Limiti

1.

Ognuno di noi ha una certa idea su come dovrebbe essere una relazione. Nei suoi punti fondamentali, almeno. Sa quali sono quelle cose cui non potrebbe mai rinunciare.

Potrebbe essere viaggiare insieme, riuscire a confrontarsi, sentirsi coccolati, essere benestanti, fare molte cose in due o invece mantenere separati i propri spazi, frequentare certi locali o certi ambienti, avere idee simili sulla religione o sulla politica, condividere una passione o un lavoro, far sesso in un determinato modo, sentirsi autorevoli o viceversa protetti. Eccetera.

Alcuni aspetti riguardano il fare, le attività svolte, lo stile di vita; altri c’entrano più col pensare e col modo di comunicarsi idee o sentimenti.

Chi sembra non possedere uno dei requisiti, non viene preso in considerazione come possibile partner. Se per me è indispensabile essere di sinistra, escluderò quelli di destra. Se mi aspetto di andare in discoteca tutte le sere col mio ragazzo, eviterò chi non ci andrebbe neanche morto. Se voglio poter fare discorsi di un certo livello, non andrò mai con un totale ignorante.

2.

Io ho sempre dovuto fare certe cose in modo diverso. Alcune attività quotidiane possono richiedere una maggiore organizzazione, o più tempo, o l’aiuto di qualcun altro. Raramente, capita anche di dover rinunciare del tutto a qualcosa che si rivela impossibile.
Dunque, ho sempre avuta chiara la precarietà del fare. Ovvero il fatto che le possibilità di muoversi, cucinare, viaggiare, tener dietro al giardino, badare a un cane o fare un figlio sono determinate da un mucchio di condizioni esterne, e si possono anche perdere; insomma, non le ho mai vissute come sostanziali, come parte dell’essenza di una persona; piuttosto mi sembravano accidenti, dettagli di contorno, non è da questi particolari che si giudica un giocatore (cit.).
A questo aggiungiamo che ho avuto un’educazione molto… intellettualizzata, tutti i valori che mi hanno trasmesso avevano a che fare con doti interiori, capacità di riflessione e di comunicazione.

Perciò, è su questi valori che ho costruito la mia idea di relazione. Praticamente tutti le caratteristiche di un partner che considero irrinunciabili hanno a che fare con la sfera del pensiero.

3.

Ma ieri sera qualcuno mi ha fatto pensare che molte persone hanno altre priorità. Valori, bisogni, aspettative legate al fare, all’andare, al mostrare. Per loro, un partner che non risponda a queste aspettative diventa un limite. Non basterebbero i sentimenti e tutto l’amore del mondo, se non fosse possibile condividere un certo stile di vita, svolgere precise attività insieme, eccetera.

Ogni compromesso sarebbe un limite inaccettabile alle possibilità individuali. Potrebbe costringere a non fare qualcosa.

[In cambio, forse, permetterebbe di essere, o di sentire.
Ma, pare, non è tanto importante.
]

Appunti sparsi sulla vita

questa cosa importantissima su cui dibattere, per capire se ci appartiene, se si può interrompere, cosa è cura, cosa è alimentazione, bla bla.

Mi viene in mente che in Giappone si suicidano come mosche, per fallimenti professionali, per mancanza di scopi.
Penso al mondo antico, ma non solo, in cui ci si suicidava per difendere l’onore, perché era preferibile perdere la vita rispetto alla dignità. E, magari, il suicida era poi considerato con rispetto per il suo gesto.

Non per dire che condivido queste visioni del mondo.
Ma per ricordare che tutte quelle storie sulla vita inviolabile e sul suicidio da impedire sono solo prodotti della cultura cristiana. Ci vengono presentati come limiti invalicabili, pilastri indiscutibili, e forse anche il più radicale del radicali, se vedesse un tizio sul cornicione, proverebbe a salvarlo.

Eppure questa è soltanto una delle scelte culturali possibili.

I belli coi belli…

Presento una istruttiva selezione di commenti a un articolo sulle “operatrici sessuali” per disabili.
Errori ortografici originali.

-franky
Ma vi rendete conto di quello che scrivete? Qui non è questione di tabù, chiesa, destra/sinistra. E semplicemente ABBOMINEVOLE pensare che ci siano delle “infermiere/i del sesso”. Il sesso è una pulsione alla quale si puo benissimo rinunciare (io non l’ho pratico per 2 anni semplicemente perche non trovavo la ragazza giusta da amare) , imprescindibile da un rapporto sentimentale. E poi ce chi dice: “queste non sarebbero prostitute..” ah no!? Tu la sposeresti una che per mestiere fa la “operatrice sessuale”, ma vergognatevi!

