-10

hanno scritto nel nick. Qualcuno si diverte a contare il tempo, come non bastasse lui a contare noi, a scandirci ogni capello. Ho letto -10, e ho avuto paura.
Ma solo un attimo. Ci conosciamo bene, io e la mia nostalgia; ce l’ho sempre appresso, appiccicosa, incollata; gocciola giù dagli stipiti delle porte, dalle panchine, dal bordo della cattedra. E ora che avrebbe tutti i motivi di presentarsi d’improvviso a gridarmi in faccia il ticchettar dei secondi, mi ritrovo tranquilla a salutarla cortese, come si fa per una visita attesa. Un po’ sgradita, certo; ma sapevamo bene di dover sbrigare questa formalità, prima o poi – e allora facciamola finita, mi dia la sua pentola di sospiri che io le passo un paio di lacrime strizzate e arrivederci.
Così, stranamente – ché m’aspettavo di rotolarmi nella disperazione con almeno due mesi d’anticipo – sto scivolando verso questa fine senza quasi accorgermene, distratta dalle cose, dalla primavera, dalle persone che passano, s’inchinano e vanno oltre.
Le persone. Diceva Bergonzoni, l’altra sera, che quando muore qualcuno non ci si dispera perché è morto lui, ma perché noi non lo vedremo più. Certo, un’ovvietà – ma come tutte le ovvietà è disperatamente vera. Ogni fine somiglia un po’ a una morte (sì, ho detto "morte". Si può? O è politicamente scorretto, scandalizzante, vi state toccando, sbuffate come sei tragica e mimate pugnalate allo stomaco? Non si può dire, ve’? Una volta era "sesso", ora è "morte". Allora lo dico: morte morte morte morte morte. Ché è una cosa naturale, sapete. Ok?); e tra dieci giorni morirà un’abitudine, uno stile di vita, una quotidianità consolidata che stava lì a coccolarmi da cinque anni (o quindici, ché questa è la fine di tutte le scuole), rassicurandomi coi suoi schemi conosciuti. Morirà per me, perché io non la vedrò più.
Eppure, per ora mi lascio soffiare avanti sull’aria sorridente di queste giornate, come (quasi) nulla fosse. Perché mi rigiro fra le dita qualche piccola illusione, di quelle a cui ormai guardo con benevola sufficienza; come si guardano dall’alto i bambini, quando chiedono se babbo natale gira davvero il mondo in una notte. Così anch’io, stupidamente, alito sul vetro, e con le dita disegno nella condensa il futuro che mi piace. E su quel vetro, adesso, stanno tratteggiate le persone.

Loro non hanno una scadenza prefissata, e nessuno potrà assillarmi coi conti alla rovescia; loro le rivedrò e tornerò a trovarle e per una scusa o per l’altra non c’è impegno che tenga io sarò lì e non ci perderemo. Almeno: se ne avremo voglia, finché ci importerà ancora. Perché hanno stabilito la fine di una scuola, di un rito giornaliero in cui vedersi; l’hanno decisa da sempre, quel confine stava lì segnato, aspettando solo di essere raggiunto.
Nessuno, però, ha inchiodato a una data la fine dei rapporti, delle amicizie.
Anche quella c’è; ogni tanto accade, a volte prima, altre dopo. Ma sta a noi deciderla.