Stonature

Una foto in cui si atteggia a qualcun altro, qualcuno che assomigli alle facce fotografate accanto – loro sì che ridono coerentemente. Lui invece è una vecchia truccatissima con la minigonna, o un bambino strozzato dalla cravatta; un grasso scoordinato che balla al centro della pista perché lo trascinano gli amici, o un depresso che si stira le labbra in un sorriso, appena sotto gli occhi ancora umidi e pesti.
Finto.
(E finto non per colpa, ma per disperazione: di non sapere chi è)

***

Le voci troppo alte – stasera, non so perché, rimbombano più forte dentro le pareti, sono insofferente. Conversazioni che si intrecciano da un lato all’altro della stanza, come il tavolo fosse un fossato, devi urlare per raggiungere l’altra riva e sovrastare le ciarle adiacenti e far sembrare quel che dici abbastanza importante perché il discorso lanciato non sia silurato a mezz’aria dagli intercettori nemici – ovvero bombe di barzellette, io per primo ioioio, ameunavoltaècapitatoche, mancano due chili al peso forma.

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Tu sai (inconsciamente?) di essere più avanti.

Forse lo so anche consciamente. Se non dovessi stare al gioco della modestia politicamente corretta, se non avessi qualche cattolico retaggio di buoni e tolleranti sentimenti, lo potrei dichiarare: tu sei patetico, tu mi annoi, tu invece mi dai fastidio, tu è ora che stai zitto, tu sei egocentrico, tu mi hai interrotto, tu non stai ascoltando, e così via.

Fortuna che ci sono le convenzioni sociali a salvare le apparenze – e il bisogno di compagnia a salvare le relazioni, costringendo a compromessi.

Se no, io non vorrei mai avere a che fare con una come me.