-Jack
Considerata semplice prostituzione? La sessualità degli handicappati è un diritto che va rispettato e salvaguardato con estrema tenerezza? E quindi con TENEREZZA gli facciamo “PAGARE” una bella trombata, e spendiamo pure soldi per formare OPERATRICI SESSUALI per disabili??? L’Italia fa pena, ma ritengo proprio che per l’Italia, questo può rimanere un tabù…anche se di tabù non si tratta, bensì di rispetto. Esiste l’amore nella vita, e per quanto difficile, ognuno ha la felicità o la tristezza di vivere la sua vita (qualcuno lassù ha voluto così)per ogni disabile esiste un non disabile…se si ama si può!

zorro
Solo l’idea mi fa semplicemente repulsione.Io renderei illegale qualsiasi tipo di prostituzione, ma siccome non è possibile,riaprirei le cosiddette “case chiuse”, almeno non si vedrebbero più certe scene in giro per le strade.

maria
vogliono essere come gli altri? e allora come gli altri si trovano una morosa con cui far l’amore….quello dell’assistente sessuale non è altro che prostituzione, nè più nè meno…..un modo come un altro per far soldi sulle disgrazie altrui e in modo facile….anzi….facilissimo…..e che schifo lo dico io!

-diogen
sono assolutamente d’accordo e provo un’infinita tenerezza per i disabili e le loro esigenze negate.Tra l’altro bisogna considerare per alcuni anche l’eventuale bisogno di rapporti con persone dello stesso sesso
-eccerto
magari valutiamo anche che qualcuno di questi abbia bisogno di qualke pezzata di cocaina? (mutuabile ovviamente). Ma smettetela, va bene così ed è sempre andato bene così!!


Io non ho nessuna intenzione di pagare le tasse x offrire prestazioni sessuali ai disabili!


Ciò che dite è sballato!! Niente da dire ai disabili ma la volete troppo semplice. Volete fare sesso? Allora cercate una ragazza disabile corteggiatela e fateci sesso!!!! E’ la stessa cosa che facciamo noi non disabili. I belli con i belli i brutti con i brutti e i disabili con i disabili qual’è il problema? Si parla di diversamente abili quando fa comodo e di disabili QUANDO FA ANCORA PIù COMODO?

-alessandro
La Verità è che se Voi normo dotati ce la/o deste di più, non ci sarebbe bisogno di ricorrere alle prostitute!
-Perchè pretendere il sesso da dei normodotati? io da donna (sono sincera e non cattiva) non lo guardo nemmeno un ragazzo disabile. la vita è così purtroppo, i belli con i belli, i brutti con i brutti ed i disabili con i disabili come detto già da qualcuno…

Resa (?)

Almeno sarà un bel ricordo,
avevo detto, con la voce che mi restava. Ricordo di aver esitato, nel dirlo: mi stavo chiedendo se era vero. Già allora non mi era chiarissimo ciò che sentivo.

[Più o meno: dolore, poi nulla]

Esattamente un anno dopo – ieri – mi sono arresa. Non ci avevo nemmeno pensato, alla ricorrenza, ma evidentemente lo sapeva bene chi sovrintende all’ironia della vita.

00.00 – 06.00

Una camomilla di mezzanotte, una lunga fila di canzoni basse basse in sottofondo, abbastanza ironiche da arrivare a Eskimo mentre si parla di manifestazioni. Lei mi guarda da oltre l’angolo del tavolo, rannicchiata su una sedia, dentro al suo buffo pigiama.

Non so se avete mai sentito il cervello che si bea. Proprio gode, scivolando senza intoppi da un argomento all’altro, come fossero infinite le storie da raccontarsi, le opinioni da scambiare. Sapevo di essere ascoltata con attenzione, mai fraintesa, giudicata quel po’ che serve – abbastanza per non sentirsi ignorati, ma non tanto da dover tacere.

Di notte i cani dormono, la cucina è già a posto, non si va in giardino a brigare con reti e cancelli; perciò si può parlare, dice, senza credere di perder tempo. Non ha tanto bisogno di dormire, alla mattina.

Forse è la freddezza a renderlo più semplice. Le dicono che è fredda e sto iniziando a definirne il senso sentendola filosofare di stili di vita e modi di pensare, però dribblando attentamente i fatti e, sopratutto, le emozioni. Sembra che qualsiasi discorso non la tocchi più di tanto; che se sei d’accordo, bene, e se non lo sei, beh, non importa, è così che vanno le cose, ognuno la pensa a modo suo. Senza offendersi, ritirarsi, né sbottare per impulso di un qualche sgraziato orgoglio. Non è importante nemmeno aver ragione, ha i suoi limiti e li sa – a volte con chiarezza, a volte confusamente; ma se li vede non teme di ammetterli con semplicità e un poco d’ironia, come fosse naturale non riuscire ad adattarsi proprio in tutto.

