Lancette

– Secondo me questi secondi non sono giusti
ha detto guardando la lancetta girare. Nicola teneva in mano un orologio da parete con la lancetta a movimento continuo, anziché a scatti, e lo guardava perplesso.
– Uno, due, tre, quattro…
Ci scambiamo uno sguardo, noialtri, trattenendo una risatina. Vorrà davvero contare a voce alta tutti i 60 secondi?

La padrona di casa era in giardino col cane, noi dentro a bighellonare in attesa del pranzo. Nicola ciondolava gobbo come al solito, con la faccia segnata da vecchi brufoli e l’occhio spento. Guardava sempre da sotto in su, con le palpebre mezze abbassate e la bocca semiaperta, nell’espressione di chi fa il verso a un handicappato per deridere uno stupido.
E si faceva ospitare spesso da lei, con qualunque scusa, sperando che, per una notte, non si dormisse soltanto.
– Dieci, undici, dodici…

Sul letto un libro di storia greca, il suo prossimo esame. Sperava di studiare un po’, nei momenti vuoti – magari quelli in cui lei lo smollava da solo a casa per andare ad allenamento, o fuori col cane, o a costruire staccionate in cortile. Succedeva spesso, ma lui era abituato ad aspettare, a telefonare tutti i giorni, a pregarla invano di uscire da soli o dargli un bacino.
– Ventisette, ventotto, ventinove…
– Guarda che conti troppo lento – gli ho detto, osservando la lancetta già oltre l’otto.

Nicola ignorava il mio avvertimento e continuava a contare, cantilenando. L’altra vicina badava ai fornelli, noi restavamo sul letto a guardare uno spastico inseguire i secondi. Sputacchiava un po’ le parole, ma tutto sommato se la cavava a parlare.
Mi sono chiesta quando si impara il senso del ridicolo. Chi ci ha insegnato a capire cosa è opportuno e cosa no. Perché a noi la scena sembrava evidentemente patetica,
РTrentadue, trentatr̩
e a lui un giochetto come un altro. Come mai lui non sa ancora che, avendo ricevuto uno, due, tre rifiuti, è più dignitoso dileguarsi
(sms: ti posso chiamare?)
anziché mendicare una pietosa risposta.

– Quarantacinque, quarantasei
Mi è tornata in mente un’amica che, per deridere chi dice un’ovvietà, si produce nella grottesca imitazione di un handicappato, parlando come se avesse una spugna in bocca e agitando stranamente le mani. Lo fanno in tanti, e per tutti il significato è chiaro.
Mi sono chiesta cosa vede la gente in un ragazzo gobbo e butterato che incarna quell’imitazione, biascicando e muovendosi al rallenty, coi muscoli contratti dalla sua spasticità e il sorriso storto.

РCinquantadue, cinquantatr̩
E quindi cosa impara, di sé stesso, un ragazzo che ha la faccia e il portamento dello stupido – per come la società ha definito, per come tutti lo riconoscono. A quali aspettative finirà per adeguarsi.
Ha avuto già fortuna a vedersi ancora abbastanza intelligente da prender tutti trenta e lode alla facoltà di filosofia.

– Cinquantasette, cinquantotto
Ma non ne ha avuta abbastanza per sentirsi in dovere di sfuggire al ridicolo e di non cercare pietà ostentando bisogni; né per accettare le realtà più scomode

– Sessanta
che siano lancette ben oltre il minuto, oppure un amore non ricambiato.