Mezz’ora

Avevo mezz’ora da aspettare, ieri, prima di quel corso. Qualche giro a vuoto per i corridoi, sessanta centesimi nelle macchinette. Poi toh, mi vien voglia di fare un salto al secondo piano. Chissà com’è diventata, quell’aula.

Mi sono affacciata nel bugigattolo vuoto degli insegnanti come dovessi salutarci qualcuno; sono passata accanto al muro su cui ci appoggiavamo chiacchierando all’intervallo – quello da dove qualcuno mi lanciò un’occhiata incredula, iniziando a camminare verso di me con le braccia aperte e l’aria felicemente allibita.
Avevano spostato le sedie, attaccato un paio di foto, scrostato qualche scritta sui muri; ma io vedevo tutto come prima, con noialtri sistemati ai nostri posti, le facce un po’ più giovani – e qualcuna in più, che ora manca. Per una volta la mia memoria ha deciso di non fallire, ed è rimasta a obbedirmi finché volevo: fa’ apparire questo, rimanda indietro il nastro, e mi sono infilata dentro un film già visto, accanto alla me stessa di qualche tempo fa.
Ho spostato lo sguardo da un angolo all’altro, liberando le voci incastrate fra i banchi; ho fatto sedere i ricordi al loro posto lasciando che giocassero la loro parte, un copione già scritto che non si può sbianchettare, è accaduto in quel tempo e non era una prova – questi spettacoli si fanno una volta soltanto, improvvisi la parte e nessuno ti spiega il finale.
Allora ho incrociato un sorrisone rosso che non vedrò forse più, mi son fatta risalutare da vecchie persone, ho riso di qualche previsione sbagliata – ché adesso lo so com’è andata a finire – e ho riascoltato una certa canzone, retaggio di un ultimo giorno un po’ triste.

Eppure c’era qualcosa di sbiadito, un’interferenza nelle sensazioni; come guardando distante, non partecipe come prima. E mentre il vento sbatteva sul vetro dicendomi è ora di andare, ho sentito allontanarsi furtiva quell’altra me stessa, coi passi leggeri di un’ombra che lentamente si stacca dal suo vecchio corpo.