Zoo

Quello era un divano nuovo. Mi sono seduta su un cumulo di giacche e cuscini, osservandone gli ospiti attentamente.
Mai stata così vicina.

Bruttezza ostentata – forse liberata? – e bellezza diversa. Un infinito catalogo di accoglienti sfumature – mai stata così simile – doveva essercene anche una per me.

Ballavano – questo non era nuovo. Ballavano lì davanti, più o meno come tutti gli altri. Ho posato il braccio sul bordo superiore del divano, abbracciando lo spazio vitale di una sconosciuta. Mi raccontava qualcosa di biondo e sicuro di sé.

Poco lontano, due occhi lucidi sotto virgole di sopracciglia agitate troppo in fretta. Un buffo, vastissimo reportorio di espressioni – e una specie di tristezza in trasparenza.

Infine, carne. Tesa, rovente, sbattuta sui muri. Chiesta formalmente con poche parole, o presa in silenzio dai gesti. Scappata in bagno ridendo, derisa ridicola sul marciapiede, vantata violenta come trofeo.

Chissà dov’è quello che manca.