un’intima bolla di quieta eleganza e cortese semplicità. Ecco, ora non eravamo più in una stanza disordinata con un paio di scaffalature e dipinti del laboratorio sparsi ad asciugare; avevano evocato quantomento un tiepido salotto da tè morbidamente arredato.
Non mi restava che affondare su un divanetto, e farmi raccontare.