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Prima prova: ovvero quella di cui il giorno prima ridi, pensando tsk, se devo preoccuparmi per scrivere un tema siamo proprio caduti in basso. Poi certo, aspettando mezz’ore eterne in attesa delle fotocopie un po’ di tensCion ti sale addosso, se non altro perché sei lì, seduta a quel famigerato esame di cui si parla e sparla per cinque anni – e che prima o poi arriva davvero.
Panico all’apertura della busta: Ungaretti ha fregato tutti e la prof s’è disperata – gli abbiamo dedicato due orette scarse di lezione, convinti che tanto esce prosa. Qualche tempo fa borbottai tra i denti un chissenefrega, a me giuseppino piace e fanculo all’esame – tutta ‘sta mania di studiare per l’esame, come contasse qualcosa! – facciamoci per bene letteratura e amen; ma si sa, a scuola il tempo è quel che è. Perciò, in una fase di tregua dell’anno scolastico, Ungaretti me lo sono letto per i fatti i miei, perché mi andava. E chissà, forse (forse) sarei riuscita a fare pure il tema letterario.

MA ho fatto il saggio breve. E chi mi conosce sa benissimo quale ho scelto, lo sa senza bisogno di chiedermelo. Sentivo lamentarsi dei temi assegnati, bruttarelli in verità; eppure, leggendo il titolo del tema sul distacco, m’è venuto un po’ da sorridere, ché pareva scelto per me. Sono quasi tre anni che impesto la rete con post del genere.
Così, ho sudato sei ore scrivendo due malacopie zeppe di cancellature, incertezze e ripensamenti, in precario equilibrio sul limite dello sbrodolamento patetico-introspettiv-nostalgico, tipico dell’adolescente in fase Grande Passaggio della Vita; il tutto espresso col solito linguaggio da momento catartico, come nelle migliori tradizioni blogghico-sentimentali.
Al termine delle sei ore ero in stato confusionale, avevo prodotto poco più di tre rachitiche colonne, pensavo di aver scritto la mia solita pappina pallosa e vuota incartata in una buona forma, e vedevo un Quindici con le alucce volare via dalla finestra facendomi una pernacchia.

Il Quindici con le alucce è tornato in un mezzogiorno bollente, fuori da scuola, appollaiato fra mani della prof.

Seconda prova: quella che ahahahahaha. Nel senso che si ride per non piangere.
Su tutti i newsgroup viene definita la prova più facile degli ultimi anni, decenni, secoli. Pare che già la nonna di Socrate si sia diplomata allo scientifico di Atene superando un esame più difficile.
Ma la nonna di Socrate non andava in quinta C. Classe notoriamente incapace nelle materie scientifiche e soprattutto in matematica, dove si contano quattro o cinque sufficienze. Il problema di massimo e minimo era, in effetti, molto facile. Tra i primi problemi di massimo e minimo che si fanno. Solo che noi non li abbiamo fatti (ok, ci si poteva arrivare lo stesso sapendo le derivate).
E qui si aprirebbe la polemicona anti-Brighi, riguardo alla quale le mie posizioni sono così riassumibili:
– Il mischino s’è ritrovato una classe umanista e demotivata. Al che s’è demotivato anche lui.
– E’ vero che non abbiamo fatto diversi pezzi di programma. Ma non è che si sia girato i pollici a lezione: semplicemente le ha passate a ripeterci gli stessi concetti che non capivamo mai.*
– E’ vero che problemi in cui indagare, intuire, tentare, arrangiarsi creativamente, come in genere accade in quelli d’esame, non ne abbiamo fatti. Però, se solo avesse osato metterceli in un compito in classe, lo avremmo accoltellato a colpi di biro Bic.
– C’è chi in terza comincia a fare esercizi tipo esame, adeguatamente adattati. Noi abbiamo cominciato ad aprile. Questo potrebbe essere un problema.

[ *voto per un aumento delle ore di matematica allo scientifico. Ce ne fossero state sei o sette,
a) cinque anni fa mi sarei spaventata guardando l’orario, avrei scelto il classico e non avrei sbagliato scuola;
b) qualcosa entrerebbe anche nelle zucche vuote, se non altro a forza di sentirselo ripetere.]

Comunque: dopo essermi persa in svariati bicchieri d’acqua e dopo aver strappato al prof qualche dritta sibillina, sono riuscita a concludere qualcosa di sensato. Uscita da scuola ho realizzato che la diagonale di un cubo non è latoperradicedue e ho sbattuto la testa contro il muro una dozzina di volte.

Terza prova: Ahem.
Un po’ comincio a comprendere la desolazione degli insegnanti incazzati che popolano it.istruzione.scuola e auspicano maniche strette e rigide sorveglianze; ma alla fine è il piatto in cui mangio e non mi va di sputarci dentro. D’altra parte l’esame è già pieno di contraddizioni – perché un compito dovrebbe valere più di cinque anni? Perché i miei stessi professori dovrebbero valutarmi diversamente da come hanno sempre fatto? – e al suo valore non crede più nessuno.

Adesso, orali.