Una sedia vuota

– Qui, accanto a me, c’è una sedia vuota – ha detto, sillabando lento e incantato. Il pubblico si stipava in piedi di fronte a lui nella stanzina, la prima fila avrebbe potuto toccarlo. Io ero in prima fila.
– Chi vuole – ha aggiunto – venga a sedersi.
Ha indicato il posto con un cenno della mano, pacifico e rallentato come ogni suo movimento. Due occhi azzurri e sicuri si sono guardati intorno, in attesa. Era un biondino sui vent’anni, col naso un po’ grosso, la testa alta e i gesti morbidi di chi sa bene la propria parte.
Il silenzio è stato breve. Una ragazza si è alzata sforzando un sorriso, e si è seduta sulla sedia vuota.
Dalla regia hanno fatto partire la musica, mentre su muri e volti piovevano in cerchio penombre rosse, poi verdi, arancioni, blu. Lui le ha preso una mano e ha cominciato a tastarne piano piano il palmo, il dorso, i polpastrelli, le unghie, con molta attenzione, la testa china su quel preciso massaggio. Dietro di loro, altri corpi fluivano muovendosi a specchio l’uno con l’altro, copiandosi i gesti a coppie con ipnotica armonia.
A un tratto la regista si è avvicinata al biondino, e lo ha richiamato con un colpetto sul ginocchio, bisbigliando che poteva incominciare. Lui ha annuito sornione e ha condotto nell’aria la mano di lei, lasciandola poi perché specchiasse i suoi movimenti. Ma lei non capiva. Lui si è toccato il viso, e lei ha toccato il viso di lui. Lei non intuiva cosa significasse il mezzo sorriso di lui; credo nemmeno lo stesse guardando: seguiva nervosamente le sue mani, temendo di sbagliare. Dopo qualche tentativo, si sono finalmente intesi, ricomponendo l’equilibrio della scena.
Hanno proseguito i vari figuranti, per un tempo che non so, a disegnare in aria movimenti lenti; finché un applauso, la luce bianca, cappotti che sfregano e un breve inchino biondo.

Più tardi l’ho visto fuori, mentre la regista lo spingeva giù per la strada della Casa dei Risvegli. L’ho superato velocemente, scendendo; troppo velocemente per aver il tempo di decidere se salutarlo.

E poi ero sovrappensiero. Mi chiedevo se un cerebroleso come lui avrebbe mai preso la mano a una ragazza, fuori da un teatro.