Poi c’è l’esperienza in comune. Molto diversa, in certe cose simile, comunque confrontabile. E soprattutto abbastanza rielaborata, da entrambe le parti, per poterla rendere argomento di conversazione non banale.
Anche quando sapevo di non poter capire, e non mi restava che lasciarle un po’ di spazio da riempire piano piano, a gocce timide di verità, forse sempre meno fredde. Anche quando, dopo lenti avvicinamenti, si è lasciata andare finalmente alle irrisolvibili nostalgie – di cui non parla mai, ché tanto a cosa serve, deve far vedere ciò che invece ha guadagnato – e io in silenzio ho rigirato il cucchiaino nella tazza, fissando attentamente la bustina.

Chiudersi?

– io le ho detto che tutti i miei amici sono sempre stati normo, quindi non è così scontato che se stai con un disabile ti chiuderai in quell’ambiente

– sì ma poi ragionare in termini “chiudersi nel gruppo di disabili” sembra una cosa dispregiativa.. come io potrei dire “chiudersi nel gruppo dei truzzi”
…se io mi fossi chiuso in un gruppo di disabili del calibro di te, valentina, lei ed eleonora, sarei stato sicuramente molto meglio

Aspirazioni

[G.]
guarda che farebbe bene anche a te, questa cosa.
[Tu]
18:03
cosa?
[G.]
18:03
continuare ad avere fiducia nel futuro.
[Tu]
18:04
ma io ho tanta fiducia
in un futuro pieno di sesso e casi sociali
festa!
[G.]
18:05
felice chi ha ambizioni misurate alle proprie possibilità!
[Tu]
18:05
..non capisco cosa si possa desiderare, oltre al sesso e ai casi sociali con cui creare complicate relazioni.
[G.]
18:06
…la gloria letteraria, per esempio.
ma tu non sei un’artista, sei solo una cazzona a ruota libera.
;)

Normalità

C’è chi passa la vita a sforzarsi per distinguersi, e chi non aspetta altro che diventare normale.

La normalità ormai è un concetto denigrato. Non si fa altro che relativizzarla, spiegare che nessuno è normale, o che tutti sono normali, o che la normalità non esiste. Siamo pratici: la normalità esiste. Non come concetto rigido cui uniformarsi per forza, ma come insieme di piccole cose comuni che le gente di solito fa. Alzarsi la mattina per andare a scuola o al lavoro è normale; alzarsi senza poter uscire dalla tua cella perché sei carcerato non è normale. Andare a farsi una passeggiata è normale, non uscire di casa perché sei paralizzato in un letto non è normale. Non raccontiamocela, è così che stanno le cose.

Poi è chiaro che ciascuno si costruisce la propria rappresentazione della normalità. Immagino che la normalità di Ruby sia molto diversa dalla mia, ma non divaghiamo.

Il punto è: ci sono persone che si rappresentano la normalità come quella brutta cosa conformista cui si attiene una maggioranza ignorante e modaiola, dalla quale bisogna assolutamente distinguersi. Essere diversi diventa allora un valore, e la propria normalità si costruisce in opposizione a quella ritenuta comune.

Per altri, la normalità è una specie di utopia. Sono già troppo diversi, perciò non desiderano certo diventarlo ulteriormente; anzi si sforzano di trovare quella benedetta normalità e invidiano chi facilmente la possiede. Nelle piccole cose, quelle che magari uno non ha mai fatto e ha sempre voluto fare; non perché si tratti di attività così meritevoli, ma solo perché, facendole, ci si sente un po’ più parte del resto del mondo, un po’ meno esclusi, un po’, per una volta, come tutti gli altri.
Che sarà anche una condizione offensiva per le anime superiori; ma a volte, sapete, per chi non lo è mai stato può essere rilassante, quasi commovente, poter dire di essere come tutti gli altri.

Io ho cominciato ad assaggiare la normalità soltanto all’inizio del liceo, e l’ho amata in ogni sua banalità. Fare le pizzate di classe, andare in discoteca, al pub, a casa di amici. Per una volta far fuga da scuola, tenere la testa a un’amica ubriaca o vedere il compagno più grande che rolla una canna.
Intendiamoci: alle pizzate stavo quasi sempre zitta, in discoteca mi annoiavo a morte, le amiche ubriache sono molto deprimenti e verso le canne non ho mai avuto interesse. Ma non contava: l’importante era poterlo fare. Esserci. Allargare il mio misero bagaglio di esperienze, avere qualcosa da raccontare e riuscire a capire i discorsi degli altri senza sembrare un’aliena né un’ingenua, e senza giudicare le cose secondo l’astratta moralità infantile di chi conosce molti sacri principi ma non è mai uscito da camera sua. Volevo toccare con mano.

