Gottagrassie

Stava cercando di venderci le rose sotto le due torri; era un omino in jeans e maglietta dall’aria indianeggiante, un po’ scuro. Sovrapponeva ai nostri no, grazie qualche frase indecifrabile in inglese confuso – sì, sarà la solita tiritera ho fame ho cinque figli e uno è malato grave ti prego un caffé un caffé sei bellissima buona fortuna.
Ma mentre guardavo da un’altra parte, per ostentare indifferenza a scopo dissuasivo, ho iniziato a captare un senso. Ho tradotto qualcosa per gli altri – quando lavoravo là mangiava tutta la famiglia, ora con gli stessi soldi non mangio manco io – gli altri hanno cominciato a guardarlo facendo domande – ma lo sai che potresti andare in una scuola di italiano gratuita? – e lui ha cominciato a rivolgersi a me per raccontare.

Il venditore di rose è in Italia da due mesi e viene dal Bangladesh. Abita alla Barca – mi ha detto pure l’indirizzo – con degli amici. All’inizio della conversazione aveva speso two thousand euro per il viaggio e i documenti, alla fine erano twelve thousand, non sapremo mai la verità. Li ha dati a un amico che gli aveva promesso lavoro. Naturalmente non l’ha trovato.
Tutti i giorni cerca lavoro, e tutti i giorni non lo trova. Intuendo che la sua quasi totale incapacità con l’italiano sia un bell’ostacolo, gli abbiamo suggerito di seguire un corso per stranieri. Ha detto che sa che esistono, ma in estate sono chiusi, giustamente.
Per un periodo ha fatto il saldatore a Singapore. Mi è venuto in mente il Terzani appena letto, “Un indovino mi disse”, in cui parlava della folla di immigrati che sostiene l’economia singaporiana.
Sempre che Singapore non fosse uno strafalcione per saldatore. In ogni caso, saldatore l’ha detto in italiano. Forse qualcuno gliel’ha insegnato in modo che sapesse dire almeno cos’è che sa fare.
Adesso che knows Italy, ha capito che non era proprio come gliel’avevano promessa. Gli ho chiesto would you like to come back in Bangladesh, ma forse would you like era una struttura troppo complicata e mi ha risposto un’altra cosa.

Sono contento, ha detto, perché everyone says gottagrassie. Ce lo siamo fatti ripetere una decina di volte, prima di capire che intendeva: tutti dicono go, vai, grazie, mentre voi avete parlato con me.

Alla fine eravamo quasi tentati di dargli qualcosa, ma ho pensato che, se prima gli avevamo detto di no, ora non era giusto cambiare idea. Non volevo pagare la sua storia.
E’ qui da poco, e non sa ancora che ostentare simpatia e raccontare storie, più o meno vere, serve a comprare la pietà degli italiani. Non ho voluto insegnarglielo io.

Andando via si è voltato, my name is Alì!.

Good luck, Alì.