Apparizioni

Avevo appena finito di dire che non l’avevo più rivista. Se mi piacesse abbandonarmi a cercare fili conduttori fra le coincidenze, attribuirei alla scrittura qualche magico potere evocativo.

Vado a prendere la macchina al parcheggio sotto la chiesa; c’è un carro funebre accanto. Mi viene incontro un gruppetto di vecchi, a buon passo per la piazza; chiacchierano, uno indica qualcosa e sorridono fra loro, in serena disarmonia con le cravatte nere. Chissà chi è morto, dev’essere uno vissuto abbastanza.
Faccio retromarcia, e mentre giro per infilare la stradina mi passa davanti un naso inconfondibile sotto enormi occhiali scuri. Contrariamente al solito, l’ho riconosciuta all’istante. Mi pareva di averla vista ieri l’ultima volta – forse l’unico modo per farsi riconoscere da me è causarmi qualche trauma psicologico.

– Prof – abbasso il finestrino – prof!
– Ciao – anche la voce, la voce è inconfondibilmente quella, un po’ nasale e sbrigativa, quella che tanto spesso mi rimbombava in testa.
– …Ma… mi riconosce, sì?
– Certo – dice senza sorridere, con rapida naturalezza; come se non stesse vedendo alla guida di un furgone un’ex tredicenne impedita, che aveva la metà dei capelli, il doppio delle paranoie e un decimo di libertà. – Ciao.

E se ne va.

[Accelerando, ho tirato su il finestrino, perché non mi sentisse nessuno mentre dicevo fra me e me che certa gente è proprio strana.]