Ma io torno eh

Finita. E’ finita. Fino a ieri me ne rendevo conto solo a tratti, scacciavo il pensiero. Ho perfino tirato un buon sospirone di sollievo dopo l’ultima lezione di matematica, o dopo quella di scienze passata come sempre a dormicchiare.
Ma oggi, arrivando, si sono risvegliate le pietre del muretto, il cemento del nostro casermone, la porta, le pareti dell’aula, i banchi. Mormoravano qualcosa tutti insieme, sommessi, in trepida attesa; sono passata, e ciascuno, salutandomi, mi ha soffiato addosso il ricordo che teneva appuntato su di sé, regalo di commiato. Così mi hanno sommerso, catalogando ogni gesto come irripetibile, dipingendo di specialità le cose quotidiane, trasfigurate ad evento solo perché improvvisamente ultime

Gli abbracci, le torte, la Vale che guardava lontano, trattenendo qualcosa negli occhi; e quelli che alla fine hanno pianto davvero (…come me), chi singhiozzando, chi nascondendosi. La Seggy, il libro delle gag, l’Eli che entra a portarle i piscialetto, l’interrogazione che “ci ho ripensato, era proprio bastarda”, ride, le chiacchiere trascinate di chi non riesce a staccarsi e resta lì, ondeggiando alla porta, “come farò senza di voi”. L’abbraccio della Mag, “ci scriviamo”, lei che parte, stavolta Costa Rica davvero – “ma tu vieni a trovarmi, perché tu puoi viaggiare”; e quello all’Ele, “posso abbracciare la miglior compagna di banco che abbia mai avuto?”.

– Ma io torno, eh! – ho gridato, andando via.
Spero.

[Perché ho imparato che il tempo non mi passa accanto: mi trascorre dentro, erodendo ogni volta qualcosa. E io ho paura di vedere i ciottoli di questi anni rimbalzare via senza rumore, confusi un giorno fra la polvere di mille altri. Forse c’è anche una specie di salvezza nell’oblio; adesso, però, non mi va di crederlo]