Chi ha paura del profitto?

Premesso che non ho ancora capito se e come votare il referendum sull’acqua, vorrei fare una riflessione su un tema che c’entra poco col referendum, ma è stato tirato in mezzo molto spesso: sui beni naturali e fondamentali per la vita, non si può fare profitto.

Su questa base, vi invito a vivere di sola aria, perché mi pare che sia l’unico bene necessario alla sopravvivenza attualmente gratuito. Il cibo, la casa e i vestiti, ad esempio, si pagano, e non a prezzi calmierati da “settore pubblico”, paghi pure il profitto di chi te li vende, e lo paghi profumatamente. Non mi pare che qualcuno si sia mai scagliato contro la Pomì perché il signor Pomì vuole guadagnarci, e farsi le vacanze a spese di tutti i mangiatori di passata di pomodoro. Forse, se non ci guadagnasse, la sua passata farebbe ancora più schifo perché non avrebbe incentivi per farla meglio degli altri.

Se vogliamo fare filosofia sul modello economico più Giusto e Vantaggioso per il Mondo, possiamo pure abbandonarci a simpatiche speculazioni su comunità solidali che vivono di gratuità, o su efficienti (…) Stati comunisti dove i beni fondamentali sarebbero garantiti a tutti. Quando diventerò Dio provvederò a riformare il pianeta in questa direzione, di certo molto affascinante. Nel frattempo, preferisco ragionare pragmaticamente chiedendomi come trarre il meglio (ed evitare il peggio) dal mondo reale che abbiamo attorno.

Posto che di questo mondo reale fa parte anche il profitto, cosa significa trarne il meglio?
Partiamo dal presupposto che la gente lavora, crea, innova sulla base di una motivazione. Sarebbe molto interessante rilevare in qualche modo il peso delle motivazioni morali, ideali o psicologiche, tuttora molto sottovalutate. Tuttavia sono fattori poco quantificabili e difficili da “manovrare” per spingere le persone in una direzione o in un’altra.
Molto più immediato e universale usare a questo scopo il profitto economico.

Non vedo niente di male a sfruttare il potere incentivante del profitto, a patto che esistano due condizioni:
1) Deve incentivare la qualità, ovvero essere vincolato all’offerta di un buon servizio. Se solo le gare d’appalto funzionassero…
2) Deve essere affiancato da uno stato sociale efficiente. Il Pomì me lo pago, ma, se proprio non posso, chiedo un sussidio o vado alla mensa dei poveri.

Rileggendo questo post, mi pare cosparso di banalità, che quasi tutti condividono senza nemmeno pensarci. Ma allora non mi spiego questo improvviso stracciarsi le vesti all’idea che qualcuno guadagni sull’acqua (ripeto, il discorso non si riferisce al merito dei quesiti referendari, ma all’uso spropositato di questa argomentazione a sostegno del Sì. Che magari si può sostenere comunque, ma per altri motivi). Anzi, mi pare già tanto che l’acqua non sia privata e non lo diventi mai (ribadisco, per i meno informati, che il referendum non è contro la privatizzazione “dell’acqua”, ma della gestione dei servizi idrici).
I campi di grano sono privati, gli allevamenti di animali sono privati, tutto quel che mangiamo è privato, a meno di non staccare bacche da un parco pubblico – e anche lì, non sono sicura che si possa fare. Forse questo non è giusto, ma allora prendetevela con le enclosures.

— Postilla referendaria riguardo a quanto (non) ho capito finora —

L’acqua è, e resterà, ancora pubblica. Il punto è solo capire se fa più inciuci il pubblico o il privato, chi garantirebbe più trasparenza e più investimenti sulle reti idriche. Non vedo niente di ideologico in questa valutazione, è meramente pratica. Per il momento, non ho individuato delle ragioni nettamente a favore dell’uno o dell’altro. Pare che a Milano il pubblico faccia faville a poco prezzo, e ad Agrigento faccia.. acqua da tutte le parti, spennando pure i cittadini. Mah.

E per quel 7% di profitto che sarebbe garantito alle imprese? Dicono serva a ripagare gli investimenti. Se gli investimenti li fa il pubblico, se li ripaga con le tasse, e ce ne accorgiamo poco; se li fa il privato, se li ripaga nella bolletta, con questo 7%. In entrambi i casi, non si capisce in che modo pubblico o privato sarebbero tenuti ad investire veramente. Il pubblico avrebbe l’incentivo di essere poi votato degli elettori, il privato quello di vincere la gara per aver offerto una qualità migliore. Ma le elezioni di solito sono decise da ben altro, e le gare in Italia si sa sempre chi le vince.

…Quindi?