Senso – 2

I cerebrolesi non sono più loro, volevo dirle. Loro sono vivi, ma la loro identità è morta il giorno che si sono schiantati da qualche parte staccandosi un pezzo di testa. Mi è tornata in mente la testimonianza di una signora che, dopo un annetto di coma e dieci di rincoglionimento a vari livelli, aveva ripreso pian piano tutte le sue funzionalità, e ora stava su un palchetto a raccontarlo. Diceva: “io ero io. Sono sempre rimasta io“.
Certamente la sua storia mi aveva interrogato. Ma è una su tantissimi, e penso che, per i molti crani deformi che vedevo ciondolare fuori dal reparto, si potesse già escludere un epilogo così fortunato. Mi domandavo seriamente che senso avesse continuare a vivere, per loro.
Questo, però, era troppo politicamente scorretto anche per l’ultimo giorno di servizio civile. Così mi sono limitata ad assecondare la perplessità esistenziale della dottoressa.

– Dev’esserci qualcosa che rimane, anche in loro – ha continuato lei. – Dev’esserci un senso.
Parlava con voce coinvolta, sembrava avesse appena scoperto che c’è il male nel mondo. Mi son chiesta se non fosse approdata da poco in quell’ospedale.
РLei ̬ da poco che ̬ qui?
– Tre anni.
Diamine, tre anni. Quindi non ha attaccato discorso con una sconosciuta per sfogare un improvviso sbandamento emotivo. Qualcosa non mi tornava.
– In ogni caso… un senso… eh. – L’ho guardata. Dovevo risponderle davvero, dimenticando le frasi dei corsi psicologici? Era ancora in piedi dove si era fermata, non guardava verso il suo bugigattolo e non accennava ad andarsene. Quindi non aveva fretta. E poi, mi aveva fermato lei. Dunque – ho concluso, mentre il ping pong schiamazzava ancora – possiamo tentare un approfondimento.
– Cos’è un senso?

– …Bella domanda – rifletteva. – E’ una causa… una causa, e anche uno scopo. – Ho avuto la sensazione di aver già fatto questo discorso un milione di volte, dalla prima ora scolastica di filosofia su Aristotele all’ultimo gruppo cattolico in cui battibeccavo. La risposta, perciò, mi è uscita quasi annoiata.
– Forse le cose, semplicemente, accadono – le ho detto. – Siamo noi che ragioniamo di cause e scopi. – Per un attimo avrei voluto aggiungere “e poi, se anche trovassimo qual è lo scopo, potremmo chiederci quale sia lo scopo dello scopo, la causa della causa, il perché di Dio”, ma mi è sembrato così trito e banale che ho lasciato perdere. E poi avevo il sentore che non avrebbe potuto funzionare.
– Io… – ha ripreso – ho una visione cristiana dal mondo.
Infatti, non avrebbe potuto funzionare.
– Per questo penso che ci sia un senso, c’è un disegno per tutto, e noi non lo capiamo perché è Dio troppo grande per la nostra mente, quelli che per noi sono problemi… nell’ottica di Dio non sono niente, capisci?
Capivo così bene che nel giro di un secondo mi era venuta in mente una decina di argomenti incontrovertibili per risponderle, ma poi ho capito ancora meglio e ho pensato che, se volevo tornare a casa entro un’ora decente, era il caso di annuire.
– Sì, capisco.
Ho detto “sì, capisco” svariate volte, finché sono riuscita ad augurarle buon lavoro e ad avviarmi a prender le mie cose in sala informatica.

Mi sembrava bello, comunque, che una dottoressa credesse. Trasmetteva sicuramente più fiducia di me.