Ti brillano gli occhi – 3

Claudio era autonomo, e viveva da solo ormai da anni. Non lavorava, ma era comunque impegnato per gran parte del suo tempo, dovendo tener dietro alle sue incombenze fisiche, alla casa, alla spesa da fare – nonché ai cinquanta chilometri che si faceva regolarmente per andare a giocare a basket. Si era comprato due carrozzine – una la teneva sempre in macchina, così perdeva meno tempo in carico e scarico – e uno Scalamax da cinquemila euro.

– Con quello, lo aggancio alla carrozzina e posso salire le scale, basta che un accompagnatore lo tenga per il manico – mi ha spiegato.
L’aveva visto usare in aeroporto ed era corso a vedere come funzionava, poi se l’era comprato.
– Così quando vado a casa di amici non ho mai problemi… a sollevarmi per tre piani di scale magari una volta lo fanno, due, ma sempre poi uno si scoccia… Invece questo lo tengo sempre in macchina così dovunque vada sono libero!

Ho pensato a tutti quelli che rinunciano per la vita ad andare da certi amici, a frequentare certi corsi, visitare certi posti. Ho pensato chi scrive una lettera di protesta se una riunione è inaccessibile, ma intanto non ci va.
Uno Scalamax. La libertà per cinquemila euro.

Guidando verso casa, quella notte, ho pensato agli occhi che brillano. Mi sono chiesta come mai molti mi abbiano detto cose del genere, ma quasi tutti erano gente di quell’ospedale. Mi sono chiesta se sia poi così vero che trasmetto tranquillità, o se non si veda forse soltanto per contrasto, là in mezzo a quella selva di occhi disperati o impauriti o spenti o comunque in stand-by, in attesa di accendersi in tempi migliori. Se gli altri – i miei amici normali – mi vedono più tormentata, o se magari lo sono veramente, fuori dall’ospedale, quando non mi pagano per dare coraggio.
Sarei allora soltanto una buona attrice – eufemismo per ipocrita – o, con più indulgenza, una abbastanza abile a lasciare i sentimenti nella propria scatoletta, quando è il caso?
Ma quando mai.
Ho passato due mesi senza conoscere quasi nessun paziente, per uno sbalzo sentimentale della mia vita fuori. La mamma di Angelo mi sgamava regolarmente ogni volta ch’ero stanca o solo pensierosa, dicendomi che oggi non ero dell’umore. Ho smesso di occuparmi con attenzione dei miei colleghi appena ho capito che erano persone assai lontane dai miei interessi. Mi sono lasciata andare a una sofferta discussione sulla bellezza, riversando sul tavolino del bar tutte le mie ingenue idealità frustrate. Ho frequentato gente che mi era simpatica e ne ho evitata altra che mi faceva paura.

No, decisamente la separazione del lavoro dai sentimenti non faceva per me. E quei sentimenti non erano sempre lucide felicità di ceramica, piuttosto il solito torbido dove conoscersi e rimescolarsi.

Chissà se anche il torbido brilla.