Cassaforte – 1

Clac-clac. Scatta la combinazione – tre numeri, indimenticabili – e sollevo il coperchio. Lo apro spesso per prender qualche cosa dallo strato sopra – codici della banca, carte di credito, roba così – ma i dieci centimetri sottostanti sono intonsi da anni. In fondo c’è ancora un sacchettino con qualche moneta da cinquanta e cento lire.

Se non risolve il rapporto coi suoi genitori, avrà sempre paura di non sentirsi capita dagli altri.
Sposto le monetine, tengo su il coperchio con il mento mentre le mani frugano dove non è entrata nemmeno la polvere. C’è una pila di fogli e libercoli pressati uno sull’altro. Sullo strato più alto, sotto le lettere della banca, c’è un diario giallo scuro, col lucchetto aperto.

Nel 1999 la mia calligrafia blu saltellava netta e scomposta, dicendo cose religiose o moraliste. Dopo l’estate cambia all’improvviso, si fa più tonda, leggermente più ordinata, e parla spesso di amici. C’è in classe quel nuovo Luca, compagno di banco, – “inizio ad andare a scuola per vedere gli amici, non più pensandomi sola col professore” – almeno finché non viene spostato (e allora, il dramma). “Sono le 16.23” – ero molto precisa – “e doveva venire da me alle quattro. Ora gli telefono. … Dormiva, gli ho detto vabbè, torna a letto, ma domani gli chiedo perché dormiva anziché venire a trovarmi, certo, però non posso farlo arrabbiare”. Forse da queste parti è nata la mia dipendenza da chi non se lo merita.
Ma non è questo che stavo cercando.

Più sotto c’è una grossa agenda; le pagine sono bianche, ma in mezzo è ricolma di fogli piegati in quattro. Disegni, lettere. Ce n’è una per il vecchio Luca, l’altro, quello di sempre. Gli chiedo di tornare, anche se quel giorno abbiamo litigato perché aveva rischiato di farmi male. Aveva esagerato già varie volte, con l’euforia scomposta dei bambini; così lui mesto mesto aveva detto “ho dimenticato le regole“, e se n’era andato “per il mio bene”. A volte mi chiedo quanto male posso avergli fatto, in quell’epoca che non ricordo, giocando coi suoi sensi di colpa.
Ma non cercavo nemmeno questo.

[continua…]