Il sospetto poetico

[Banalità che si pensano leggendo Università Aperta a colazione] 
[Era un po’ che non si fabbricavano spilli per inculare mosche, eh?] 

"Arrischio questa ipotesi: Dante ha voluto non che pensassimo che Ugolino abbia mangiato la carne dei suoi figli, ma che lo sospettassimo".
(J. L. Borges)

Ora, potremmo dire che l’argentino non arrischi poi molto, dato che il De Sanctis un secolo prima aveva già notato la possibilità di interpretare in vari modi quei versi ("Tutto questo può esser concepito, pensato, immaginato; ciascuna congettura ha la sua occasione in qualche parola, in qualche accensione d’idea"), ed è noto che Dante non scriveva cose a caso.

Ma di questo non mi frega granché. Invece, volevo cogliere l’occasione per un’apologia dell’ambiguità poetica: quella cosa meravigliosa che dà lavoro a tanti mangiapane a tradimento, i quali possono scrivere tomi e tomi di congetture su un verso; quella che consente a studenti di letteratura contemporanea d’improvvisar parafrasi per poesie mai lette, e prenderci lo stesso.
E, soprattutto, quella che dà un senso al poetare.

Perché se io voglio esprimere un concetto, voglio che arrivi chiaro, definito, incontrovertibile, scrivo un paragrafetto in prosa, ci riassumo i miei credo sul mondo e tutti li comprenderanno senza equivoci. Dopodiché possiamo iniziare tranquillamente a filosofarci su.
Se invece mi sforzo ad arzigogolare versi oscuri, le possibilità sono due (sovrapponibili):
1) Sono narcisista, masochista, elitario, bisognoso di fumo per coprire mancanze d’arrosti.
2) Voglio esprimere un casìno, un guazzabuglio di sensazioni sfaccettate, una complessità poliedrica, un’incertezza, un gioco di specchi. Voglio che una parola significhi una cosa ma te ne ricordi un’altra e suoni come un’altra ancora, così con una parola sola ti accennerò tre cose, e tu lettore, se avrai la pazienza di non scappare ma aprirai un po’ l’immaginazione, in qualche modo inspiegabile nel loco d’ogne luce muto vedrai lo scotch che imbavaglia il sole e ti sentirai premere dal buio nell’accalcarsi di o e di u

Però, c’è un però che mi attanaglia.
Il gioco di specchi funziona se c’è qualcuno, di qua, a specchiarsi. Una parola può ricordarne un’altra se c’è qualcuno, di qua, a ricordare. Da ciò discende la banalissima banalità che la poesia – come un libro, come un’idea, come me – trova senso e vita nella sua comunicazione.
Cosa che, diciamocelo, non avviene. Nessuno legge poesia, via. A momenti nemmeno io, beh io un po’ sì, ma mi obbligano, e poi la colonna lì a sinistra andrà pur aggiornata ogni tanto.

A questo punto, è troppo facile dire che il popolo è bue e noi, nobili bovari, non ci possiamo far nulla (dove quel noi comprende letterandi, letterati, poeti, poetucoli, vendiparole, insegnanti, blogger, ecc.). Se anche il popolo è bue, lamentarsene non servirà a de-bovizzarlo – cosa in sé trascurabile, ché anche ruminando si può viver felicissimi. Piuttosto, mi dispiace per le pasticcerie chiuse.

Dico, immaginate di passar davanti a Fontana (pasticceria i cui effluvi nel portico vincono per un tratto quelli della via Emilia), di avvicinarvi sentendo l’odore, di sbavare spiaccicandovi sulla vetrina come un insetto smarrito, cercare spasmodicamente la porta e trovarla sbarrata, con un cartello che avverte: "Tesoro, fatti qualche anno sui libri, pigliati una laurea in Bignettologia e poi torna".
Là dentro, intanto, c’è uno chef misantropo che continua a produrre tonnellate di dolciumi senza saper dove metterli (ché a mangiarli tutti lui ci sarebbe già morto). Ogni tanto lancia uno sguardo fuori, vede la gente passare e andarsene, e bestemmia lamentandosi che a nessuno piacciono i suoi dolci. 

Capite, c’è una contraddizione.
Che naturalmente non saprei come risolvere, dato che, in effetti, anche il punto 2) di cui sopra è una realtà, e costringere lo chef a cucinare solo piadine sarebbe ugualmente frustrante. Se togliamo l’ambiguità alla poesia, tanto vale non scriverla; ma se nessuno s’azzarda a sospettare, è come non scriverla lo stesso.
Sì, ho tirato tutta questa pappardella per concludere che non so concludere.

[Quindi, dite a Vasco che "voooglio trovare un senso alla poesia" sarebbe stato ugualmente privo di risposta, ma almeno più metricamente accettabile di "aquestasituazione".]