E, soprattutto, volevo essere un po’ meno diversa. Avere finalmente esperienze confrontabili con quelle degli altri, potermi sentire “simile”, almeno in qualcosa, anziché sempre un caso a parte; poter dire “c’ero anch’io”. Non ti sembra una cosa così stupida, quando, per anni, non c’eri mai anche tu.

Schifare la normalità è un privilegio riservato a chi può averla quando vuole. Un privilegio che finalmente posso prendermi, riguardo a tante cose: non m’importa di andare in discoteca e non esco per forza con tutti, se so di annoiarmi.

Però mi piace ancora, ogni tanto, rilassarmi nella normalità, sentire quel rassicurante caldino interiore che mi lasciano i riti condivisi, i banali passatempi con cui la gente, di solito, scandisce la propria vita, senza stare troppo a chiedersi perché e percome. Ci sono già anche troppe cose importanti su cui interrogarsi e filosofare, troppe per cui lottare, troppe da selezionare secondo una ponderata scala di priorità; e su queste cose ho già speso senz’altro buona parte della mia esistenza.

Sulle altre, per favore, concedetemi di essere normale.

E per questo san Valentino

(…di cui, onestamente, non m’importa granché) non invidierò nessuno.

Lancette

– Secondo me questi secondi non sono giusti
ha detto guardando la lancetta girare. Nicola teneva in mano un orologio da parete con la lancetta a movimento continuo, anziché a scatti, e lo guardava perplesso.
– Uno, due, tre, quattro…
Ci scambiamo uno sguardo, noialtri, trattenendo una risatina. Vorrà davvero contare a voce alta tutti i 60 secondi?

La padrona di casa era in giardino col cane, noi dentro a bighellonare in attesa del pranzo. Nicola ciondolava gobbo come al solito, con la faccia segnata da vecchi brufoli e l’occhio spento. Guardava sempre da sotto in su, con le palpebre mezze abbassate e la bocca semiaperta, nell’espressione di chi fa il verso a un handicappato per deridere uno stupido.
E si faceva ospitare spesso da lei, con qualunque scusa, sperando che, per una notte, non si dormisse soltanto.
– Dieci, undici, dodici…

Sul letto un libro di storia greca, il suo prossimo esame. Sperava di studiare un po’, nei momenti vuoti – magari quelli in cui lei lo smollava da solo a casa per andare ad allenamento, o fuori col cane, o a costruire staccionate in cortile. Succedeva spesso, ma lui era abituato ad aspettare, a telefonare tutti i giorni, a pregarla invano di uscire da soli o dargli un bacino.
– Ventisette, ventotto, ventinove…
– Guarda che conti troppo lento – gli ho detto, osservando la lancetta già oltre l’otto.

Nicola ignorava il mio avvertimento e continuava a contare, cantilenando. L’altra vicina badava ai fornelli, noi restavamo sul letto a guardare uno spastico inseguire i secondi. Sputacchiava un po’ le parole, ma tutto sommato se la cavava a parlare.
Mi sono chiesta quando si impara il senso del ridicolo. Chi ci ha insegnato a capire cosa è opportuno e cosa no. Perché a noi la scena sembrava evidentemente patetica,
РTrentadue, trentatr̩
e a lui un giochetto come un altro. Come mai lui non sa ancora che, avendo ricevuto uno, due, tre rifiuti, è più dignitoso dileguarsi
(sms: ti posso chiamare?)
anziché mendicare una pietosa risposta.

– Quarantacinque, quarantasei
Mi è tornata in mente un’amica che, per deridere chi dice un’ovvietà, si produce nella grottesca imitazione di un handicappato, parlando come se avesse una spugna in bocca e agitando stranamente le mani. Lo fanno in tanti, e per tutti il significato è chiaro.
Mi sono chiesta cosa vede la gente in un ragazzo gobbo e butterato che incarna quell’imitazione, biascicando e muovendosi al rallenty, coi muscoli contratti dalla sua spasticità e il sorriso storto.

РCinquantadue, cinquantatr̩
E quindi cosa impara, di sé stesso, un ragazzo che ha la faccia e il portamento dello stupido – per come la società ha definito, per come tutti lo riconoscono. A quali aspettative finirà per adeguarsi.
Ha avuto già fortuna a vedersi ancora abbastanza intelligente da prender tutti trenta e lode alla facoltà di filosofia.

– Cinquantasette, cinquantotto
Ma non ne ha avuta abbastanza per sentirsi in dovere di sfuggire al ridicolo e di non cercare pietà ostentando bisogni; né per accettare le realtà più scomode

– Sessanta
che siano lancette ben oltre il minuto, oppure un amore non ricambiato.