Senza prevedere

Il fatto che sono invecchiata è dimostrato dalla facilità con cui ho ignorato l’ultimo giorno di lezione della triennale. Ci voleva quel buffo affetto riccio seduto accanto a me, per ricordarmi di concedere a quest’altra porta che si chiude almeno un po’ di nostalgia convenzionale.

Così ho riletto il mese di ottobre 2006, trovandomi a sorriderne di vaga compassione.

Dedicai un lungo post al primo giorno di università: lo scrivo per non perderlo, avevo detto. E invece l’ho perso lo stesso, se non altro in quel che era davvero: un denso e colorato impasto di aspettative e scommesse avventate.
Avevo l’ingenuo entusiasmo sociale di ogni inizio: attaccavo bottone con tutti i compagni che mi capitavano a tiro, perché tutti gli sconosciuti sono potenzialmente importanti ed eterni – ancora non sapevo l’inutilità di rattoppare ponti tra potenze e atti immaginari.
Ora – ora che sono più stanca, e se chiacchiero una paglia fuori dal 38 la temo già nel posacenere – ora il più importante – sull’eternità vedremo – è l’unico che non avevo sperato.

Poi, organizzavo festicciole a sorpresa per un’amica del liceo – ma davvero l’ho organizzata io? nemmeno ricordavo – per ribadirle che noi ci siamo ancora – e non sapevo che sarebbe stata lei a non esserci – e non sapevo nemmeno cosa davvero significasse esserci.

Battibeccavo su Dio, crogiolandomi nel mio piacevole limbo relativista, con un certo compiacimento per la mia libera ambiguità spirituale. C’erano tutte le premesse perché, di lì a poco, il mio relativismo si scollasse di dosso quell’incoerente etichetta di cattolicesimo, mentre la libera ambiguità si tuffava nell’esplorazione della rappresentanza coi ciellini.

Il mio cielo se lo sono divisi fra loro, fregandosene se era cucito in un unico pezzo.

Scoprivo carenze intrinseche di vecchie amicizie – no, di vecchie me. Ed era solo la prima di numerose, inaspettate epifanie – tutte a illuminare da lati diversi lo stesso errore – l’errore che sto cercando – l’errore che tre anni dopo tasto ancora alla cieca, ma almeno con la confidenza di chi ne sa i contorni.

E poi cominciavo entusiasta due futuri fallimenti, senza prevedere di rompermi, nell’ordine, una mano e un po’ di cuore.

Infine, stabilivo – camuffando malamente il moralismo, che iniziava a vergognarsi di se stesso – lo scopo della mia vita.
Senza prevedere di raggiungerlo.